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La Presidente della BCE inciampa e rimette al centro del palco i rischi di ridenominazione per l’Euro
Mentre il pubblico che segue le vicende finanziarie e la stampa sono focalizzati sugli eventi (perdite) del mercato azionario, improvvisamente a ciel sereno è apparso e si è imposto all’attenzione un tema ben più destabilizzante in termini di rischi (specie per i sistemi bancari, in primis il nostro): le tensioni derivanti dal cambio di tono delle politiche monetarie si stanno diffondendo agli spread sovrani europei periferici:
Gli spread dei treasury a 10 anni paesi europei periferici rispetto al Bund
Nel recente passato avevamo già sottolineato come fosse già presente da tempo questo rischio, sostanzialmente implicito nella comparsa di una dinamica inflattiva pericolosa (si veda: “Il debito pubblico e le lezioni sull’inflazione che ci vengono dalla storia” del dicembre 2020). Purtroppo vaga sempre nei mercati un certo grado di dissonanza cognitiva (forse perché abituati a essere “guidati con precisione”): le dichiarazioni giunte giovedì 3 febbraio dalla BCE non avevano immediatamente sortito un effetto così, in parte forse per i toni ormai “familiari” del tema e comunque in presenza di una valutazione ancora incerta circa il futuro dell’APP. L’acqua lentamente si è però insinuata nelle fessure della diga facendo il suo lavoro e le tensioni hanno iniziato a montare esplodendo in modo significativo nei giorni successivi.
Come ha osservato Michael Read di Bloomberg, specie nella mattinata di lunedì 7 febbraio, gli spread dei treasury italiani rispetto al Bund 10Y si sono aperti notevolmente ed in misura maggiore se confrontati con i titoli greci, mentre il segmento a breve accusava un certo ritardo. La Grecia, seppur con uno spread che segna un ampliamento inferiore, presenta anch’essa una situazione piuttosto fluida (ma probabilmente non molto liquida).
Rendimenti dei titoli di stato greci (blu) ed italiani a 10 anni
Come mai è avvenuto questo improvviso “crollo”? Sappiamo benissimo, da tempo e con assoluta certezza, diverse cose: l’Europa periferica ha beneficiato notevolmente delle misure di emergenza della BCE ed ora accusa il colpo di una loro più rapida rimozione, come indicato dalla BCE la scorsa settimana e fatto risonare da altre fonti a titolo di conferma e rinforzo dopo la banca centrale.
La Lagarde dal canto suo ha cercato di stemperare le tensioni, parlando di fronte al Parlamento Europeo in serata, ma ormai il vaso di Pandora è aperto e non sembra possibile richiuderlo. Quindi, mentre la Chairman sottolineava come tutti i commenti siano condizionali “senza però porre o mettere in luce condizioni”, il mercato ha fatto ciò che fanno i mercati: anticipare il potenziale per un cambiamento nella sequenza temporale di normalizzazione della BCE.
Per i titoli periferici le prospettive di aumento dei tassi non sono infatti uno scherzo (sebbene, vista la reazione iniziale, sia una conclusione inevitabile ritenere che larga parte del mercato, sonnecchiante, fosse prima di simile avviso). Lo sviluppo in atto sugli spread tra Treasury 10Y e Bund 10Y non è altro che la reazione (in corso) alle aspettative di una rimozione anticipata delle misure di sostegno della BCE, ed il tema – oltre, ovviamente, ai suoi effetti – non sembra destinato ad esaurirsi nel breve periodo. Qualcosa di molto inquietante è infatti tornato sugli schermi dei radar: il rischio di ridenominazione dell’euro (ovvero la possibilità di un’uscita dall’euro) è di nuovo un tema di attualità per il mercato dei CDS, dove le quotazioni per il rischio sono in vistoso aumento…
I CDS: una misura del rischio di ridenominazione
La scorsa settimana i rendimenti dei Treasury tedeschi a due anni sono aumentati a un ritmo che non si vedeva da lungo tempo, gli spread societari si sono ampliati e la volatilità dei tassi è riemersa dopo molto tempo con forza. Di fatto le condizioni finanziarie si sono inasprite, contrariamente alle intenzioni dichiarate della BCE che faceva riferimento al concetto di gradualità. Il movimento dei rendimenti dei Treasury tedeschi a due anni ha, in particolare, una magnitudo da 9 sigma se consideriamo la serie storica degli ultimi 6 anni. Per verificarlo è sufficiente focalizzarsi sull’intervallo di escursione sotto riportato: in 6 anni i rendimenti sono rimasti nel box che delimita i 45 p.b.; l’escursione negli ultimi 6 giorni è stata di 41 p.b., un evento che ha, verosimilmente, fatto letteralmente “esplodere” i modelli di rischio (VaR) di qualsiasi banca e/o fondo di investimento.
L’ “esplosione” dei tassi sui Bund a due anni
La dichiarazione della BCE, alla prima uscita del 2022 sul tema della revisione negli indirizzi di politica monetaria, ha ampiamente ribadito le indicazioni di dicembre, la presidente Christine Lagarde è però verosimilmente inciampata in un errore di comunicazione non rendendo abbastanza condizionale e remota l’ipotesi di aumento dei tassi nel 2022 nelle sue osservazioni finali. Avrebbe in realtà potuto sottolineare come una simile ipotesi sia tutt’altro che scontata, evidenziando che non si sta assistendo a quegli aumenti salariali che vengono ipotizzati da una parte del mercato, non si intravvede alcuna spirale di inflazione. Soprattutto, non ha sottolineato come la BCE non abbia alcuna intenzione di “fare strappi”.
Forse la reazione dei mercati può apparire esagerata ma c’erano tutte le ragioni per una simile risposta: se le banche centrali non capiscono perché i mercati si spaventano devono comprendere che una comunicazione di questo tipo li mette in forte difficoltà. Le scelte di portafoglio non possono essere fondate su prospettive confliggenti: o si acquista o si vende o si mantiene la posizione invariata, non si può dire “forse” e rimanere in una “sospensione di giudizio”. Se le banche centrali si presentano ondivaghe ed usano troppi “forse”, che è ben diverso dal condizionare le proprie azioni a prospettive su cui vengono espresse delle stime, e ritrattano la loro posizione, accuratamente delineata, nel giro di poche settimane (ricordiamo che a dicembre la Lagarde ha praticamente escluso un aumento quest’anno) allora la conseguenza non può che essere la volatilità, un risultato quasi sempre indigesto per i politici.
A questo proposito in questi giorni è venuta meno un’importante correlazione: di solito in presenza di un ampliamento dello spread BTP-Bund, molti investitori cercano “sicurezza” indirizzandosi verso il franco svizzero uscendo quindi dall’euro. L’ultima settimana ha visto un netto “disaccoppiamento” di tale relazione quando gli investitori hanno mostrato una maggiore per l’euro (specie dai cross con l’USD) mentre gli spread sovrani dell’UE sono esplosi:
L’anomalia dell’andamento divergente tra spread e franco svizzero
Un’incoerenza questa che dovrà trovare soluzione od in una direzione o nell’altra ma che può anche significare un’altra cosa: il mercato si attende dichiarazioni rassicuranti, rasserenanti, dalla politica che eventualmente potrebbe porre delle condizionalità ma non dare per certo un irrigidimento della situazione come profilato dalla Lagarde. In questo caso quello che sembra un rischio può invece divenire un’opportunità.
Nel frattempo, sebbene i livelli di rischio di ridenominazione – o comunque gli spread sovrani – rimangano notevolmente al di sotto dei massimi della crisi del 2011/2012, questa significativa riacutizzazione rimette sotto i riflettori l’azione delle banche centrali: c’è talmente tanto rischio che il repricing del mercato può produrre i suoi effetti prima che le banche centrali siano obbligate a invertire la rotta. Data l’improvvisa richiesta di protezione del credito (sovrano e corporate), è lecito sospettare che la copertura degli operatori sia già iniziata. Di certo il 2022 non si prospetta come un anno tranquillo – anzi verosimilmente sembra più un periodo decisivo – per l’Eurozona e per gli operatori finanziari che vi hanno sede.
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