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Dalla pandemia alla guerra: l’empatia è la chiave
La guerra in Ucraina è l’ennesimo richiamo all’umanità e chi non si sente chiamato in causa è il vero colpevole.
È vero, siamo tutti vittime della propaganda. Al telegiornale non ci hanno detto che la Nato, negli ultimi vent’anni, tradendo la promessa fatta alla Russia di “non allargarsi di un pollice ad Est” ha continuato ad espandersi, minacciando gli equilibri geopolitici del mondo. Non ci hanno ricordato la guerra del Golfo, la guerra in Bosnia, la guerra in Jugoslavia, la guerra in Afghanistan, la guerra in Iraq, la guerra in Libia e la guerra in Siria, perché quelle erano “guerre giuste”. Non hanno parlato del fatto che nel febbraio 2014 la Nato, che dal 1991 si era impadronita di posti chiave in Ucraina, ha sostenuto, appoggiando formazioni neonaziste appositamente addestrate e armate, il colpo di stato che rovesciava l’allora presidente eletto. Non ci hanno raccontato della strage di Odessa né della guerra del Donbass, della sua popolazione martoriata e delle 15000 vittime uccise negli ultimi 8 anni. Non ci hanno parlato delle gravi ricadute economiche che attendono noi cittadini italiani a causa di questa guerra e della conseguente frattura tra Europa e Oriente. Ci hanno soltanto detto che l’Italia si è schierata dalla parte della pace, mandando armi in Ucraina. Ci hanno detto che noi non abbiamo responsabilità, che abbiamo fatto tutto il possibile per evitare la guerra attraverso vie diplomatiche, ma i russi sono cattivi.
Questo e tanto altro è quello che ci hanno detto e che non ci hanno detto. Siamo vittime della propaganda, ma come cantava De André “anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti”. Io non sono un’analista geopolitico, non sono un colonello né un diplomatico. Anche a me hanno detto che la guerra in Iraq era una guerra giusta e quella in Ucraina è una guerra sbagliata, eppure non mi sono accontentato. Non mi sono accontentato perché anche se so poco o pochissimo, anche se l’informazione è distorta e parziale, anche se sono costantemente distratto e impaurito da messaggi che alimentano confusione, ho ancora intatta la capacità di provare empatia e quindi, quando mi dicono che a Milano hanno rimosso un corso su Dostoevskij all’università, quando mi dicono che hanno licenziato un direttore d’orchestra russo, quando mi dicono che la televisione di Stato ha rimosso un giornalista che si era permesso di esprimere un pensiero critico sull’espansione della Nato, io sento che sta succedendo qualcosa di ingiusto e di pericoloso: qualcosa che anziché favorire la pace, alimenta il conflitto.
E lo stesso identico discorso vale per la pandemia, lo stesso discorso vale per il vaccino e vale per il green pass, perché io posso anche credere che il vaccino sia la soluzione a tutti i mali, posso credere che il green pass sia uno strumento geniale e democratico, posso credere che le aziende farmaceutiche siano genuinamente motivate a promuovere il bene comune, ma non posso non immedesimarmi nel mio collega di 54 anni, che per una scelta discutibile, ma legittima, è stato sospeso dal lavoro e lasciato a casa senza stipendio e senza i mezzi per mantenere la sua famiglia. Non posso non immedesimarmi nel ragazzino di 13 anni, che per una scelta discutibile, ma legittima, non può fare sport e mentre tutta la sua classe organizza un’uscita a teatro, lui rimane a casa perché non può entrare. Non posso non immedesimarmi nell’albergatore che fallisce a causa di politiche che stanno, passo dopo passo, distruggendo la piccola impresa del nostro Paese. Posso ritenere di avere delle ottime idee, posso essermi informato e aver studiato, ma se non sono in grado di immedesimarmi nell’altro, se non sono in grado di provare empatia verso chi la pensa diversamente da me, verso chi soffre e verso chi è discriminato, allora è tutto inutile: allora questa guerra è anche per colpa mia. Le guerre nascono dalla divisione tra buoni e cattivi e le guerre finiscono veramente quando c’è la volontà di capire l’altro e di dialogare per trovare un punto d’incontro.
È vero, siamo tutti vittime della propaganda, siamo indotti a schierarci, siamo impauriti, impoveriti e ci sentiamo soli, ma a volte basterebbe uno scambio di parole, un saluto, una domanda. La pandemia e la guerra sono strumenti di divisione e se davvero vogliamo la pace dobbiamo fare esattamente il contrario di ciò che siamo spinti a fare. Dobbiamo ricominciare a guardarci in faccia, a riappropriarci della nostra capacità di ascoltare e di entrare in connessione con l’altro, dobbiamo imparare a riconoscerci nella nostra imperfezione. Il senso della giustizia e della tolleranza di cui si vanta l’Occidente è vuoto se non nasce ogni giorno da dentro di noi e se non si esprime nei nostri sentimenti, nei nostri pensieri e nelle nostre azioni. Forse tutto questo era necessario per capire fino a che punto, senza accorgercene, ci siamo allontanati da noi stessi, dagli altri e dai nostri valori, ma adesso basta: è arrivato il momento di riappropriarci della nostra umanità. Allo scrittore francese André Malraux fu attribuita la celebre frase “Il ventunesimo secolo o sarà spirituale o non sarà affatto” e forse adesso finalmente iniziamo ad intuire che cosa significhi.
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