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Chiediamoci se la nostra è una reale democrazia
Gli ultimi avvenimenti a Cuba possono rappresentare un serio ed indicativo motivo di riflessione riguardo al modo con cui i tradizionali mass media liberali stanno – ingiustamente – analizzando la questione ed una buona occasione di analisi dell’attuale stato di salute delle nostre democrazie. La corretta distribuzione ed il corretto uso dell’informazione sono uno strumento indispensabile per far sì che noi comuni cittadini possiamo dotarci di proprie abilità critiche per indagare con minor pregiudizio i costanti mutamenti della realtà internazionale. Ampliando il nostro sguardo possiamo notare che l’approccio mediale occidentale verso Cuba non è stato un fenomeno genuino e disinteressato, ma frutto di un sistema oligarchico e corporativistico ben evidente, regolatore di precisi rapporti di forza economici alla base. Scrivo “ingiustamente” per una serie di motivi, di là dalle questioni ideologiche di una o dell’altra parte: qui si tratta di palesi strumentalizzazioni o – peggio ancora – di consapevoli mistificazioni, rappresentative di una palese mancanza di volontà di affrontare questo complesso tema – con implicazioni geopolitiche – in termini più ragionevoli ed oggettivabili.
Un esempio lampante in merito è stato il tweet che a luglio scorso un giornalista apparentemente autorevole come Saviano ha condiviso sul suo profilo. Egli, distrattamente, ha alterato la verità dei fatti utilizzando in maniera impropria la foto di una donna sostenitrice del governo cubano in modo tale da offrire una narrazione contraria alla realtà; preso da una repentina euforia mediatica di stampo sensazionalistico, ha pensato “bene” di condividere l’informazione recepita senza una previa ricerca autorevole ed attendibile delle fonti. Lo scrittore di “Gomorra”, di conseguenza, ha dovuto cancellare il tweet dopo essersi reso conto dell’abbaglio. Errare humanum est, direbbe comprensibilmente qualcuno. Il fatto -già in sé piuttosto imbarazzante- oltre a sottolineare come anche i big del mainstream possano essere protagonisti di atteggiamenti professionali superficiali, è soprattutto un riflesso sistemico del modo in cui l’indefessa propaganda liberale di matrice occidentalocentrica si affaccia al resto del mondo. Allora perseverare autem diabolicum, aggiungerebbe qualcun altro. Il dato più preoccupante, infatti, è stato il dover constatare che un’inesattezza così plateale da parte di un giornalista come Saviano -considerato ben autorevole dall’opinione pubblica internazionale- rappresenta un’alterazione della realtà ancora più pericolosa e deleteria.
Un altro emblematico esempio di innata parzialità in merito viene dallo spocchioso atteggiamento del popolare virologo Burioni, che –anche lui attraverso uno dei suoi tweet, dello scorso aprile- fasullamente afferma che è da 50 anni che nessun farmaco viene sviluppato a Cuba. Testualmente: “Non voglio entrare in diatribe politiche, ma nessun farmaco è stato sviluppato a Cuba negli ultimi 50 anni. Quanto ai vaccini, vediamo se funzionano. Al momento bisognerebbe andare sulla fiducia, come per quelli cinesi, e io non mi fido”.
Di là dalla manipolazione della realtà, ciò che qui preme sottolineare è la constatazione di un’interiorizzata faziosità -oltre che ignoranza o malafede- di uno scienziato che dovrebbe limitarsi a parlare di vaccini in maniera, appunto, asettica e scientifica; invece sceglie di dilungarsi in provocazioni politiche pur non avendone né la competenza, né -soprattutto- l’onestà intellettuale. E la cosa più ipocrita è che lui stesso prima afferma di non voler strumentalizzare la questione dal punto di vista politico, ma poi lo fa lo comunque, perché -presumibilmente- affetto da un’irrimediabile tracotanza ontologica verso tutto ciò che non è liberale. E non un caso che subito dopo Cuba, egli si scagli indiscriminatamente anche contro i vaccini cinesi, senza aver prima appurato in via preventiva la scientificità delle proprie dichiarazioni. Ciò dimostra come per personaggi del genere la scienza, in ultima istanza, sia invece sempre subordinata al discorso politico, checché essi ne dicano.
Se un arcinoto guru del buon giornalismo italiano ed un virologo aspirante tuttologo si lasciano andare a delle uscite del genere, a maggior ragione si può intuire la ragione per la quale l’opinione pubblica – disorientata di fronte alla strisciante e subdola pervasività dell’impianto mediatico di stampo oligarchico- così raramente si soffermi a riflettere sugli aspetti positivi di un Paese “nemico” della democrazia liberale come Cuba. Questo perché quando si parla del governo rivoluzionario castrista – secondo l’applicazione del consueto principio del doppio standard– solo gli aspetti più negativi possono essere tenuti in considerazione ed esaminati dalla propaganda capitalistica; ed è per questo che l’amministrazione in questione viene inevitabilmente e costantemente tacciata di tirannia; tanto più ogniqualvolta che essa si trova di fronte ad una, reale o presunta, manifestazione di scontento da parte della popolazione locale.
Di conseguenza, rare volte l’opinione pubblica tradizionale si sofferma a riflettere sul fatto che pur essendo un Paese sotto un criminoso e malvagio embargo da circa 60 anni, Cuba da decenni esporta medici nelle peggiori aree di crisi sanitaria del pianeta. E questo proprio noi italiani non lo possiamo dimenticare. Altrimenti saremmo degli irrecuperabili ipocriti.
Rare volte l’opinione pubblica tradizionale si sofferma a riflettere sull’oggettivabile postulato storico di affermare che nella Cuba post-rivoluzionaria un’inusuale rete di prevenzione e di assistenza medica pubblica e gratuita ha contribuito al raggiungimento di uno dei più alti tassi di speranza di vita in tutto il mondo. Cosa singolare per un Paese caraibico, soggetto alle più penose e buie logiche oligarchiche di matrice europea e statunitense prima della Rivoluzione nel 1959.
Rare volte l’opinione pubblica tradizionale si sofferma a riflettere sul fatto che Cuba sia l’unico esempio vivente al mondo di un Paese produttore di un vaccino a livello statale senza l’intermediazione del profitto privato.
Rare volte l’opinione pubblica tradizionale si sofferma a constatare la rimarchevole assenza su quest’isola caraibica di un preoccupante tasso di mortalità da Covid-19 rispetto al resto del continente americano (e non solo), a partire dal Golia strangolatore lì vicino.
Ed ancora più rare volte l’opinione pubblica tradizionale si sofferma a riflettere sulla singolare bellezza della parola “Soberana”, un termine orgogliosamente scelto dai cubani nell’intento di evidenziare la fierezza di un popolo a non aver ceduto alle miserabili ed efferate pressioni straniere per evitare di fare la fine di una república bananeraqualsiasi.
Alla luce di tutti questi cortocircuiti logici ed etici, quindi, non è poi così difficile capire perché la maggior parte della gente non si ponga i giusti interrogativi: l’approccio mediatico instancabilmente occidentalocentrico dei media si frappone in maniera determinante tra il mondo delle notizie e quello degli ignari consumatori, i quali sovente non sono in grado di elaborare opinioni più attendibili e neutrali senza l’ausilio di intrinseche abilità critiche e conoscenze storiche più radicate.
Dopo tutto, di fronte alla sistematica tendenziosità con la quale i media mainstream e i contemporanei influencer aspiranti tuttologi generalmente descrivono i Paesi cosiddetti socialisti, non c’è da stupirsi della presenza di un tale livello di acriticità verso la verità e l’analisi storica tra la popolazione. Che questi Paesi, al netto di tutte le loro specificità e le loro contraddizioni locali dovute al loro modo di essere inevitabilmente inseriti nell’attuale sistema capitalistico, tentino di offrire delle alternative esistenziali auspicabilmente migliori di quella presente è una posizione che difficilmente viene accettata e discussa seriamente. Eppure, non è un caso che Cuba sia socialista; non è un caso che il Vietnam si definisca socialista e non è un caso che anche la Cina si definisca tale: nella stragrande maggioranza dei casi, storicamente, sono stati proprio i movimenti socialisti/comunisti a guidare le audaci ed eroiche lotte di emancipazione dei popoli sottomessi al giogo dell’imperialismo straniero. Il concetto di egemonia culturale ci aiuta a capire meglio come, nell’attuale società neoliberale, gli intellettuali tradizionali di gramsciana memoria siano purtroppo subordinati al mero ruolo di custodi di quest’ordine culturale ed immorale costituito; basato sulla continua ricerca di un nemico ontologico e di prospettive a breve termine di soddisfacimento personale a livello esclusivamente individualistico. L’opinione pubblica canonica, dunque, è subdolamente sospinta a contemplare uno spettro di prospettive politiche in realtà molto ristretto, per non contraddire il pensiero unico dominante: liberalismo in filosofia e liberismo in economia. Tutto ciò che si trova al di fuori di questo artificioso schema semplicistico viene irrimediabilmente tacciato -da parte della nuova Inquisizione capitalistica- di utopismo o, nel peggiore dei casi, di folle radicalismo dittatoriale. Nondimeno, l’esperienza rivoluzionaria di Cuba, dei suoi medici in Lombardia ed in giro per il mondo, della sua esemplare Soberana eccetera ci dimostra che un altro modo di pensare e di fare non solo è possibile, ma auspicabile. E senza previe e funeste ingerenze imperialistiche esterne sarebbe indubbiamente anche molto più fattibile.
Presente, seppur in versione diversa, anche sull’Antidiplomatico. Qui il link: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-cuba_e_lipocrisia_liberale_ditemi_se_questa__democrazia/39602_42476/
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