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Conflitto Russia-Ucraina: l’unica certezza è la povertà
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Comunque vada finire la questione bellica svolgentesi in Ucraina l’unica certezza resta la crescente povertà del popolo.
Tutti stiamo col fiato sospeso al momento, tra immagini tragiche e la paura che il conflitto possa acquisire nuovi partecipanti che svolgano ruoli sempre più attivi, e il riferimento all’ingresso ufficiale in guerra dei paesi europei e della NATO, non è affatto da sottovalutare, sul piano economico la guerra ci è già entrata dentro casa.
Nonostante la propaganda governativa fino a pochi giorni fa vantasse i grandi risultati dei Pil europei crescenti (nessuno dei quali ha ancora appieno recuperato le enormi perdite causate dalla pandemia) e sorprendenti risultati di programmi quali il Recovery Fund e il Next Generation EU, di cui abbiamo già ampiamente trattato, spiegando i motivi dei loro certi fallimenti fattuali, la crisi economica era ancora brandita sulle nostre teste di cittadini inermi e in attesa del loro destino.
A distanza di una settimana possiamo dire che se il peggio “sembrava” passato, e non lo era affatto, la guerra ci riporta tutti alla scomoda verità che ci aspettano anni ancora più bui, in cui dovremo fare i conti con materie prime sempre più costose e rincari ingenti anche tra i beni più comuni di prima necessità.
Se personalmente ero già convinto che il nostro progresso capitalista si trovasse già in una fase terminale che avrebbe riportato intere classi sociali (e mi riferisco a quelle occidentali e progredite) a fare a meno di beni e servizi che oggi consideriamo tanto basilari quanto scontati, a causa del continuo accelerare del progresso di oligopolizzazione dei mercati, gli eventi degli ultimi giorni mi danno ulteriori conferme che questo avvenire è sempre più prossimo e dovremo farci i conti.
Non è solo la chiusura dei gasdotti a destare preoccupazione, la congiuntura negativa si compone di molteplici fattori.
Gas – già negli ultimi mesi, dall’aumentare delle tensioni, il trasporto del metano si era grandemente ridotto dal versante orientale verso l’Europa, l’Unione europea aveva già iniziato ad importarlo degli Stati Uniti, che guarda caso erano causa e soluzione al problema, tramite il trasporto marittimo, in pratica, in barba a qualsiasi logica ecologica, pur di non importare il gas russo, per il quale proprio negli ultimi anni si erano improntati enormi investimenti per la realizzazione dell’ormai famoso Nord Stream 2, vengono fatte navigare decine di navi gasiere da una parte all’altra dell’Atlantico per fare giungere il prezioso elemento fino a Rotterdam, l’enorme porto olandese in cui lo shale gas, ovvero il gas liquefatto, viene stoccato e poi trasportato quasi del tutto su gomma, non esistendo impianti in grado di trasportarlo da quel luogo verso il resto dei paesi europei, tutto ciò come è evidente che sia ha provocato un enorme crescita di prezzo, addirittura circa il 1200% negli ultimi dieci mesi.
Oggi la questione dell’approvvigionamento diviene sempre più problematica a causa delle sanzioni imposte alla Federazione Russa.
Chiunque si stesse chiedendo perché non attingiamo dai nostri giacimenti nazionali, la risposta è breve, solo il 3% del gas utilizzato in Italia è di produzione nazionale, e dalle stime dei cda delle imprese che si occupano di estrazione, saranno necessari almeno 12 mesi e ingenti investimenti per raddoppiarne la produzione e coprire quindi solo il 6 % del nostro fabbisogno.
Il gas è necessario non solo per l’utilizzo dei nostri fornelli di casa o per le caldaie dei nostri riscaldamenti, bensì per la produzione di un’enorme fetta dell’energia elettrica utilizzata in territorio nazionale, per questo motivo anche le bollette energetiche vedono importanti lievitazioni di prezzo di settimana in settimana, e così è non solo per i consumatori privati ma anche per le imprese, alcune delle quali hanno già dovuto interrompere la produzione ai primi di Gennaio, figuratevi adesso cosa sta accadendo.
Ma non finisce certo qui, il gas è una materia prima usata come combustibile, e per un meccanismo economico tanto semplice quanto spesso dimenticato, se il suo prezzo cresce una parte della sua domanda si sposta verso i cosiddetti beni sostituti, quindi petrolio e derivati, legno, pellet, carbone; se la domanda si alza in un determinato mercato è obbligatorio aspettarsi quindi che si alzi il prezzo di quel bene, e così ecco che si vedono lievitare anche i prezzi di tutti i combustibili sopra menzionati.
Quindi per concludere solo quest’argomento, diciamo che al momento il nostro è tra i paesi messi meglio, in quanto siamo dotati di enormi impianti di stoccaggio che ci permetteranno al momento di resistere alla scarsità grazie alle riserve, ma l’anno prossimo? Siamo sicuri che avremo ancora “il culo al caldo”?
Petrolio – attiguo al discorso fatto per il gas, il prezzo del petrolio che oggi schizza a 118 dollari al barile, è uno degli argomenti più trattati negli studi inflazionistici, in quanto essendo materia prima non solo necessaria alla realizzazione di carburanti per il trasporto, è materia prima alla base di tutte le materie plastiche e la maggior parte delle materie chimiche compresi i fertilizzanti.
Possiamo vedere noi stessi come i prezzi di diesel e benzina aumentino quotidianamente di una cifra tra i 3 e i 7 centesimi di euro al giorno, che impatto pensate possa avere nelle nostre vite?
Non solo guidare l’auto diverrà sempre più costoso, ma vedremo aumentare anche il costo dei mezzi pubblici, delle spedizioni e dei trasporti di merci, e su chi pensate che ricadranno tutti questi aumenti di costo se non sul prezzo finale dei beni che consumiamo tutti i giorni?
Grano – mi dispiace dovervi dare questa brutta notizia, ma la maggior parte del grano che viene utilizzato in Italia non è di provenienza italiana, per un motivo molto semplice, le coltivazioni nazionali non sono minimamente sufficienti a soddisfare la domanda interna, perciò le nostre importazioni si rivolgono, anzi si rivolgevano, principalmente a tre paesi fornitori: Canada, Russia e Ucraina. Lo capite da soli cosa sta per accadere, due su tre fornitori sono tagliati fuori dai giochi, uno, la Russia, sicuramente fino a data da destinarsi, l’altro, l’Ucraina sta a vedere che fine farà.
Prima ancora dello scoppio della guerra, il prezzo del grano era cresciuto del 30%, oggi siamo già in fase di scarsità, cioè non solo il prezzo lievita, ma cominciano ad esserci le prime indisponibilità di prodotto, praticamente alcune fabbriche di pasta e di altri prodotti da forno hanno anch’essi dovuto stoppare o ridurre drasticamente la produzione, e siccome si sa, il pesce grande mangia il pesce piccolo, se non c’è grano per i colossi industriali, come pensate che possa reperirlo il piccolo pizzaiolo o il panettiere di quartiere.
Come se non bastasse, anche per il grano vale il discorso fatto in precedenza in merito ai beni sostituti, riso e mais stanno vedendo aumentare la domanda e i prezzi volano.
Il mais è il maggior prodotto utilizzato per foraggiare gli animali da carne, compresi gli avicoli, quindi ecco che – l’economia, anche se non ci occupiamo di lei, si occupa di noi – anche i prezzi della carne oltre che del pane e della pasta sono destinati ad aumentare in risposta all’aumento di domanda, alla riduzione dell’offerta e all’aumento dei costi di produzione.
So di stare esagerando con le informazioni, ma è solo per permettere al lettore di porre in essere un ragionamento di causa-effetto di tipo economico che ci coinvolge tutti.
Analizzate le questioni materie prime restano ancora due argomenti grandi come macigni, lo stop della Russia al sistema di pagamenti Swift, che praticamente impedisce qualsiasi pagamento tra Russia e paesi occidentali, con la risposta russa della nazionalizzazione immediata di tutti gli impianti appartenenti ad aziende estere, e i flussi migratori di profughi provenienti dalle zone di guerra.
La Federazione russa conta quasi 150 milioni di abitanti, ovvero quanto tutta la popolazione italiana più quella tedesca, ed essendo un paese in crescita economica rappresentava un ottimo cliente per le imprese italiane ed europee, che già avevano sofferto i limiti all’export dovuti alle prime sanzioni istituite a seguito dell’annessione della Crimea nel 2014. Questo buon cliente adesso è perso per sempre, o almeno per i prossimi anni a venire, così come è perso nell’ambito del turismo, tutto ciò causerà enormi perdite di produzione alle imprese nostrane che vedranno ridursi enormi fette di esportazioni e in alcuni casi la confisca degli stabilimenti impiantati in terra russa.
L’Unicredit, la nota banca italiana è tra le più grandi banche presenti in Russia ed è esposta per circa 27 miliardi di euro, ciò significa che da qui a pochi giorni, questi soldi andranno perduti per sempre e l’Unicredit si troverà con una voragine a bilancio che qualcuno dovrà colmare se non vuole che la catastrofe si riversi verso tutto il resto del sistema bancario.
Per ultimo facciamo cenno all’impatto macroeconomico dell’enorme flusso di profughi che in questo momento si sta spostando dall’Ucraina verso l’Europa tutta e quindi anche verso il nostro paese. I numeri parlano ad oggi di 1,2 Milioni di persone che hanno già attraversato il confine, ma le stime valutano in addirittura 8 milioni il numero di persone che nei prossimi giorni e mesi lascerà il proprio paese per trovare rifugio; è ovvio che sia doveroso accogliere tali persone e garantire loro qualsiasi tipo di assistenza sia loro necessaria, ma anche qui suole fare una drammatica analisi economica: questi milioni di cittadini ucraini, una volta entrati nei nostri paesi proveranno a entrare nel mondo del lavoro andando rimpinguare le già lunghe fila di disoccupati.
Di fatto siamo di fronte all’ennesima tempesta perfetta per la nostra economia, da un lato enormi perdite per le aziende nostrane che vedono ridursi le vendite, i costi di produzione che saranno enormemente crescenti nel breve periodo, i prezzi al consumo che vedranno ingenti rialzi ( si stima ad oggi inflazione al 7%), dall’altro mentre le imprese soffrono e chiudono i battenti disseminando nuovi disoccupati, entreranno milioni di nuovi poveri e disoccupati, che hanno dovuto lasciare tutto in un paese dilaniato dalla guerra, che avranno bisogno quanto e più di noi di aiuto.
Si sa quando aumentano i disoccupati la imprese hanno maggiore potere contrattuale e quindi il saggio salariale, ancora una volta, verrà spinto verso il basso in un momento in cui i prezzi crescono alla velocità della luce.
Ci aspetta a breve un mondo sempre più polarizzato in cui vigerà la legge “o con noi o contro di noi”, il problema atavico resta sempre lo stesso “Chi è con noi? E soprattutto, Noi chi?”, l’impressione è che si combatta non solo sui campi di battaglia bensì nei centri di potere di ogni singolo paese, in una guerra fratricida in cui ci sono i pochi che detengono il potere e il danaro e i molti che ne subiscono le scelte come pecore guidate verso il mattatoio dal loro pastore, il tutto condito da un’insistente propaganda che millanta benessere e democrazia per tutti.
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