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Per un’uscita neosocialista dall’emergenza


12 Ago , 2021|
| 2021 | Visioni

Il Covid ha avuto un impatto devastante non solo sulla società occidentale, le cui basi culturali, economiche e politiche si sono dimostrate profondamente inefficienti nella gestione della pandemia – per motivi legati non semplicemente agli effetti delle riforme strutturali neoliberali, che hanno distrutto le capacità di risposta della sanità pubblica, ma anche all’entropia sociale che costituisce il cuore del funzionamento della società occidentale contemporanea – ma anche e soprattutto su quell’area politica variamente (auto)rappresentata come “sinistra anti-sistema”, “sinistra sovranista” e epiteti affini: in altre parole, quell’area politica – oggi estremamente minoritaria nella società – che sta tentando di elaborare una critica coerente e sistematica alla società di mercato e alle politiche neoliberali e di costruire un progetto politico ispirato ai valori del socialismo democratico.

Chi scrive è estremamente preoccupato dalla deriva assunta nell’ultimo anno da questa area politica, che dedicandosi alla critica della “dittatura sanitaria” e dello “Stato disciplinante” sta mancando completamente la sua missione storica e sta costruendo una cultura politica pienamente appartenente a quella galassia liberale (e neoliberale) che pur avanza la pretesa di contestare e superare. Affrontare questa questione comporta la suddivisione del ragionamento in vari punti.

1. La necessaria “terza via” tra i pro-sistema e gli anti-sistema.

Semplificando all’osso, la pandemia ha prodotto una spaccatura verticale nella società tra un mondo di persone che si fidano delle autorità che compongono il sistema politico-economico attuale e un altro mondo che, invece, prende le distanze da questo sistema in modo radicale e assoluto, mettendo in discussione persino la scienza medica (e si badi bene: una messa in discussione completa e dogmatica, che non c’entra nulla con la necessaria razionalità critica che è il cuore del funzionamento di una comunità scientifica). Non interessa qui indagare le cause di questa spaccatura, che è stata alimentata ad arte dai media e in cui tantissimi piccoli e grandi personaggi pubblici, sia tra i politici che tra i virologi e gli influencers, si sono affermati come capi delle rispettive curve ultras. Se il mondo pro-sistema ha assunto una posizione sostanzialmente acritica nei confronti della narrazione pandemica vigente (responsabilizzazione individuale, retorica bellica dello “sforzo comune contro il nemico”, politiche pandemiche concepite quale mera applicazione di una tecnica neutra fondata sulla scienza e avulsa da interessi socio-economici, ecc.) e delle politiche di lockdown e responsabilità comportamentale, il mondo anti-sistema si è posto visceralmente in contrapposizione a qualsiasi versione ufficiale: i virologi sono tutti dei mentitori seriali e al soldo di Big Pharma (tranne, ovviamente, quelli eterodossi che consigliano le cure più fantasiose), il Covid o non esiste oppure è una banale influenza, le misure di responsabilità e precauzione comportamentale sono un’odiosa limitazione della libertà individuale, e così via. La spaccatura è stata radicale, assoluta: come prevedibile, ha completamente sfondato gli argini del pensiero razionale ed è assurta a fulcro non solo della politicizzazione, ma persino della soggettivazione individuale: molte persone hanno trovato una nuova missione esistenziale, un nuovo senso al proprio agire, nella ribellione contro la “dittatura sanitaria”; altri, e sono probabilmente la maggioranza, si autorappresentano come “i buoni, sapienti & illuminati” grazie al meccanismo di presa di distanza rispetto ai negazionisti e minimizzatori della pandemia.

Una forza politica che si ispiri ai valori del socialismo democratico ha una via obbligata: smarcarsi da entrambe le curve ultras e tentare di tenere insieme il piano della critica al sistema politico-economico neoliberale e alle politiche del governo Draghi con il piano dello stimolo alla razionalità scientifica, della difesa dell’autorità medica e sanitaria, dell’appello alla responsabilità comportamentale e sociale. Detto in poche parole: criticare il sistema vigente e le politiche pandemiche si può e si deve, ma senza cedere un millimetro nella direzione di quel microcosmo di irrazionalismo, di stimolo incessante della sfiducia aprioristica verso il sapere scientifico ufficiale, di rifiuto della responsabilità comportamentale e della necessità di mediare tra i propri desideri e le esigenze sociali il cui risultato è l’aggravamento della situazione pandemica e la morte evitabile di chissà quante persone. Persone che appaiono come cifre e numeri nei dati ufficiali che sfilano nei telegiornali e nei talk-show, ma che sono persone in carne e ossa con affetti, vissuti, speranze. Non ci può essere alcun tentennamento di fronte a chi gioca con la vita delle persone, alimentando pratiche e comportamenti irresponsabili.

2. La società di mercato, i no-vax e la sfiducia.

Fin da prima dello scoppio della pandemia i no-vax (che sono una irrisoria percentuale nella società italiana) sono stati ingigantiti ad arte dal sistema mediatico e utilizzati quale categoria in cui includere tutti i critici e gli sfiduciati nei confronti del funzionamento della società in cui viviamo. Avanzi dubbi, razionalmente articolati ed espressi, nei confronti del sapere medico vigente? Sei un no-vax. Critichi le modalità concrete del Green Pass? Sei un no-vax. E così via. Personalmente mi sento lontanissimo, sul piano umano prima ancora che politico, da tutti coloro che hanno assunto una posizione di critica assoluta alle politiche pandemiche e quotidianamente mettono in discussione i vaccini, le autorità sanitarie, la scienza medica, facendo di questa attività ottusamente ed aprioristicamente “anti-sistema” il fulcro della considerazione di sé e del proprio ruolo politico nel mondo; eppure non bisogna fare l’errore di non vedere nel fenomeno no-vax l’espressione non semplicemente di una mancanza di conoscenza della medicina e di razionalità scientifica, ma soprattutto di una sfiducia radicale che è il prodotto principale di una società di mercato in cui gli altri individui sono mezzi per i nostri interessi e fini e in cui ciascuno, quindi, si sente un portafoglio da svuotare e uno strumento da utilizzare per scopi ignoti perseguiti da poteri oligarchici opachi. Detto in poche parole: in una società in cui la salute è ridotta a mercato e in cui aziende farmaceutiche private macinano miliardi di profitti, come si può pretendere che un numero crescente di persone non si senta un mezzo per il profitto altrui e quindi smetta di fidarsi persino del medico di base? La società di mercato produce tutto, fino alle cose più inutili, ma erode costantemente quella base di fiducia tra le persone e nei confronti del sistema complessivo su cui si regge il suo funzionamento (e il funzionamento di qualsiasi società). Il fenomeno no-vax è quindi strutturale e inevitabile nella società di mercato: ricondurre ogni critica a questa categoria è un formidabile strumento retorico del mondo politico-mediatico mainstream per delegittimare il dissenso e proteggere un sistema iniquo da ogni possibilità di contestazione e cambiamento.

Detto questo, occorre aggiungere che un soggetto politico che aspiri a ricostruire il socialismo democratico non può in alcun modo strizzare l’occhiolino (figuriamoci integrare nelle proprie fila) nei confronti di quel mondo in cui ribolle il rifiuto della razionalità, delle competenze tecniche e della responsabilità verso gli altri, e in cui si afferma un significato di libertà lontanissimo dalla concezione democratica e socialista.

3. La libertà correttamente intesa: responsabilità sociale e integrazione nella collettività.

Probabilmente, l’errore politico-culturale più profondo dell’area “sovranista” (chi scrive detesta questo termine, creato ad arte dai media liberali per delegittimare le richieste di democrazia, e lo usa soltanto a fini di comprensione comunicativa) e vagamente social-democratica è stato quello di incentrare la propria critica alle politiche pandemiche intorno ad una “libertà individuale” declinata nei termini dell’indipendenza dell’individuo dal potere politico e del rifiuto della trama complessa di cause ed effetti in cui ogni individuo che vive in società si trova a far parte. Il ribellismo contro la mascherina, il rifiuto assoluto ed aprioristico del lockdown persino nei momenti di maggiore gravità dell’impatto della pandemia, la libertà ridotta a feticcio consumistico (“i nostri poveri ragazzi che a Ferragosto non posso andare neppure a sbocciare e a pomiciare in discoteca”): si tratta di una concezione della libertà pienamente appartenente alla peggiore tradizione del liberalismo, quella dell’anarco-libertarismo, che rifiuta da una parte il fatto della società, e cioè che qualsiasi opinione e azione individuale ha effetti diretti e (soprattutto) indiretti sulla vita altrui, dall’altra l’integrazione nella collettività e negli obblighi posti dal potere politico. È la libertà del pirata in mezzo al mare, del beduino nel deserto, dell’eremita in cima alla montagna: da una prospettiva social-democratica non si può che considerare questa idea della libertà come profondamente anti-sociale, perché rifiuta proprio quella attitudine alla responsabilità verso gli altri, all’integrazione nella collettività in vista di finalità comuni e alla mediazione tra i propri bisogni / desideri e le esigenze sociali che costituiscono il cuore del significato socialista della libertà. Su questo punto bisogna essere molto chiari e non lasciare alcuno spazio a fraintendimenti: non c’è nulla di più lontano dall’etica socialista del rifiuto della responsabilità delle proprie azioni verso gli altri, del rifiuto del potere politico e di misure che si crede vadano nella direzione del bene comune come la vaccinazione, insomma di una concezione che mette al centro l’individuo e la sua “libertà” (che è pura illusione) di esistere al di fuori della trama invisibile di relazioni che ci connettono ai nostri concittadini e che richiedono l’esistenza di un potere politico che disciplina ed esercita una coercizione sui suoi membri. Si gioca, in questa questione, quello che è il grande fraintendimento della sinistra liberale: il progresso civile, inteso in termini socialisti, è rappresentato da una maggiore integrazione dell’individuo nella collettività e nella sua partecipazione reale e paritaria al potere politico che orienta la società verso un insieme di finalità collettive, e non certo la liberazione totale dell’individuo dalla collettività e dal potere pubblico.

Chi scrive, ovviamente, non crede certo – sarebbe un’ingenuità grave e non giustificabile – che la società attuale sia qualcosa di anche solo lontanamente assimilabile ad una realtà come quella auspicata da un socialista democratico. Anzi, l’epoca neoliberale ha rappresentato una violentissima rottura del patto sociale tra cittadini e Stato, e quindi: come nel caso del fenomeno no-vax, le cause della diffusione di una mentalità radicalmente individualistica ed egoistica sono da rintracciare principalmente nel modo di funzionamento della società di mercato. Anche in questo caso: occorre tenere insieme i due piani, della critica a questa società e di stimolo ad un’etica e di una mentalità diverse da quelle correlate all’individualismo liberale: detto in parole semplici, non si può certo pretendere, a società invariata, una torsione comunitaria della mentalità diffusa, ma occorre al contempo cercare di stimolare questo cambiamento etico-culturale senza di cui una società diversa da quella contemporanea non vedrà mai la luce. Nulla di più sbagliato, dunque, della resa di fronte ai movimenti che protestano in nome di un feticcio di libertà anti-sociale: la critica alle politiche pandemiche degli ultimi governi deve incentrarsi non certo sui lockdown, sulle precauzioni comportamentali e sull’esistenza del Green Pass, bensì sull’assenza di investimenti pubblici nella sanità e nella sicurezza, sulle modalità concrete del Green Pass, sul fatto che non si sta modificando di una virgola un sistema iniquo in cui nei fatti sono richiesti sacrifici maggiori da parte delle fasce sociali più deboli.

4. Il paradosso: il laissez-faire pandemico sostenuto dai sovranisti

La profonda confusione politico-culturale dell’area sovranista italiana si misura al massimo grado nella prospettiva, spesso dichiarata esplicitamente, di smantellare piano piano (anzi, il più rapidamente possibile) tutto l’insieme di misure di responsabilità comportamentale e di restrizioni alla libertà individuale e “tornare alla vita di prima”, che poi è un altro modo per dire che bisogna tornare ad una situazione in cui gli individui possono fare liberamente ciò che vogliono, senza restrizioni pubbliche e preoccupazioni. L’idea, sostenuta da un miscuglio pseudo-scientifico (se non proprio anti-scientifico) di inesattezze e falsità sui vaccini e sulle cure sanitarie, è che bisognerebbe accettare serenamente il rischio connatura alla vita e “lasciar fare” al virus: si continui a vivere, agire e consumare senza pensieri, e si salvi chi è più fortunato. Si può riassumere il tutto, appunto, con l’espressione “laissez-faire pandemico”: anche in questo caso, come nella rivendicazione della libertà dalla società, dalla mascherina e dai vaccini, ci troviamo di fronte ad una concezione pienamente appartenente al liberalismo. Michel Foucault parlava, nelle lezioni su “La nascita della biopolitica”, della massima liberale riassumibile con l’espressione “vivere pericolosamente”: la società liberale è quella in cui è stimolata una mentalità e una visione della realtà per cui rischiare è bello e necessario e bisogna smantellare le reti di protezione sociale e di dipendenza dall’autorità pubblica. È appunto, se ne rendano conto o meno i “sovranisti”, proprio la concezione alla base dell’idea di convivere serenamente col virus, lasciando che mieta le vittime che “naturalmente” si avrebbero in una società in cui si rinuncia (giustamente, secondo questa prospettiva) alla hybris razionalistica di voler governare i processi sociali e organizzare pubblicamente la vita associata. Ci troviamo di fronte ad un vero e proprio paradosso politico-culturale: il laissez-faire quale principio di funzionamento sociale sostenuto proprio da coloro che rivendicano una maggiore presenza e autorità dello Stato nella vita sociale ed economica. Il paradosso assume la sua veste più appariscente quando la si mette insieme alla rivendicazione della sovranità monetaria: l’intervento sul valore della moneta costituisce l’intervento statale più diretto, vistoso e profondo nell’intreccio delle scelte e delle attività economiche della “società civile”, andando infatti a manipolare il valore dello strumento per tutti i fini individuali nella società di mercato; come si può sperare di convincere la popolazione della necessità di tornare al governo pubblico della moneta, dopo anni in cui la propaganda politica si è incentrata sulla “dittatura sanitaria”, sullo “Stato che si intromette nella libertà individuale”, e via dicendo?

Se ne rendano conto o meno i tanti sovranisti “dittatura sanitaria & sovranità monetaria”, la via politico-culturale che è stata imboccata conduce in una direzione lontanissima da una società socialdemocratica e porta dritti ad una virata nazional-liberista della società contemporanea. Non potrebbe esserci sconfitta peggiore per un movimento politico-culturale che avanza la pretesa di ispirarsi ai valori del socialismo democratico.

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