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Le esternalità nascoste
Su La Repubblica del 20 luglio, Boeri e Perotti affrontano la questione delle persone restie alla vaccinazione. Nel farlo, però, si inseriscono in un frame già sperimentato anche per quanto riguarda la questione ambientale e la crisi climatica. Si tratta della responsabilizzazione individuale. Non ci soffermiamo sul tema ambientale. Ne ha scritto Stella Levantesi (I bugiardi del clima. Potere, politica, psicologia di chi nega la crisi del secolo, Bari, Laterza, 2021) dimostrando una precisa strategia da parte dei veri responsabili della crisi climatica, fin dagli anni Settanta, nello sviare l’attenzione dal problema reale parcellizzando la responsabilità tra gli individui. Concentriamoci sull’articolo degli autori de La voce.info i quali responsabilizzano a tal punto le persone restie alla vaccinazione dal suggerire di attribuire loro il pagamento di una somma quale risarcimento dei costi sociali dovuti alla mancata immunizzazione. I due parlano di “esternalità negativa”, ossia costi di cui la società si fa carico a causa di un comportamento ritenuto irresponsabile. Il ragionamento ha una sua logica che non si può non riconoscere. Ma il problema sta nel fatto che tale narrazione è decisamente parziale e sottace di una questione fondamentale che rappresenta il convitato di pietra di tale ragionamento.
La narrazione è parziale perché ignora gli errori e la confusione che si sono generati sul tema della vaccinazione. Errori politici e mediatici. Non calza affatto il paragone fatto da Boeri e Perotti con le esternalità causate dai fumatori e superate con la legge che sancisce il divieto di fumo nei luoghi aperti al pubblico. Tra l’altro, tale divieto vige solo al chiuso; non c’è bisogno di essere in cima a una montagna per vedere rispettata la libertà del fumatore come sembrano alludere i due. Basta essere all’aperto. Si può stare persino seduti in un ristorante all’aperto e godersi la sigaretta appestando il vicino e rovinandogli il pranzo in maniera del tutto legale. Nonostante il vigente obbligo di indossare la mascherina all’aperto, al fumatore era concesso di non portarla nell’atto di fumare, pur di non negargli la possibilità di fumare in pubblico. Il paragone non calza perché, mentre al fumatore viene chiesto di astenersi dal fare qualcosa di nocivo per il prossimo, a chi non è propenso a vaccinarsi viene chiesto un atto di fede. Ossia fidarsi della comunità medica e di quella politica, oltre che di quella mediatica, che assicurano che la sostanza che gli verrà iniettata non avrà conseguenze sulla salute.
La questione, allora, andrebbe vista sotto un’altra prospettiva. Dal momento che la comunità politica si è dimostrata così frammentata sul tema, che ha spinto alla vaccinazione di massa con un vaccino che poi è stato quasi totalmente ritirato, ed è stato somministrato proprio a quel corpo insegnante che Boeri e Perotti vorrebbero sanzionare se rifiuta la somministrazione, è giusto responsabilizzare l’individuo su un tema così delicato? Stanley Milgram, nel suo celebre esperimento, dimostrò che gli ordini impartiti avevano meno prospettive di essere eseguiti quanto più erano contraddittori coloro che li comminavano. Analogamente, tra le incertezze della comunità scientifica e le contraddizioni della classe politica, non si può sollevare l’indice accusatorio nei confronti dei singoli individui. I quali hanno l’unica colpa di aver perso il principio di fiducia nei confronti della classe dirigente (intesa in senso lato, secondo la definizione che ne diede Raffaele Mattioli, e includendo in essa politica, amministrazione, comunità scientifica e opinion leader).
La questione non sta nella riluttanza alla vaccinazione (tra l’altro ad opera di una minoranza) bensì nella perdita di autorevolezza in capo alla classe dirigente. È l’inveramento della società individualista, priva di intermediazioni e corpi intermedi, una società che non esiste come tale ma solo come agglomerato di individui secondo la definizione della signora Thatcher. La fine delle ideologie è stata salutata, col cambio di secolo, come un nuovo avvenire foriero di prospettive edificanti. La realtà è stata un senso generale di smarrimento, la sfiducia nel prossimo e il venir meno del principio di autorevolezza. Con la cultura non si mangia, chi mette in guardia da derive pericolose per il futuro è un gufo e per risolvere i problemi possiamo sempre ricorrere al sacro cuore dell’immacolata concezione. Che bisogno c’è quindi di vaccinarsi se viviamo panglossianamente nel migliore dei mondi possibili e la storia è finita, discorso che la classe dirigente ha finora avallato? La realtà è che stiamo assistendo alla sconfitta di un preciso modello culturale, politico ed economico per il quale il profitto e la crescita economica sono state le uniche stelle per guidare la rotta anche a scapito della salute, delle condizioni di vita individuali e dell’ambiente. Perché stupirsi allora del sospetto verso la classe dirigente?
Se poi diamo una rapida scorsa ai costrutti linguistici e agli apparati concettuali sottesi, “pragmatismo”, “pragmatica” e “pragmatico” si confermano in questo momento le voci più adoperate all’interno di quell’ideale dizionario post-politico attivo da tempo. Il termine compare nell’articolo per ben tre volte e sempre in posizione strategica. Quella costellazione semantica in questa fase serve alla politica e ai suoi consiglieri per provare ad allentare la presa dei principi costituzionali (si veda in proposito la riforma governativa sulla giustizia, anch’essa ispirata secondo i suoi estensori al più sano pragmatismo).
L’articolo in questione conferma, poi, che la versione utilitaristica della ragione produce aporie come il suo sonno produce mostri. Si scrive: l’obbligo vaccinale sarebbe «immorale» e «incostituzionale» e dunque «la soluzione non può che essere pragmatica: ci sono esternalità negative più forti di altre, su cui la società ha il diritto di intervenire». Detto che esternalità negative per i comuni mortali può essere tradotto con conseguenze negative di persone su altre persone e/o sull’ambiente, gli autori individuano in scuola e ospedali gli ambiti su cui esercitarsi. Ma si dà il caso che la Carta distribuisce diritti non un tanto al chilo, bensì appannaggio di tutti e di ciascuno. Ora, dire allo stesso tempo e riguardo che la vaccinazione forzata sarebbe immorale e incostituzionale per il tutto, ma non lo sarebbe per la parte è una palese contraddizione in termini, non evidentemente per un pensiero astratto che giustappone e non mette in relazione.
Anche il richiamo alla necessità di fornire di vaccino la popolazione mondiale, se inquadrata in una stringente logica di mera convenienza rischia di suscitare un involontario effetto comico, «se si fa un rapido calcolo del costo di una dose di vaccino e dei danni economici (per non parlare più in generale dei danni umani) della variante Delta nei Paesi ricchi, è probabile che a questi ultimi converrebbe fornire i vaccini gratis e al più presto a tutta la popolazione mondiale». Per assurdo, se si scoprisse che i Paesi ricchi fossero refrattari alle varianti dei Paesi poveri, sarebbe allora giusto i vaccini non distribuirli a tutti? E si noti anche come «danni umani» sia posposto a «danni economici» e rigorosamente messo in parentesi.
Ecco, il tempo della pandemia, con la sua urgenza di aprire un’epoca nuova, dovrebbe suggerire a tutti – bocconiani compresi – soluzioni eretiche. Perché come ricorda Einstein, che di salti paradigmatici se ne intendeva, non si può risolvere un problema con gli stessi impianti categoriali e discorsivi che si sono usati per crearlo quel problema.
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