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Il personale è politico
Dopo 40 anni di retorica neoliberista la società è ormai percepita dalla stragrande maggioranza della popolazione come un semplice insieme di individui. Tutte le problematiche e i fallimenti devono essere risolti nella sfera privata, anche se le cause di questi problemi sono in larga parte politiche.
Ideologia meritocratica
Pensiamo tutti di vivere in una società meritocratica, abbiamo interiorizzato il mantra “se ti impegni ce la farai”, da intendersi sia in termini di ricchezza che di status. La nostra società è pervasa da questo messaggio, basti pensare alle famose “eccellenze italiane” di cui i politici spesso si riempiono la bocca, agli imprenditori simbolo di astuzia e duro lavoro.
Si divide quindi la società in “vincitori” e “sconfitti” in base al merito. Ogni successo lavorativo diventa una conquista personale, ogni inciampo un fallimento che si sarebbe potuto evitare lavorando più duramente. Anche chi ha perso il lavoro durante la pandemia, se si impegna, lo troverà sicuramente. Questo implica ovviamente che lo “sconfitto” che non riesce a trovare un lavoro non si è impegnato abbastanza ed è quindi responsabile del fallimento.
Andando a sviscerare questa idea, è apparente che tre assiomi devono essere necessariamente veri perché la società in cui viviamo possa essere definita meritocratica:
- Tutti gli individui partono con pari opportunità;
- I criteri di giudizio del merito sono universalmente validi;
- Tali criteri sono applicabili a tutte le attività e le scelte individuali
Osservando da vicino queste tre condizioni necessarie, appare evidente che non si avvicinano neanche lontanamente alla realtà dei fatti. I dati sulla mobilità sociale1 nel nostro Paese, come ogni altro, mostrano come nascere in una famiglia con alto reddito assicura il raggiungimento di un certo status sociale e reddituale, a prescindere dall’impegno e dal merito.
Prendiamo in considerazione le promozioni interne alle aziende, dove molto spesso vengono esclusi a prescindere candidati scomodi, sia per questioni personali (magari per aver scelto di non partecipare a chat con contenuti misogini) che per questioni politiche, come aderire al sindacato. Tutto questo senza neppure toccare il nepotismo profondamente radicato nel settore privato, o la corruzione per la selezione dei fornitori di servizi esternalizzati.
Vivono al di fuori dell’ideologia meritocratica anche tutti i legami sociali e familiari esterni all’ambito professionale, che contribuiscono in maniera importante alla realizzazione della persona e al suo benessere psicologico ed emotivo. Nell’ideologia meritocratica, infatti, l’individuo è ridotto alla dicotomia vincitori/sconfitti e le sue azioni possono solo avvicinarlo ad una delle due condizioni. Prendersi cura dei propri cari oppure coltivare una vita sociale o un interesse diviene un’attività deleteria, guardata con sufficienza perché non “produttiva”.
La condizione psicologica degli sconfitti
Andiamo ad analizzare più da vicino la categoria degli “sconfitti”, persone che hanno in larga parte interiorizzato l’ideologia meritocratica, ma che non sono riusciti a “farcela” nella società.
Prigionieri della convinzione che la società premia chi ha talento e chi si impegna, il fallimento sociale diventa una questione estremamente intima e personale. Se ho fallito ci sono solo due possibilità: non mi sono impegnato abbastanza o non ho valore. Questo crea un profondo disagio, che si va a sommare a tutte le difficoltà psicologiche del dover vivere in un contesto non agiato.
Non è un caso che negli ultimi anni in Italia si sia visto un costante aumento del consumo di psicofarmaci, in particolare antidepressivi e benzodiazepine (ansiolitici)2. Lo sconfitto si trova in una perenne competizione, fatta di straordinari non pagati, corsi di “self improvement”, finte partite IVA, obiettivi sempre più alti. Sarebbe strano se i casi di disturbi d’ansia non fossero in aumento.
Chi invece cede e non è più in grado di restare in corsa, si sente annichilito, privo di valore, come se il fallimento fosse esclusivamente una sua colpa, anche perché il mantra “se ti impegni ce la farai” non ammette scuse. Qui entra in gioco la depressione, spesso scatenata dalla sensazione di non avercela fatta perché non si è abbastanza capaci o determinati.
Non aiuta a migliorare il quadro un sistema sanitario dove è quasi impossibile intraprendere un percorso di psicoterapia, o essere seguiti gratuitamente da uno psichiatra, se non in casi patologici e molto gravi. Fortunatamente ancora gli psicofarmaci vengono passati gratuitamente.
Gli effetti del lockdown
Il lockdown ha sicuramente avuto un effetto trasversale, le chiusure sono state infatti applicate a tutti a prescindere dal reddito. Si può constatare tuttavia che gli sconfitti hanno sicuramente patito maggiormente le conseguenze del lockdown.
Facendo solo un rapido cenno alla crisi economica e alle sue conseguenze, moltissime persone hanno perso il lavoro o hanno visto un enorme calo negli introiti. Questo ha avuto un ulteriore peso psicologico, da sommarsi al sopracitato disagio “meritocratico”.
L’elemento su cui, in tempi normali, si fa affidamento in questi casi è la sfera sociale ed interpersonale. Anche se non si ha successo a livello di reddito e status sociale, si possono comunque coltivare relazioni umane: si trova un appoggio nel partner, nella famiglia, negli amici, nel tentativo di lenire il malessere da sconfitti.
Durante il lockdown, tutta questa complessa rete di legami estremamente importanti per il benessere individuale è stata tranciata di colpo. Mesi in isolamento pressoché totale, senza possibilità di socializzare, avere contatto fisico. Si è pensato che le attività sociali non fossero attività fondamentali; invece di trovare modi efficaci per soddisfare il bisogno di socialità in sicurezza – si pensi al divieto assurdo di incontrarsi all’aperto in zona rossa – si è bloccato tutto, senza nemmeno riconoscere il bisogno di socialità come un bisogno legittimo.
Osservando gli avvenimenti dopo ogni ritorno alla zona gialla, con rave illegali e piazze piene, sembra evidente che il bisogno è presente, e se non viene ascoltato si fa avanti con la forza, in forme più o meno condivisibili.
Sommando la frustrazione per la propria miseria di posizione3 alla chiusura della socialità, unico canale dove si possa trovare una qualche consolazione, si ottiene una pressione psicologica devastante.
Anche gli “sconfitti” hanno diritto di esistere
Abbiamo visto che le sensazioni di sconfitta personale e di disagio non sono in larga parte imputabili a mancanze personali, ma alla struttura stessa della società in cui viviamo. È necessario dire a gran voce che gli “sconfitti”, i “mediocri”, coloro che non vogliono partecipare (o non sono in grado) alla competizione sfrenata per la posizione sociale, hanno il diritto di vivere serenamente, senza la paura costante di non riuscire ad arrivare a fine mese, di perdere il lavoro, di essere sfrattati.
La società non deve concedere il diritto di esistere dignitosamente solo alle eccellenze, ai “migliori”, ma anche a chi è contento di fare un lavoro umile, a chi odia il proprio lavoro, a chi non desidera “farcela”. I problemi personali, psicologici, l’ansia, lo stress, la pressione, non ci toccano solo come individui, ma anche come comunità, come classe.
La meritocrazia, peraltro, è lungi dall’essere qualcosa di misurabile solo con parametri tarati sul singolo individuo. Per come viene presentata nel discorso pubblico odierno, essa non è altro che una mistificazione, un’illusione, un tappeto sotto cui nascondere lo sporco della società: i rapporti di forza tra classe dominante e classi subordinate, tra sfruttatori e sfruttati, nonché l’origine sociale degli individui e la differenza di accesso alle risorse economiche e culturali, presente fin dalla più tenera infanzia. È proprio da questi rapporti di forza (la cui bilancia pende pesantemente dalla parte della classe dominante) e di origine sociale che nascono i reali criteri sistemici che stabiliscono chi esce vincitore dalla spietata competizione sociale in cui siamo immersi.
Non si tratta quindi di un sistema imperfetto, da rivedere ed affinare, ma di un apparato ideologico profondamente radicato che è necessario smontare pezzo per pezzo, per poter riportare alla luce i problemi reali, di carattere economico e sociale, che causano i problemi umani di cui sopra.
Gli sconfitti di cui abbiamo parlato finora corrispondono in maniera praticamente univoca alle classi subordinate, ed è proprio per questo che le soluzioni a questi problemi non sono trucchi per aumentare la produttività, diventare goal oriented, tecniche di respiro per combattere lo stress, sono soluzioni politiche, soluzioni che vadano a modificare la società per far sì che ognuno possa accedere alle stesse opportunità, che vi siano aiuti per coloro che rimangono indietro.
È necessario impegnarsi in un lungo e faticoso lavoro di dialogo con le classi subalterne, con l’obiettivo (nel breve termine) di riportare alla luce il significato politico delle sofferenze personali causato dall’apparato ideologico meritocratico. In questo modo sarà possibile interrogarsi collettivamente sulla struttura della nostra società, e su come possiamo risolvere le sue ingiustizie e contraddizioni.
Fonti
1 – https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2018-0476/QEF_476_18.pdf
2 – https://www.aifa.gov.it/-/trend-consumo-psicofarmaci-in-italia-2015-2017
3 – Pierre Bourdieau – La miseria del Mondo
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