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Tutto o niente: società ergodica e confinamento
| 2021 | Visioni
Un gas è detto ergodico se, presa una singola particella, in un tempo lungo essa esplorerà o tutto il contenitore nel quale è contenuta, o una parte minima. Non ci devono essere vie di mezzo. Tale concetto ha molte affinità con il modo in cui la nostra società è concepita da una larga fetta delle classi dominanti, come evidenziato dalla pandemia da COVID-19. Iniziamo con alcuni esempi concreti, che serviranno da fondamenta alla nostra riflessione.
La fascia d’età 0-30 anni corre un rischio praticamente nullo di sviluppare sintomi gravi a causa del COVID. In compenso, è probabilmente la fascia che più di tutte ha subito le conseguenze delle restrizioni. Bambini e adolescenti sono stati a lungo privati della frequentazione scolastica, centrale sia da un punto di vista dell’apprendimento che dal lato dello sviluppo della socialità e dell’identità. Lo stesso schema “state a casa e andrà tutto bene” è stato applicato indifferentemente a loro come alle persone più anziane, benché i rischi non fossero gli stessi. Se da un lato ciò è comprensibile nella situazione emergenziale di Marzo 2020, in cui poco si sapeva e si capiva, è invece grave il fatto che le stesse misure siano state riproposte, annacquate nella forma e nei controlli, ma identiche nella cecità alle differenze anagrafiche, nei mesi autunnali e invernali.
L’obbligo di rimanere in casa nei momenti più duri della pandemia è stato applicato a tutti senza riflettere allo spazio domestico disponibile per ognuno. Essere confinati in un monolocale di 20 metri quadri non è la stessa cosa che essere confinati in una villa con giardino; ciò non è stato tenuto in conto nel momento in cui le misure sono state implementate, probabilmente perché avrebbe tirato fuori la questione – che non si vuole affrontare – della diseguaglianza socio-economica. Per quale ragione chiudere parchi e spazi pubblici, che avrebbero potuto essere utilizzati da chi si ritrova in spazi angusti per prendere una boccata d’aria? Per quale ragione chiudere i musei e i siti archeologici – in cui l’accesso può essere contingentato e si sta in silenzio – invece di renderli gratuiti e aperti anche la sera, facendone una valvola di sfogo per chi si è ritrovato oppresso tra telelavoro e familiari in uno spazio ristretto? Tale condizione ha aggravato la situazione psicologica – già fragile – delle classi più svantaggiate.
Ribadiamo che l’uniformità delle misure prese è stata comprensibile nella situazione di emergenza iniziale, ma non certo nel periodo che è iniziato dalla seconda ondata in poi. Tale persistente cecità alle differenze sociali, economiche, culturali, anagrafiche riflette una tendenza ad immaginare la società come un insieme di individui: si è modellizzato un individuo tipo cui si sono adattate delle regole, e poi si è moltiplicato per sessanta milioni. Tale individuo è caratterizzato dall’avere spazio domestico sufficiente per lavorare e svagarsi, dall’assoluta priorità accordata all’attività lavorativa su tutte le altre attività umane (culturali e sociali in primis), dall’avere una propria identità e socialità già consolidate. Un automa, insomma, o meglio un homo confindustrialis, che nasce e vive solo per produrre e consumare. Una particella senza peculiarità, che interagisce solo quando gli capita, per caso, di incontrare un’altra particella; un corpuscolo incapace di determinare il proprio moto e rappresentativo di tutti gli altri corpuscoli.
Preso il gas che costituisce la nostra società, si fa l’ipotesi che esso sia ergodico: presa una persona qualsiasi, essa o esplorerà nel corso del tempo uno spazio sociale trascurabile, isolandosi nel telelavoro, deprimendosi e abbassando la testa, scomparendo quindi dalla societa’, oppure occuperà tutto lo spazio disponibile, poiché ne ha i mezzi e le possibilità. Non vi sono alternative. O si è sfruttati e trascurabili, o si va ovunque e è padroni di tutto. Non vi è spazio per i corpi sociali, per le differenze di accesso alle risorse, per i conflitti sociali, per le differenze anagrafiche o, ancora, per le peculiarità individuali e per i bisogni non economici nel sistema ergodico cui viene assimilata la nostra società secondo questa visione.
Il lato più preoccupante di quanto finora detto è la totale mancanza di reazioni collettive da parte della popolazione più svantaggiata. Se le classi dominanti, Confindustria in testa, si sono mostrate compatte nelle proprie istanze – veicolate in parlamento dalla Lega e da alcuni settori del PD – lo stesso non si può dire degli altri settori socio-economici. Non vi è stata nessuna manifestazione per un potenziamento del SSN a livello della popolazione generale, per prolungare il blocco dei licenziamenti per un altro anno, per avere voce in capitolo su come verranno spesi i soldi del fondo per la ripresa, tanto per citare tre esempi. Si nota piuttosto una passiva, fatalistica accettazione della propria condizione di particelle trascurabili e solitarie, le cui peculiarità e bisogni che esulano dall’attività lavorativa sono negate e la cui traiettoria nella vita può cambiare solo attraverso urti casuali e non attraverso proteste sociali di qualche tipo o la messa in comune di specifiche istanze. Nessuno spazio è previsto per la solidarietà, se si fa eccezione per la parentesi della Primavera 2020, con l’effimero sostegno alle istanze del personale del SSN, istanze presto cadute nel dimenticatoio. Tuttalpiù si creano estemporanee aggregazioni di categorie, come è il caso delle proteste dei ristoratori che chiedono di riaprire; si tratta di proteste che, più o meno legittime, hanno a che fare con comprensibili questioni di tornaconto personale ma che non portano avanti alcuna istanza di cambiamento, per quanto piccolo, del sistema socio-economico, né rappresentano minimamente delle istanze che il mondo del lavoro rivolge al mondo del capitale.
Come sempre, la pandemia ha evidenziato i problemi pre-esistenti: la mancanza di senso di appartenenza ad una classe e di organizzazione da parte dei più svantaggiati e la mancanza di una struttura politico-sindacale che ne veicoli le istanze, entrambe frutto del modo in cui la società è stata plasmata negli ultimi quarant’anni. Non è nulla di nuovo, ma è terribile vedere a quale punto l’inerzia possa arrivare, specie in una situazione così eccezionale. Scrive Bourdieu a riguardo delle disuguaglianze che quelle più difficili da estirpare sono quelle che entrano nell'”ordine delle cose”. Tanto forte e svantaggioso per le classi sociali più deboli era l’ordine delle cose prima della pandemia, che il “mondo di poi” rischia di essere plasmato unicamente secondo la visione ergodica e disperante delle classi dominanti.
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