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Quanto è reale la Roma noir?
Spunti da Nicola Lagioia, La città dei vivi, Einaudi, Torino, 2020
Con la sua ultima opera, lo scrittore barese Nicola Lagioia, già vincitore del premio Strega, ha scandagliato la sua città di adozione, Roma. La città dei vivi racconta il delitto di Luca Varani, efferato fatto di cronaca nera avvenuto nel 2016. Qui l’autore tratteggia magnificamente i due assassini, dettaglia scrupolosamente gli avvenimenti e li inserisce nel contesto della capitale.
Il romanzo, parte della moderna narrativa non-fiction, scorre via velocemente, rappresentando una Roma malata e alimentando il pathos sia per la sorte dei personaggi che per le vicissitudini dell’autore. La vicenda ricorda L’avversario, capolavoro di Emmanuel Carrère che prende spunto dalla scia di sangue lasciata da Jean–Claude Romand nel 1993, caso che sconvolse la Francia.
Questo testo vuole analizzare le due differenze principali tra i due romanzi.
I protagonisti
La prima differenza riguarda la possibilità di calarsi nei personaggi. L’avversario narra di un uomo di quasi quarant’anni che ha mentito per tutta la sua vita, ha finto di terminare gli studi all’università e di aver poi intrapreso un’ottima carriera di medico. Ormai alle corde per la mancanza di denaro, uccide prima la moglie e i figli, poi i propri genitori. Vola a Parigi dove prova, senza successo, a strangolare l’amante e abbozza un maldestro tentativo di suicidio una volta rientrato a casa.
La ricostruzione della storia si basa quasi esclusivamente sulla testimonianza di Jean-Claude Romand. L’autore si limita a scavare nella psiche dell’assassino attraverso la ricostruzione dei fatti più gravi e importanti della sua vita, mentre si trasforma lentamente in mostro, divorato dall’ipocrisia e dalla menzogna. Questa nasce nella casa natale, sui monti della Giura, in cui mentire era peccato capitale ma non si faceva altro che raccontare bugie a fin di bene.
La vicenda sembra una storia delle nostre ombre, quando ci si lascia divorare dalle piccole menzogne quotidiane e dall’ipocrisia. Il lettore tocca con mano cosa può succedere se lasciamo libero sfogo a quelli che consideriamo piccoli vizi innocenti.
La città dei vivi racconta invece di un omicidio maturato in pochi giorni. I demoni del vulcanico Marco Prato, giovane di famiglia alto borghese, sono in parte causati dall’incapacità materna di riconoscere la sua omosessualità. Manuel Foffo appare come il ragazzo di buona famiglia con poche prospettive, capace di partorire idee imprenditoriali, che solo il padre e il fratello sono in grado di mettere in pratica. I due si conoscono una sera di capodanno e iniziano una relazione particolare, basata su fellatio e cocaina.
Si rivedono pochi mesi dopo, nell’appartamento di Manuel Foffo nel quartiere Collatino, borgata romana a est della stazione Tiburtina. L’uso smodato di cocaina li porta a fantasticare su come uscire dal loro squallore, fino a pensare di prostituirsi e poi di commettere un reato, magari uno stupro. Invitano vari conoscenti all’appartamento. Almeno un paio di persone si rendono conto della situazione e se ne vanno. Poi è il turno di Luca Varani, un ragazzo della periferia, proveniente da La Storta, oltre il Grande Raccordo Anulare.
Luca Varani è sveglio, ha giurato amore eterno alla fidanzata storica, lavora in un’autofficina ma ha sempre bisogno di soldi. Probabilmente, per questo ha iniziato a prostituirsi e ha conosciuto Marco Prato. La situazione degenera fino all’omicidio. Il tribunale negherà la premeditazione di Manuel Foffo, ma gli riconoscerà la capacità di intendere e volere, condannandolo a lunghi anni di prigionia. Marco Prato, invece, si suiciderà in carcere.
Al contrario di Carrére, Lagioia può accedere a una serie di testimonianze dirette che indagano la vita sociale dei tre ragazzi coinvolti. Ad esempio, può leggere i messaggi WhatsApp e le minuziose ricostruzioni degli amici. I protagonisti diventano dei libri aperti sui loro pochi pregi e i molti difetti. L’esposizione delle vite dei protagonisti contraddice però la narrazione in cui quel delitto è terribile in quanto talmente improvvisato da poter essere effettuato da ognuno di noi. Due persone qualunque si mettono a pippare, vanno fuori di testa e uccidono un uomo.
Il lettore incontra però difficoltà a identificarsi negli assassini, le cui azioni appaiono squallide e frustranti. Possiamo davvero compatire le difficoltà di Manuel Foffo se dopo un brutale assassinio sembra preoccupato di passare per “frocio”, come dice lui? Gli uomini possono instaurare una relazione con una ragazza poco interessante, ma non molti sono capaci di accettare le fellatio per poi rifiutare continuamente il sesso. Possiamo infine immedesimarci con chi si chiude in casa a consumare cocaina mentre lo zio è in fin di vita?
Marco Prato non possiede questo cinismo desolato e squallido, mentre stupisce la sua abilità manipolatrice. Riesce a ottenere tutto quello che vuole ergendosi al ruolo di vittima e far vergognare l’altro delle proprie azioni. Abilità sopraffina, ma abietta e disgustosa, come quando truffa l’amico benestante per ottenere i soldi che spenderà in cocaina, poco prima dell’omicidio.
Di certo il delitto è casuale, non premeditato, ma appare il risultato di un percorso innescato dall’incontro di un cinico e un manipolatore. Non tutti i lettori possono ritrovarsi in uno di questi aspetti. Al contrario, la personalità di Jean-Claude Romand non risalta mai con questa precisione. L’analisi delle sue debolezze, delle sue manie e delle sue bugie si ferma prima di scendere troppo a fondo, rendendolo un corpo indistinto, in cui il lettore può identificarsi.
Roma
L’altra grande differenza è l’ambiente. I paesaggi della Giura sono solo uno scenario ameno che può contribuire a sviluppare la patina di ipocrisia che cala sugli eventi. La Roma del 2016, con il sindaco cacciato, dove sono attivi due Papi, sommersa dai rifiuti e con il sistema di trasporto pubblico in tilt, è il killer ideale. Le azioni omicide sembrano essere mosse da una capitale capace di fagocitare tutto. Il titolo stesso è un riferimento allo scandalo di mafia capitale che in quel momento faceva tremare i palazzi romani.
Come idea narrativa è fantastica e fornisce forza al racconto. Ma davvero chi vive a Roma è sommerso da un vortice folle di sesso e droga?
La vita romana è dura, di una durezza ben rappresentata dai padri dei due assassini, che nelle prime uscite pubbliche dimenticano di esprimere il proprio cordoglio alla famiglia della vittima. Ma la durezza non crea necessariamente mostri. Troppo spesso si rappresenta Roma come il blocco monolitico descritto da Massimo Carminati in una famosa intercettazione. Secondo l’ex terrorista nero, a Roma convivono la città dei morti, fatta di nefandezze e piccola criminalità, e quella dei vivi, che vive agiatamente. Infine, compare il mondo di mezzo, che favorisce i contatti tra le due sponde.
In realtà, Roma è un insieme di città poco connesse tra loro. Un buon lavoro per comprendere la capitale è il progetto #mapparoma lanciato dagli accademici Keti Lelo e Salvatore Monni, insieme al dirigente pubblico Federico Tomassi. Su www.mapparoma.info è possibile accedere alle mappe che chiariscono la composizione sociale della capitale, dal punto di vista di numerose variabili come i nuclei familiari, i titoli di studio, le preferenze politiche. Due volumi sono usciti a supporto del progetto. Nel secondo, Le sette Rome[1], gli autori raggruppano sette zone della capitale, non suddivise per area geografica ma per similarità socio economica.
Secondo lo studio, Marco Prato viveva tra il centro storico e la città ricca, la zona benestante, in linea con lo status familiare. Lo stesso Luca Varani viveva nell’estremo nord della città ricca. La Storta appare infatti come un paese di campagna esterno al GRA dove convivono ville e appartamenti umili. I suoi genitori sono semplici venditori di dolciumi ai mercati, ma l’ambiente sociale è tra i migliori, basta pensare che la fidanzata è l’unico personaggio positivo del romanzo. Sfortunatamente, Luca Varani si spinge a frequentare un gruppo di ragazzi in zona Battistini, nella città del disagio, che la fidanzata guarda con sospetto.
Luca Varani transita dal fulcro della città ricca, dove si prostituisce per i figli di papà, ma morirà nella città compatta, l’area più importante dal punto di vista demografico. Qui abitava Manuel Foffo, e abito anch’io, non troppo distante. La città compatta è prevalentemente formata dalle borgate intorno alla città storica, pensate dal regime fascista per espellere i poveri dal centro. Oggi sono i territori che beneficiano di maggiori spazi e servizi, oltre che della maggiore vivacità intellettuale della città, da cui nascono avanguardie[2]. Qui convivono in una certa armonia ricchi, poveri e migranti.
Anche in questi quartieri si denota una certa divisione sociale tra gli abitanti che si presenta, ad esempio, quando i romani scelgono il supermercato dove fare la spesa. Ma è ingannevole pensare che un gruppo sociale faccia parte della città dei vivi perché fa spesa al Conad, mentre l’altro fa parte dei morti perché frequenta il Todis.
La vita di borgata continua a correre placida senza sospettare che gli avventori del Todis siano disperati pronti a tutto per uscire dalla propria condizione e quelli del Conad dei viziati figli di papà assidui consumatori di droga. Se le due tipologie si incontrano a una festa comune, difficilmente ci scapperà il morto.
Al netto delle inchieste giornalistiche che narrano del disfacimento morale e del collasso socio-economico della capitale, i cittadini romani continuano a barcamenarsi, come se avessero imparato a districarsi in una giungla. Sfruttano i pochi spunti positivi, come la possibilità di effettuare documenti alle edicole, senza recarsi nel caos dei municipi. Sebbene lamentino la carenza di spazi e di servizi pubblici degni di questo nome, non diventano preda di un’isteria collettiva per cui si deve scegliere tra essere carnefici o vittime.
La stampa ha avuto un ruolo determinante nel creare lo scenario noir della capitale e alcuni pasi dell’opera alimentano questa chiave di lettura. Al termine del romanzo, la giornalista Chiara Ingrosso fissa un appuntamento con Ledo Prato, il padre di Marco, dopo averlo incontrato per caso. Lei porta in regalo un disco di Dalida, la cantante per cui il figlio provava una vera ossessione. L’anziano uomo spiega alla giovane giornalista che quel regalo è di cattivo gusto, ma lei non sembra capire. Si trae l’impressione che la carta stampata sia troppo abituata a scavare l’abisso per comprendere le minime relazioni sociali delle comunità che vuole narrare.
[1] Si veda https://www.donzelli.it/libro/9788855222563
[2] Si veda ad esempio il progetto MURo (Museo di Urban Art di Roma) lanciato dall’artista Diavù tra Torpignattara e il Quadraro http://muromuseum.blogspot.com/p/m-u-r-o-f-e-s-t-i-v-l.html
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