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La FED ha iniziato il conto alla rovescia verso la prossima recessione USA


15 Feb , 2022|
| 2022 | Visioni

Un vecchio grafico della Bank of America mostra come ogni ciclo di inasprimento della Fed abbia condotto storicamente, in modo pressoché “automatico”, ad una crisi recessiva. Incrociando il grafico con l’andamento degli indici azionari USA appare inoltre chiaro che ogni volta che la Fed “tira via il punch dal tavolo” la “festa finisce” ed il mercato “riprezza” su livelli significativamente più bassi.

La FED ha iniziato il conto alla rovescia verso la prossima recessione USA

Il grafico precedente è della fine del 2018, poco prima che Powell abbandonasse la linea rigorista appena intrapresa e cambiasse strada rispetto alla stretta monetaria da poco adottata, ma anche non molto tempo prima che la pandemia da Covid innescasse il più grande stimolo di politica economica (monetaria e fiscale) nella storia dell’Umanità. Ora, assodato che il cambio di direzione della politica monetaria attiva il conto alla rovescia della recessione, la domanda successiva è oltremodo ovvia: “Quando la recessione inizierà?”.

Uno dei primi segnali che si manifesta lungo la strada verso la recessione è, storicamente, l’inversione della pendenza della curva dei rendimenti. Lo spread tra i rendimenti a 10 anni e a tre mesi è un indicatore di un certo rilievo: in sei occasioni negli ultimi 50 anni, quando il rendimento a tre mesi ha superato quello a 10 anni, è seguita invariabilmente la recessione economica, iniziata in media 311 giorni dopo la manifestazione del segnale. Ad esempio, l’inclinazione della curva dei rendimenti riassunta dallo spread tra i 3 ed i 10 anni – come evidenziato dal seguente grafico di Bloomberg – si è invertita (negativa) nel 1989, nel 2000 e nel 2006, con un inizio delle recessioni a partire dal 1990, 2001 e 2008. Ecco perché, come scrive Jim Reid di DB, la decisione della Fed avrà profonde implicazioni per la data di inizio della prossima recessione.

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Lo spread 10 anni – 3 mesi non è però l’unico segnale che annuncia una probabile recessione: un segnale più forte (ed affidabile) viene da un secondo spread, quello tra tassi a 10 anni e tassi a 2 anni. Infatti, negli ultimi 70 anni, OGNI recessione è avvenuta solo DOPO che i 2s10 si sono invertiti. Attualmente siamo ancora a circa +40/50 p.b.. Un differenziale risicato nel contesto attuale, visto che eravamo a +160 p.b. lo scorso marzo e +70/80 p.b.. qualche settimana fa. I rialzi della Fed nel 2022 potrebbero invertire la curva già nel primo semestre del ’23, in base alle evidenze che ci vengono dalla storia:

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Supponendo che i 2s10 rimangano invertiti per 3 mesi, l’intervallo d’attesa per la recessione è stato storicamente relativamente stretto tra 8-19 mesi a parte il ’08 (25 mesi) e la metà della fine degli anni ’60, quando la Fed ha appiattito la curva, tagliando i tassi ufficiali, a causa della debolezza del mercato azionario anche se l’inflazione era in aumento (vale a dire: ha commesso un errore di policy).

Recentemente il capo della ricerca della Deustche Bank, Jim Reid, ha scritto che “con l’inflazione dilagante, il divario tra occupazione e produzione negli Stati Uniti è quasi chiuso, la Fed sta rapidamente creando le premesse per un completo appiattimento della curva. Insomma, è giusto dire che gli ingredienti classici per la prossima recessione stanno scendendo in campo e sono pronti a combinarsi”.

Reid diverge però dall’opinione del CIO di BofA Michael Hartnett, secondo cui una recessione potrebbe manifestarsi già nella seconda metà dell’anno. Alcuni elementi dello scenario sono senza dubbio traballanti se confrontati con il track record che la storia delle recessioni evidenzia. Reid stima che la prossima recessione potrebbe iniziare a metà del 2024, quindi questa fase espansiva – se così fosse – sarebbe durata solamente circa 4 anni. Di fatto sarebbe un periodo relativamente corto, Reid mostra però che rappresenterebbe, comunque, l’ottavo ciclo in ordine di lunghezza per l’economia statunitense tra i 35 succedutisi negli ultimi 170 anni. 

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Esiste inoltre un’ipotesi forte alla base del ragionamento di Reid: che l’episodio recessivo culminato a marzo 2020 sia stato sufficiente ad “azzerare” il ciclo economico – il più lungo nella storia degli Stati Uniti, iniziato nel giugno 2009 e terminato con il crollo del Covid – invece che portare l’economia USA in una sorta di “super late stage”, grazie alla creazione di mille miliardi di nuovi debiti. Senza, quindi, che abbia avuto luogo quel “deleveraging critico” che tradizionalmente segna il vero azzeramento del ciclo economico. Un “reset” del debito – ricordiamo Ray Dalio ed il suo modello di funzionamento dell’economia – che, a tutt’oggi, non è avvenuto.

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Un particolare apparentemente trascurabile: nell’agosto 2019 – poco meno di sei mesi prima dell’esplosione della Pandemia e, solo un mese prima del picco registrato dal tasso overnight sui repos USA, il SOFR – si è manifestata un’inversione flash dello spread 10-2 anni. Un’inversione di breve durata è certamente un segnale meno forte, ma non può – o “non deve”? – comunque essere ignorato. Teoricamente, con un guizzo di fantasia degno della migliore “fanta-economia”, potrebbe essere da lì che bisognerebbe iniziare a contare i secondi sul timer della discesa verso recessione.

Ci sono fondati dubbi che Reid possa avere torto e che le ipotesi di Harnett – che condivido col beneficio di inventario – di un possibile inizio della recessione alla fine del 2022, o al più al 1° semestre 2023, siano sostanzialmente corrette. L’evoluzione potrebbe essere diversa da quanto prospettato da Reid anche per motivi più spicci ed immediati: una quantità record di stimoli a supporto dell’economia globale sta per venir meno. Solo ora quindi “il gioco si farà duro”! I fattori di supporto allo sviluppo tendono/tenderanno, inoltre, a venir meno tutti assieme, aprendo potenzialmente la strada ad una correzione assai significativa ed improvvisa della crescita economica, smentendo l’ipotesi del nuovo ciclo già in atto.

Tra tutte una parte importante delle misure che verranno meno sono quelle monetarie. In questo ambito il cambiamento che è in fieri presenta due aspetti complementari: da un lato l’inversione della tendenza dei tassi ufficiali, che hanno raggiunto i livelli più bassi della storia. Dall’altro lato l’inversione del segno degli acquisti di obbligazioni, i più ingenti che la banca centrale USA abbia mai effettuato nella storia. Beh, si dirà, semplice a parole. Il punto, anzi la ciliegina sulla torta, è che non è solo la FED a cambiare rotta: da maggio 2022 a maggio 2023, gli economisti di Morgan Stanley prevedono che i bilanci delle banche centrali del G4 si ridurranno di 2 trilioni di dollari USA, quattro volte il calo più grande mai registrato in 12 mesi dal 2018 al 2019.

Un elemento più marginale ma comunque degno di un minimo di attenzione: già nel gennaio 2020 un forte rialzo dei prezzi dei treasury USA a medio-lungo termine aveva provocato l’inversione, sia del ramo 2 anni – 5 anni della curva, sia – più significativa – un’inversione (da positivo a negativo) dello spread 3 mesi – 10 anni della medesima curva.

Inoltre, questa volta, anche il punto di partenza dell’eventuale nuovo ciclo sarebbe assai diverso e “fuori linea” rispetto al passato: l’attuale politica della Fed è la più permissiva dagli anni ’50.

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Il mercato del lavoro statunitense si sta poi comportando come se fosse già prossimo alla piena occupazione: i dati sui licenziamenti volontari hanno rappresentato un indicatore assai affidabile riguardo il livello di rigidità del mercato lavoro, rispetto al tasso di uscita/entrata (dal mercato medesimo).

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Inoltre, anche se l’inflazione negli Stati Uniti è aumentata, non ha raggiunto il livello obiettivo e le aspettative per il quarto trimestre 2022 sono cresciute solo in misura modesta negli ultimi 12 mesi(molti economisti continuano a credere, ancora in larga misura, nella transitorietà).

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Il grafico più importante, soprattutto perché anche noi pensiamo che questo non sia un nuovo ciclo, è probabilmente quello relativo alla crescita dell’offerta di moneta: dopo il picco raggiunto durante il Covid, M2 si trova oggi su livelli ben superiori rispetto al trend pre-Covid. Ricordiamo che il periodo GFC non ha registrato un picco analogo. 

All’epoca le banche, i consumatori stavano riducendo la leva in modo aggressivo ed i governi erano prossimi ad imboccare la strada dell’all’austerità. Questa volta la situazione appare assai diversa: siamo in presenza della cd. “Helycopter Money” ed è del tutto assente il deleveraging, sia delle famiglie che, soprattutto, delle imprese.

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Senza contare che il divario tra produzione e occupazione negli Stati Uniti si è oggi probabilmente chiuso: la chiusura più veloce nella storia, che fa seguito alla ben più lenta chiusura registrata dopo la GFCUn ciclo che sarebbe quindi molto diverso da quello post-GFC.

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Ad accrescere il peso dell’ipotesi di un impatto robusto del cambio di direzione dei tassi ufficiali sulla crescita economica è l’elevata probabilità che la FED faticherà a riportare l’inflazione sotto controllo. Un dato per tutti: gli affitti pagati dagli affittuari ed il canone d’affitto equivalente dei proprietari (OER) costituiscono circa un terzo del paniere su cui viene calcolato il tasso di inflazione (40% per nucleo familiare) e diverse previsioni indicano un tasso di crescita ancora superiore al 5,5% nel 2022.

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A ciò si aggiunga che, con la prospettiva del QT (Quantitative Tightening), la FED sta interrompendo uno dei più grandi mercati (azionari) rialzisti della storia. E’ credibile pensare che l’impatto sarà così diverso rispetto a quanto avvenuto nel passato?

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Mentre quindi aspettiamo la prossima recessione c’è poi una brutta notizia per gli “appassionati” dei titoli tecnologici: l’indice FAANG sembrerebbe avere una lunga strada da ritracciare in corrispondenza dell’’imminente forte ridimensionamento del bilancio della Fed. Questa almeno è la conclusione che si trae osservando il grafico seguente:

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Da ultimo, nel primo trimestre 2022 potrebbero ancora arrivare diverse sorprese: è forte il rischio di una revisione al ribasso delle stime di crescita e di una dinamica superiore alle attese per l’inflazione, oltre ad una maggiore concentrazione di rischio geopolitico. Certo: il 2° trimestre 2022 potrebbe sembrare molto diverso. Specialmente per un possibile attenuarsi dell’inflazione – se non altro per un effetto statistico, magari già da marzo (dato di febbraio) – ma ricordiamoci che pende l’inizio di una seria e consistente riduzione del bilancio della banca centrale, un processo che la FED non può evitare senza perdere una bella fetta di credibilità.

In realtà la faccenda è forse, anzi probabilmente, assai più complicata: quello a cui abbiamo assistito è solo il calcio d’inizio, il principio della partita. Se la strada verso una recessione negli USA è già aperta, quella da percorrere per arrivare ad un rasserenamento dello scenario sarà assai più tortuosa, irta di ostacoli e più difficile di quanto già oggi appaia. Quindi è probabile che la cosa migliore da fare sia “allacciare le cinture di sicurezza” e non farsi troppe illusioni.

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