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L’Unione Europea tra destino comune e crisi permanente


7 Ago , 2021|
| 2021 | Recensioni

Recensione a Leonardo Mellace, “L’Unione Europea tra destino comune e crisi permanente”, Edizione Scientifiche Italiane, Napoli, 2021, pp. 232, € 37,00, Collana “Università degli Studi Magna Grecia di Catanzaro – Coll. del Dip. Di Giurisprudenza Economie e Sociologia

L’assetto costituzionale dell’Unione Europea sta diventando un argomento basilare per comprendere e analizzare il futuro del continente. Si inasprisce il braccio di ferro tra la commissione Von der Leyen e i paesi ribelli dell’Europa centrale e orientale, capitanati da Ungheria e Polonia. Bruxelles vuole imporre al suo Est l’adesione al modello di libertà individuale occidentale, che reputa insindacabili le scelte personali, quando non recano danni agli altri. Gli avversari rispondono con zone LGBT free e legislazioni volte a limitare l’esposizione mediatica della minoranza omosessuale o transgeder. Sebbene le differenze vertano su temi fondamentali, Bruxelles alza timidamente i toni solo dopo molti anni. Perché?

Leggere il volume “L’Unione Europea tra Destino Comune e Crisi Permanente” di Leonardo Mellace, edito dalle Edizione Scientifiche Italiane, aiuta decisamente a focalizzare il problema. Nel primo capitolo della sua problematizzazione giusfilosofica, l’autore analizza le radici costituzionali dell’Unione Europea, evidenziandone il principale dilemma. L’ambiguità europea è rappresentata dal dibattito tra due grandi filosofi del diritto tedeschi, Jürgen Habermas e Dieter Grimm. Habermas considera l’Unione Europea uno stato costituzionale, perché i trattati hanno la potenzialità di creare un’identità collettiva, in grado di dare forma a un popolo legato dal patriottismo costituzionale.

Grimm ritiene invece che siano i popoli a forgiare le costituzioni. Il popolo europeo, inteso come senso di appartenenza a una comunità, non esiste e non ha dato alcun mandato costituzionale al Parlamento per redigere i trattati. Di conseguenza, l’Unione Europea non ha elementi per essere uno stato costituzionale.

Il tira e molla tra Bruxelles e il gruppo di Visegrád dimostra come non ci sia soluzione al dibattito. Le costituzioni degli stati dell’est si avvicinano alla definizione di Grimm. I popoli hanno forgiato la costituzione perché etnicamente omogenei, nati dal nazionalismo ottocentesco e la successiva disgregazione dei grandi imperi austriaco e ottomano. Al contrario, i paesi occidentali, imperi secolari e nazioni moderne nate con processi di unificazione, hanno avuto bisogno di una legge comune per creare un’identità nazionale che mancava al momento della costruzione dello stato.

L’Unione Europea si è ispirata al modello di Habermas, ma non ne sembra essere consapevole. Appare come un organismo basato su trattati discussi dai governi, ma con la contestuale volontà di rappresentare un processo popolare in grado di formare un’identità collettiva. Un’Europa adulta dovrebbe scegliere una delle due strade. Se sono i trattati a formare l’identità nazionale, i popoli che ne fanno parte non possono divergere dai principi giuridici basilari. Se invece i trattati scaturiscono dalla volontà popolare, lo stato deve considerare legittime le esigenze delle medesime nazioni, nonché di gran parte della popolazione rurale, per quanto raccapriccianti.

Ma la minaccia all’assetto europeo non proviene solo da est. Ungheria e Polonia attirano l’attenzione mediatica con le loro mosse muscolari su argomenti di pubblico dominio. Altri organi ottengono risultati simili con meno attenzione mediatica a causa della tecnicalità del contendere, incomprensibile per le masse. Dopo un secondo capitolo incentrato sulla storia dell’Unione Europea, l’autore si concentra così sull’ingerenza della Corte Costituzionale Tedesca nei programmi della Banca Centrale Europea.

L’Unione Europea ha attraversato tre laceranti crisi economiche negli ultimi 13 anni: il crollo di Wall Street del 2008, la successiva crisi dei debiti sovrani e oggi la pandemia. Nel corso di questi eventi, la BCE ha tenuto un comportamento poco ideologico e molto pragmatico, per cui si è discostata dal ruolo di garante della mera stabilità dei prezzi, previsto dai trattati. L’istituto di Francoforte ha svolto il ruolo più ampio di garante della stabilità finanziaria dell’eurozona, attuando politiche monetarie espansive. I bizantinismi dei piani di salvataggio disegnati dalla Commissione e dal Consiglio Europeo sono stati superati dalla liquidità immessa nel sistema dalla BCE.

Nell’attività di sostegno ai paesi più deboli dell’Eurozona, l’istituto di Francoforte si è scontrato con la Corte Costituzionale Tedesca, che ha negato l’ammissibilità dei programmi d’acquisto dei titoli di stato, non solo sollevando pregiudiziali davanti alla Corte di Giustizia Europea. Inizialmente, la Corte di Karlsruhe ha presentato di fronte alla Corte di Lussemburgo una pregiudiziale contro le interferenze nella politica economica da parte della BCE. Quando la Corte di Giustizia Europea ha avallato le politiche di Francoforte, la corte costituzionale tedesca ha affermato che entrambi gli organi dell’Unione sono andati al di là dei propri poteri.

Si è quindi innescato un dibattito che mette in crisi la gerarchia delle fonti del diritto europee, inammissibile in qualsiasi stato, indipendentemente da come sia nata la costituzione.

La parte finale del libro di Leonardo Mellace riprende il dibattito giuridico su come l’Unione Europea tratta i temi dei diritti civili e sociali. Il tema è cruciale perché oggi assistiamo a un vero e proprio cortocircuito politico. Da una parte, la destra populista sembra avallare solo quelle libertà civili che danneggiano gli altri, come quelle di inquinare, denigrare o sfruttare le minoranze, portare i capitali all’estero e abolire le restrizioni dettate dalla pandemia. Quando invece i diritti civili non danneggiano gli altri, come nel caso del matrimonio paritario o l’eutanasia, allora la stessa destra chiama in causa la patria, la fede e l’importanza delle tradizioni. I diritti sociali non sono pervenuti.

Dall’altra parte, la sinistra vive uno psicodramma. Incapace di affrontare i diritti sociali, la sinistra di governo si è concentrata sui diritti civili, portando a casa poco o nulla, almeno nel belpaese. Malgrado gli scarsi risultati, c’è chi afferma che i diritti civili distolgono l’attenzione da quelli sociali, con il tono ipocrita di chi non ha alcuna intenzione di occuparsi dell’una e dell’altra questione. Saltuariamente, si affaccia anche chi pensa che i diritti civili siano solo un vezzo borghese che contribuisce ad atomizzare la società e a far crescere l’individualismo. Mentre la sinistra dibatte tra se stessa, la destra ne trae beneficio e continua a distruggere e atomizzare la società garantendo ai più forti le libertà di inquinare, offendere le minoranze ed evadere il fisco.

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