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La politica monetaria dissennata (e non il Covid) ha zombificato l’economia globale
(In memoria di Paul Volcker, inascoltato)
La schiera di osservatori qualificati chi si attende un “Minsky moment” negli USA si sta infittendo, venuti a farci compagnia nella posizione che ormai da diversi trimestri occupiamo. L’ultimo “Minsky moment” si era manifestato nel 2008, all’inizio della Grande Recessione. Se una rondine non fa primavera, ma comunque l’annuncia, ci sono molte premesse che il 2022 somigli al 2008. Fervida fantasia? Gli esperti “ufficiali” che si accalcavano a definire “transitoria” l’inflazione, scimmiottando la Fed, ora probabilmente sarebbero scandalizzati .…. ma questo costituisce un elemento certo per considerare una tale fantasia oltremodo verosimile.
Dopo aver minimizzato i rischi d’inflazione per tutto l’anno, la Fed, tutto d’un botto, ha preso paura (o meglio “fa finta”, sornionamente, di averla presa) e tutto ha iniziato a muoversi molto più velocemente: la fine del QE, le riduzione del bilancio FED, l’aumento prospettico dei tassi. L’inflazione ora è una “grande minaccia”. Mah! Timeo Danaos et dona ferentes……
Ora, bando all’ironia, vieniamo ai fatti: quelli che contraddistinguono un “fake-newers” da un osservatore serio ma non allineato. Per iniziare, con una rapida restrospettiva e senza timore di errore, potremmo sostenere di aver vissuto sino ad oggi nel “Secolo del Debito” ma, se continua così, anche nel secolo del “Grande Default”. Di chi sarà la colpa per la storia, in tale eventualità, non è difficile intuirlo. Dal 2000 tassi di interesse irrisori, garantiti dalle banche centrali praticamente in quasi tutte le economie avanzate, di nuova industrializzazione ed emergenti, hanno alimentato una crescita del credito privato senza freni, assieme ad una gigantesca bolla finanziaria e immobiliare. La sua prima esplosione? Nel 2008, con conseguenze drammatiche per tutta l’economia globale. Le autorità monetarie, spinte dalla politica, hanno allora giocato a “Lascia o Raddoppia”…..raddoppiando! Infatti, già nei primi anni post-GCF, il supporto monetario è andato ben oltre lo scopo di restituire stabilità al sistema e i bilanci delle banche centrali, in poco più di un decennio, sono letteralmente “esplosi”. I tassi d’interesse depressi a forza di QE, sotto i più disparati nomi, hanno generato un sovraindebitamento pubblico a livelli inediti in tempi di pace. Con tassi reali di mercato negativi i costi d’indebitamento sono divenuti trascurabili anche per i prenditori privati meno meritevoli (ma questa storia non assomiglia a quella dei mutui subprime? …. forse mi sbaglierò!): una lifetime opportunity che rischia ora di rendere la lifetime assai più corta! Siamo infatti arrivati all’assuefazione da debito, ampia e diffusa, favorita da quelle politiche monetarie senza freno: il “non costo” reale del debito è l’altra faccia della repressione finanziaria.
Purtroppo nessun pasto è gratis e prima o poi il conto arriverà. Il Covid per certi versi lo ha ritardato: nel 2020, quando il modello di crescita basato sull’accumulo di debito, pubblico e privato, oltre che sui bassi tassi di interesse sembrava iniziare a indebolirsi, è arrivata la recessione da COVID-19. Il rischio di un rialzo dei tassi – sia di mercato che ufficiali – si è così temporaneamente allontanato: un’economia che marcia a ritmo ridotto è un ottimo alibi pure per le banche centrali, anche se il caos creato nelle catene di fornitura globali si traduce in una potenziale bomba inflattiva.
Inoltre l’impennata della spesa pubblica mondiale del 2020 ha ulteriormente appesantito l’onere da correggere in futuro, visto che non sembra verrà corretto a breve. Il nuovo debito pubblico sta diventando sempre meno gestibile e si scontra con l’assenza di crescita, che lo rende potenzialmente instabile (anzi “certamente” se, fatta eccezione per il rimbalzo 2021, la lenta crescita diventa il new normal nello sviluppo del PIL). Il suo accumulo (e anche il debito privato, soprattutto quello emesso dalle aziende) potrebbe raggiungere il punto di non ritorno. Tirando le somme, ad inizio 2011 il debito globale ha raggiunto i 200 trilioni di dollari, mentre il PIL mondiale era di 74 trilioni di dollari (quindi un rapporto debito/PIL al 275%, quando alla Republic of Italy fanno oggi problemi intorno al 160%). Nel secondo trimestre del 2021, il debito globale ha raggiunto quasi i $ 300 trilioni con un PIL di $ 89,9 trilioni (debito/PIL al 330%), in soli 10 anni (“Memento Maastricht”).
Se è vero che “del doman non v’è certezza” è invece sicuro che qualità del credito media, tanto pubblica che privata, sia peggiorata: nell’ultimo decennio il debito globale è infatti cresciuto più di quanto sia cresciuta l’economia globale, il reddito “a servizio” (o “utile per estinguerlo”) del debito cresce più lentamente di quest’ultimo e, quindi, la coperta è sempre più corta. Tuttavia, mentre il fenomeno ha una forte visibilità per la finanza pubblica, è meno percepita la sua rilevanza in ambito privato. Non per questo la situazione è però meno severa.
Negli USA, ad esempio, i dati più recenti, relativi al rapporto di copertura degli interessi passivi (interest coverage ratio = utili ante interessi ed imposte (EBIT) diviso interessi passivi) delle imprese non finanziarie private quotate sul mercato – forniti dalla Fed – indicano una continua diminuzione del valore mediano già dalla fine del 2018, ben prima quindi della Pandemia. Il rapporto, “paradossalmente”, risulta invece in ripresa dalla seconda metà del 2020. Nonostante ciò rimane sui livelli del 2009, toccati nel bel mezzo della Grande Recessione.
I dati, di fonte ufficiale (non qualche sito del “sottobosco mediatico internettiano”), confortano quindi la nostra ipotesi che il modello di crescita dell’economia, basato sul debito a basso costo, stesse iniziando a perdere colpi già qualche anno e che la Pandemia ha invece “aiutato” le imprese ad onorare il pagamento degli interessi passivi.
Il peso specifico del fenomeno appare in tutta la sua forza se consideriamo il tasso di copertura degli interessi delle società del primo quartile (ovvero il 25% delle società con il rapporto più basso): il suo valore è inferiore all’unità dal 2012. Tradotto nell’italiano dell’uomo comune, un rapporto inferiore a 1 significa che i profitti di un’azienda sono insufficienti per pagare i costi di finanziamento (usando la terminologia di Minsky è una “società Ponzi”, dal nome del famoso truffatore degli anni ’20 nel XX secolo).
Purtroppo non è tutto: in questa classe il ratio di copertura degli interessi per le aziende del venticinquesimo percentile ha quasi raggiunto lo zero poco prima della Pandemia (i loro profitti erano pressoché scomparsi). Da quel momento il rapporto è stato negativo (queste società hanno registrato perdite) ma mentre, come suaccennato, molte imprese si sono riprese proprio nel corso del 2020 (altrimenti non si spiega il miglioramento del valore mediano), loro hanno proseguito la deriva. Il rapporto è attualmente appena sopra -1: le loro perdite (prima degli interessi) sono quasi uguali ai costi di finanziamento, insomma un disastro totale, almeno il 25% delle aziende statunitensi è finanziariamente morto. Nel gergo finanziario una società che presenta utili prima di interessi e tasse inferiori ai costi di servizio al debito viene definita una “società zombie”. Il termine “Zombie” è una metafora meravigliosa perché uno zombie si muove e sembra essere vivo ma in realtà è morto. Negli ultimi 10 anni la “zombificazione” ha subito un’accelerazione in quasi ogni parte del mondo come ci indica la Bank for International Settlements, la Banca Centrale delle Banche Centrali:
Fonte: Banerjee & Hofmann, Bank for International Settlements (BIS).
Soprattutto questo numero negli ultimi anni è aumentato esponenzialmente proprio negli Stati Uniti:
Fonte: Banerjee & Hofmann, Bank for International Settlements (BIS).
Ora voi direte: Caspita! Chissà in che condizioni disastrose si trova il mercato delle obbligazioni societarie (corporate bond), specie quelle USA, e chissà dove sarà finito l’azionario, visto che i mezzi propri delle società rappresentati dalle azioni, sono il capitale che “assicura” il pagamento delle obbligazioni per le società quotate sul mercato. Chi trae queste conclusioni è, a quanto pare, un illuso!! Curiosamente, le società Zombie USA sopravvissute al 2020 hanno infatti valutazioni di mercato che sono andate “alle stelle”. L’Enterprise Value (EV), che nel 2019 era vicino ai 2 trilioni di dollari, ad inizio 2021 superava i 6 trilioni di dollari:
Fonte: Kailash Capital, LLC
L’imponente montagna di debito globale non sta ricevendo molta attenzione dal grande pubblico, nonostante il ritmo esplosivo con cui è cresciuta in dimensione e visto l’enorme potenziale che possiede di causare il caos. Forse perché è semplicemente troppo grande per essere seriamente contemplata, ma la rapida crescita del debito è uno dei tanti fenomeni dell’era Covid che “ravvivano” le prospettive del mercato per il 2022. Il suo peso di sicuro rinforza il ruolo degli investitori “insensibili ai prezzi”, gli attori principali nella compressione dei rendimenti di mercato. L’eccesso di risparmio è una parte importante dell’intero meccanismo: in tutta l’Asia, e oltre, ci sono una o due generazioni diventate ricche con i boom del dopoguerra. Queste sono ora più preoccupate di preservare il capitale piuttosto che di incrementarlo. La loro presenza aiuta a spiegare le ondate di acquisti che hanno contribuito a limitare i rendimenti a circa l’1,7% per i Treasury USA a 10 anni nel 2021, così come la domanda di fondi pensione e società di assicurazioni. Poi ci sono gli investimenti sostanzialmente forzati da parte delle banche che devono detenere titoli sovrani per rispettare le regole introdotte dopo il crollo di Lehman Brothers. E, infine, ci sono i trilioni di dollari che le banche centrali detengono, sia tramite i programmi di QE che nelle loro riserve valutarie. Non è quindi strano che su diversi mercati i rendimenti dei titoli sovrani siano negativi … e allora, cosa resta da comprare per “staccare” delle “cedole decenti”? Beh, ovvio le obbligazioni corporate, quindi alla compressione dei rendimenti dei Treasury consegue, per farla semplice, la compressione dei rendimenti dei bond Corporate, acquistate a man bassa complice l’equivalenza (per certi versi un po’ naif): bond corporate = molto meno rischioso di equity. Il problema è che, sebbene tutti questi investitori a lungo termine possano teoricamente rassicurarci sul fatto che i rendimenti rimarranno bassi, allo stesso tempo preoccupano poiché la loro avversione al rischio – a questo punto teorica – è un enorme pericolo se i rendimenti iniziano a salire – facciamo un’ipotesi “azzardata”? Ad esempio …. per una “bella fiammata inflattiva”? – intaccando la liquidità del mercato e amplificando il potenziale di estrema volatilità attualmente sopito.
I mercati ora sono estremamente compiacenti, purtroppo i fondamentali non sembrano giustificare il loro ottimismo. Insomma …. il vento potrebbe cambiare rapidamente da un momento all’altro. Le aziende Zombie, che come abbiamo visto erano un problema già prima del 2019, non solo non sono state eliminate dall’impatto economico della Pandemia, ma sono addirittura aumentate di numero…… Che si fa? Seconda visione di “I’m a Legend” con Will Smith? Se alla pazzia diffusa non possiamo mettere la camicia di forza, almeno incrociamo le dita con l’arrivo del 2022!
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