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PNRR missione 5 – coesione e inclusione


11 Nov , 2021| e
| 2021 | Visioni

Il recovery plan è stato un documento divisivo, con da una parte chi lo glorifica come portatore della benevolenza Europea e dall’altra chi lo condanna come se fosse stato scritto da satana in persona. Andando ad approfondire il PNRR sono rimasto sorpreso, trovando un documento estremamente vago e fumoso, dove i contenuti sono pochi e ben nascosti sotto molteplici strati di buoni propositi e fiducia nel futuro.

Mi sono focalizzato sulla Missione 5, Coesione e Inclusione, e con stupore nella mia analisi ho trovato contenuti condivisibili, come ad esempio la filosofia dei provvedimenti a favore di persone non autosufficienti, dove si mira ad evitare l’istituzionalizzazione per quanto possibile, con piani di assistenza domiciliare, oltre alla riconversione di alcune RSA in complessi di appartamenti dove sono comunque garantiti i servizi di assistenza. Un altro esempio è l’incremento dell’organico degli ispettori del lavoro da 4500 a 6500 con l’obbiettivo di incrementare le ispezioni del 20% entro il 2024 rispetto alla media nel periodo 2019-21.

Superati questi pochi punti positivi, la parte restante del documento presenta molti punti critici, che troviamo principalmente nella sezione relativa alle politiche del lavoro. Qui emerge appieno l’impianto ideologico neoliberista del PNRR, a partire dal linguaggio: in questa narrazione il problema principale del mercato del lavoro italiano è un “mismatch di competenze”, dove alcuni lavoratori hanno compiuto degli investimenti formativi errati non risultando appetibili per le aziende. Il compito dello stato è quindi l’impegnarsi per ridurre questo gap, fornendo opportunità di “upskilling” e “reskilling” ai poveri stolti che hanno studiato filosofia e scienze politiche per acquisire competenze smart, che li renderanno finalmente impiegabili.

Da queste considerazioni emerge chiaramente un’idea alla base di questi provvedimenti, un fil rouge che passa attraverso tutte le riforme a seguire: il problema del mercato del lavoro sono i lavoratori. Si fa “reskilling”, trasformando filosofi in camerieri, classicisti in operatori di call center, senza guardare l’enorme patrimonio che si sta sperperando. È sicuramente vero che queste professionalità non vengono assorbite nel mercato del lavoro, ma è davvero perché sono inutili oppure è perché non creano profitto? La risposta è sicuramente la seconda e la soluzione non è sicuramente il “reskilling”, ma un impegno statale in economia per poter mettere a frutto queste competenze.

Il documento non si cura minimamente del tessuto produttivo e dell’offerta lavorativa delle aziende, con posizioni indegne, stipendi ridicoli e condizioni di lavoro disumane. Quasi sempre, in Italia, lavorare significa essere sfruttati. I provvedimenti (a partire dal il piano Garanzia di occupabilità dei lavoratori) sono pensati solo ed esclusivamente per andare incontro alle esigenze delle aziende, andando a ridurre il cuneo fiscale, regalando fondi per la formazione interna, o con il sistema Duale il cui compito è assicurarsi che siano soddisfatte le esigenze delle aziende in termini di competenze, con opportuni corsi di formazione.

Sempre in tema sfruttamento, si spendono molte parole sul contrasto al lavoro in nero ed in particolare al caporalato. Purtroppo, oltre all’ampliamento dell’organico degli ispettori del lavoro (di cui sopra), vi è ben poco di cui gioire, a partire dagli inevitabili incentivi economici alle aziende per fare quello che prevede la legge; si parla inoltre di una campagna di informazione (orientata sia ai datori di lavoro che ai lavoratori) per far comprendere il “disvalore” che il lavoro a nero crea. Qui emerge molto chiaramente la percezione del rapporto lavoro che il governo ha, un contratto tra due soggetti giuridici con pari potere, che scelgono liberamente se e come entrare in un rapporto di lavoro. Questo non potrebbe essere più lontano dalla realtà, ovviamente il datore di lavoro ha un potere contrattuale ed economico superiore di vari ordini di grandezza rispetto al lavoratore, basti solo pensare alla possibilità di licenziamento economico e al non obbligo di reintegro per i licenziamenti giudicati illegittimi, o all’emozionante mondo del mobbing.

Va detto in tutta onestà che le aziende non sono le sole a sfruttare, si stanziano infatti 650 milioni di euro per potenziare il servizio civile, venduto come “un percorso di apprendimento non formale”, invece del più appropriato “schiavitù”, data la magrissima paga di 444,30 € al mese.

Ho volutamente lasciato da ultimo il delicato argomento delle misure a favore delle donne, sia perché l’investimento in questione è molto complesso nelle sue implicazioni, sia perché rappresenta perfettamente l’essenza del PNRR, come vedremo.

L’investimento Creazione di Imprese Femminili è un programma mirato a favorire l’imprenditorialità femminile. La mia reazione iniziale è stata di rigetto, in quanto questi programmi contribuiscono a solidificare la percezione sociale dell’imprenditore come una sorta di superuomo; si percepisce inoltre un forte olezzo di femminismo “glass ceiling” la cui unica mira è aprire i ruoli più prestigiosi della società anche alle donne, senza toccare minimamente l’impianto capitalista. Andando tuttavia ad analizzare più a fondo gli effetti di questo progetto, si vede che andrà ad aiutare una categoria vessata in primis sul posto di lavoro. Se il progetto consentirà a delle donne di poter evitare un colloquio dove si chiederà se pensa di avere figli, di poter andare al lavoro senza temere molestie o abusi di potere, contribuirà ad alleviare alcune donne da parte dell’oppressione patriarcale-capitalista. La criticità di questo tipo di approccio sta tuttavia nell’impianto ideologico, in autentico stile liberal si va a mettere un cerotto sul tubo che perde, andando a mitigare in parte minima gli effetti di una società patriarcale senza preoccuparsi di cambiarla.

Quest’ultimo punto riassume in maniera abbastanza chiara lo spirito del documento, che è fondamentalmente fatto di toppe e cerotti, senza andare a guardare da chi e da cosa sono stati causati i danni. Il PNRR è figlio un’Europa che tenta di mostrare un volto più umano del capitalismo neoliberale, probabilmente per riconquistarsi la fiducia di una parte della classe media italiana che è logorata dalla competizione sui mercati mondiali. Sicuramente, dati i fondi stanziati, questi interventi si dimostreranno insufficienti per recuperare le perdite della crisi, anche se saranno sicuramente glorificati a reti unite per i prossimi anni.

Di: e

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