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Viaggio al centro dell’emergenza infinita
“La tirannide è possibile soltanto se la libertà è stata addomesticata
e ormai ridotta a vuoto concetto.”
E. Junger
L’impossibilità di affrontare un discorso critico sul fenomeno pandemico consegna, immediatamente, il grado comatoso in cui stagna quel che rimane della cultura e della politica italiana. Del resto, assistiamo per la seconda volta in dieci anni alla presenza di un esecutivo “tecnico”, sostenuto da uno schieramento partitico quasi unanime, la cui cifra caratteristica risiede in quelle bolse etichette di “competenza” e “credibilità” già viste – e con quali effetti! – al tempo del mai dimenticato professor Monti. Il fatto che la classe politica abbia dovuto appaltare la propria funzione a un esponente del capitale finanziario cosmopolita come Mario Draghi non sorprende: la retorica democratica nasconde infatti il cadavere della democrazia costituzionale, con tutto ciò che ne consegue in termini di prassi politica. Una volta che l’oligarchia borghese ha definitivamente esautorato gli argini posti dai costituenti al dominio di classe, non poteva non riapparire la tentazione autoritaria che da sempre contraddistingue la storia dei ceti dominanti italiani. Su questa linea si deve intendere la questione pandemica, poiché il clima emergenziale risulta da sempre il miglior alleato per una una deriva “totalitaria“, nel senso di una presa totale del potere sulla vita, sui diritti e sulle condizioni per pensare ad un paradigma alternativo.
Leviatano e Costituzione
Su queste pagine Umberto Vincenti ha analizzato il problema dell’istituzione del green pass dal punto di vista del diritto, citando giustamente l’art. 32 della Costituzione, il quale riserva alla legge la possibilità di prevedere trattamenti sanitari contemperando il rispetto della dignità umana con il diritto-dovere di tutela della salute pubblica. Ora, nello spirito costituente poteva apparire naturale riservare al Legislatore, in quanto espressione del popolo sovrano, un compito così delicato quale quello della politica sanitaria: del resto, limitazioni ai diritti fondamentali sono sempre riservate nel testo alla Legge, ritenuta il prodotto della dialettica democratica. La questione attualissima, sempre dimenticata da chi critica a prescindere la Costituzione, risiede nel fatto che l’intero impianto politico-istituzionale su cui essa fonda il proprio funzionamento appare definitivamente demolito. Senza il ruolo basilare dei partiti di massa, pilastro e architrave di tutto il concetto di democrazia costituzionale, com’è possibile ottenere un Parlamento che non sia un mero comitato d’affari del capitale? Senza il controllo diretto, quotidiano, effettivo del cittadino sul proprio rappresentante, privi di luoghi fisici e culturali di confronto ed elaborazione critica dalla base verso il vertice, come si può parlare di democrazia in Italia? Appare dunque essenziale svolgere una critica che abbia al centro la questione della totale non-rappresentanza degli elettori. Non a caso, il tasso di astensione ormai giunto a livelli impressionanti certifica come sia materialmente impossibile intervenire nella vita politica, in un triste ritorno all’oligarchia liberale dell’Italietta savoiarda. In questo senso, a livello popolare non si può certo rispettare l’esercizio quotidiano del potere da parte di uno Stato che – lungi dal perseguire il compito vitale dettato dal mandato dell’eguaglianza sostanziale ex art. 3 co. 2 della Costituzione – opera in via esclusiva quale strumento esecutivo e repressivo al servizio delle classi dominanti. Se questo è, in tempi normali, si pensi alle conseguenze dirompenti di un simile assetto in un clima di emergenza sanitaria! Tutti i provvedimenti prodotti dal governo – per la cronaca in una prima fase guidato da una coalizione letteralmente inventata dal presidente della repubblica, capace di ogni equilibrismo politico pur di non dare la parola agli elettori… – hanno assunto una veste complessa e contraddittoria, giustificati soltanto dal terrore instillato quotidianamente dai mezzi di propaganda. L’insistenza sui DPCM, le contraddizioni perenni dei “tecnici” e le durissime conseguenze psicologiche e materiali del 2020 rimarranno a monito perenne di come uno stato allo sfascio, incapace di espropriare un servizio pubblico essenziale come le autostrade, si sia dimostrato capacissimo a svolgere la duplice funzione di gendarme e di carceriere, in una prassi securitaria utile a nascondere la criminale inanità in materia sanitaria. Contro i formalismi giuridici, infatti, occorre dire forte e chiaro che il Leviatano attuale non è lo Stato democratico, nato dalla Resistenza, a fortissimo contenuto sociale e solidale previsto dai Costituenti. Anzi, esso è il frutto più macabro di quella pantomima europeista che da trent’anni lavora esclusivamente per distruggere e saccheggiare le classi lavoratrici: credereste mai alla buona fede di un apparato che prima chiudeva gli ospedali “in nome dell’Europa” e oggi si erge a massimo tutore della nostra salute?
Biopolitica e dominio
Tornando al punto sollevato dal direttore della nostra rivista, occorre evidenziare in ogni sede e con tutti i mezzi il progressivo ridimensionamento di quanto rimane delle garanzie democratiche in Italia: e, si badi bene, quel che resta di formale, essendo scomparsa ogni traccia di democrazia sostanziale in nome di un liberalismo estremo. Che il vaccino costituisca oggi lo spartiacque tra due categorie, tra uber e untermenschen, appare a chi scrive un fatto, plastico nella sua realtà. Beninteso, per chi analizza la realtà con le lenti del socialismo marxiano non è certo una novità: dall’alba della sua egemonia la “borghesia” ha sempre discriminato le classi subalterne, con quel tanto di povertà di spirito che contraddistingue in ogni momento la cifra caratteristica del borghese. Del resto, il razzismo scientifico e il darwinismo sociale sono tipici prodotti della scienza ottocentesca, il secolo d’oro della borghesia liberale. Auschwitz è il punto d’arrivo di un processo che parte da lontano, e non dalle putride birrerie bavaresi ma dai soffici salotti di Londra e di New York: una veloce scorsa ai lavori sul colonialismo britannico dovrebbe illuminare in tal senso. Nel momento in cui nasce la divisione capitalistica del lavoro e si concepisce l’individuo non già come essere umano, libero e dignitoso in quanto tale, ma reificato come mero elemento della produzione, un oggetto da sfruttare e poi scartare, ecco che sorge la barbarie: il proletario vive in quanto serve.
Una volta esaurito il suo compito – cioè il suo continuo sfruttamento – può benissimo essere messo da parte: ma un elemento inattivo costa, si lamenta e può potenzialmente creare fastidi al padrone. Ecco allora giungere in soccorso la brava e bella divinità scientifica, la tecnica divenuta religione dell’uomo liberale: basta uno come Malthus, che non poteva non nascere in Inghilterra come Smith e Ricardo, ed ecco dispiegarsi a pieno l’orrore di una civiltà che si crede superiore e pretende il controllo assoluto dei proletari di oggi e di domani, automi da riprodurre nei modi e nei tempi preferiti dai padroni.
E si badi bene che nessuno qui nega il valore progressivo delle scoperte scientifiche e delle innovazioni tecniche: solo, ed è tutto, esse valgono come doxa e non come episteme, ossia come risultati di un processo pratico-intellettuale applicato alla realtà che non può cristallizzarsi in dogma e quindi in religione secolare. La tecnica degli ultimi due secoli non può che essere un’istituzione sociale, portata avanti da uomini inseriti in un dato contesto – la società borghese – con precisi limiti ideologici e materiali: escludere tutto questo significa tuffarsi in uno stato di falsa coscienza, credendo che in un contesto capitalistico la scienza serva allo stesso modo padroni e proletari. Non a caso il neo-malthusianesimo è diventato il vessillo dietro cui si celano i peggiori rigurgiti reazionari, dal tempo del club di Roma in poi: superato il modello fordista, non serve più avere masse crescenti di lavoratori-consumatori. Anzi, riducendo sempre più le opportunità lavorative esse diventano pericolosamente inclini al dissenso: ecco allora ritornare sulla scena, complice una certa retorica ambientalista che va a braccetto con il padronato e non sviluppa alcuna analisi critica dei processi di produzione e scambio, il leitmotiv della sovrappopolazione e del limite “naturale” delle risorse. In questo ridente scenario, l’emergenza pandemica ha rappresentato un’occasione d’oro per poter compiere un salto di qualità: come già in tono minore all’epoca del terrorismo islamico, la crisi è servita prima a implementare inedite misure di controllo sociale, poi a introdurre discriminazioni legali sulla base del criterio vaccinale. Su questo punto vogliamo concentrare la nostra conclusione.
Poter dire di no
Considerato che il vaccino non elimina il rischio di contagio né immunizza automaticamente gli individui – nonostante le falsità proclamate da Draghi in diretta televisiva – appare quantomeno affrettato imporre la sua obbligatorietà, di fronte a tassi di letalità e ospedalizzazione in discesa. D’altronde va sempre ricordato che i sieri in distribuzione sono sperimentali, hanno ricevuto deroghe speciali in merito al loro sviluppo e, per quanto attiene alla tecnologia a mRna, appaiono per la prima volta in commercio senza nulla sapere circa gli effetti a medio-lungo periodo. Infine, oltre alla vergognosa secretazione dei contratti tra multinazionali e governi, non riusciamo a comprendere perché sia possibile ammettere una sperimentazione di tale scala e impedire, al contempo, lo studio di soluzioni meno invasive e rischiose. A queste criticità si unisce il problema della criminalizzazione del dubbio, che da inizio della sapienza di cartesiana memoria è diventato una questione di ignoranza, a riprova del degrado morale e civile in cui agonizza la cultura italiana. E che dire poi della totale assenza di investimenti sulla sanità a due anni dall’avvio dell’emergenza? Quanti ospedali sono stati aperti? Quanti medici, infermieri e operatori sanitari assunti? Come mai la sanità pubblica è stata scientificamente distrutta a favore di quella privata? Questi interrogativi sono alla base delle nostre perplessità: chi, consapevole delle proprie scelte, voglia comunque scegliere la via del vaccino dev’essere per noi libero e sereno di farlo. Cosa diversa è portare all’obbligo, mascherato e quindi ancora più falso, tutti introducendo distinzioni arbitrarie tra cittadini di serie A e cittadini di serie Z, fino all’assurdo giuridico di prevedere il licenziamento per i lavoratori non dotati di green pass. Una via, quella discriminatoria, che una volta aperta può condurre esclusivamente al piano inclinato della persecuzione, del resto già operante a livello informale: quanti guasti ha prodotto la propaganda ossessiva in tv e sui giornali? Il clima di terrore continuo depone a favore o contro il progetto vaccinale? La stessa classe dominante che ha condotto l’Italia allo sfascio può essere realmente interessata alla nostra salute?
Uno stato democratico non deve avere paura di discutere, anche degli argomenti più scabrosi e difficili. L’ultima scelta, dopo aver ascoltato tutti i pareri, deve sempre spettare al popolo sovrano, nei modi stabiliti dalla Costituzione. Che questo sia, già da tempo, mera utopia dovrebbe definitivamente sancire quanto di assurdo e criminale stia avvenendo di nuovo in Italia. Nel conformismo imperante e nella paura del dissenso, l’imperativo morale di chi ancora crede nell’incomprimibile diritto di ognuno a conquistare la propria dignità di uomo consiste oggi nella lotta per la libertà di tutti e di ciascuno.
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