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La fragile vittoria di Macron
Macron vince, ma con meno consensi; Le Pen aumenta i suoi. A giugno il “terzo turno” si profila molto incerto e forse la sinistra e gli ecologisti potrebbero vincere
Ovviamente non è mancato il trionfalismo che lo stesso Macron aveva attizzato già il 17 marzo scorso dicendo: “ciò che ho fatto non è mai esistito nella nostra storia politica contemporanea”. È alimentato dal fatto che per la prima volta, dall’origine della Va Repubblica un presidente uscente è rieletto (a parte i periodi di coabitazione che si sono avuti con Mitterrand e con Chirac). Eletto cinque anni fa, all’età di meno di 40 anni, senza partito né passato politico, totalmente sconosciuto dagli elettori sino a due anni prima delle elezioni del 2017, Macron era già entrato nella storia di Francia e dell’Europa. Con questa nuova vittoria, scrive Le Monde, dopo un quinquennio di crisi dimostra che il macronismo non è una semplice parentesi.
Ma questa vittoria del 2022 è alquanto amara e rischia si tradursi presto in una disfatta clamorosa. Per capirlo vediamo innanzitutto il dettaglio dei risultati
L’esito delle elezioni
Secondo i dati del ministero dell’interno francese (completati il 25 aprile mattina) Macron ha ottenuto 18.779.641 voti, ossia il 38,52% degli aventi diritto al voto e il 58,54% dei voti validi. Al secondo posto, con 13.656.109 astenuti, ossia 28,01 degli aventi diritto, più il voto bianco (2.228.044) e i voti nulli (790.946), si è cumulato il 34,2% degli aventi diritto.
Al terzo posto Le Pen con 13.297.760, ossia il 27,28% degli aventi diritto e il 41,46 dei voti validi.
Nel 2017, al 2° turno, Macron aveva ottenuto 20.743.128, ossia 1.963.487 voti più che nel 2022. Le Pen ne aveva avuti 10.638.475, quindi nel 2022 ha avuto 2.659.285 voti in più. È assai probabile che nel 2017, al 2° turno, Macron abbia recuperato non solo quasi tutti i voti di sinistra, ma anche tutti quelli della destra tradizionale che allora presentava il poi super squalificato Fillon che però aveva avuto 7.212.995, poco più di Mélenchon che ebbe 7.059.951 di voti (quindi nel 2022 ha avuto solo 652.569 voti in più). Sempre nel 2017 Hamon (Partito Socialista) aveva avuto 2.291.288 (mentre ora Hidalgo/PS ha avuto solo 616.478 quindi 1.674.810 voti in meno). Già nel 2017 la somma dei voti di Mélenchon e Hamon avrebbe permesso di passare al 2° turno al primo posto, cioè con più voti di Macron! Nel 2022 la somma dei voti della sinistra e degli ecologisti al 1° turno dà 11.028.177 mentre le destre (Le Pen+Zemmour+Dupont-Aignan) hanno avuto 11.344.230, ossia 316.053 più delle sinistre e degli ecologisti.
Nel 2022 Macron al 2° turno ha ottenuto 8.996.583 in più del 1° turno e Le Pen 5.163.932 in più. Gli altri candidati del 1° turno che hanno invitato a votare Macron sono stati Yannick Jadot, Anne Hidalgo, Fabien Roussel et Valérie Pécresse (in totale 4.725.754 voti) il che vuol dire che altri 4.270.829 sono venuti in parte dagli elettori di Mélenchon (che al 1° turno ha avuto 7.712.520 voti ed è probabile che oltre la metà se non il 70% abbia votato Macron); a questi probabilmente si saranno aggiunti elettori di Lassalle (che al 1° turno ha avuto 1.101.387 voti) e alcuni che non avevano votato al 1° turno.
Dopo il 1° turno la pressione mediatica per il voto a favore di Macron è stata particolarmente forte agitando lo spettro della vittoria del fascismo e del razzismo e invitando a fare una scelta molto sofferta ma indispensabile (vedi soprattutto l’intensa campagna sostenuta in particolare da Le Monde, Médiapart, Libération -come scrive Confavreux su Médiapart, è stato un supplizio, una via crucis).
Le Pen ha ottenuto 5.163.932 voti in più del primo turno. Gli altri candidati del 1° turno che hanno invitato a votarla sono stati Zemmour et Dupont-Aignan che insieme hanno avuto 3.210.402 voti; è quindi evidente che la capa della destra ha avuto 1.953.530 probabilmente da elettori che hanno voluto così puntare al peggio con un voto di rottura radicale rispetto ai tradizionali centro-destra e sinistra, ossia elettori che in passato hanno votato a destra ma in parte anche a sinistra.
Da notare che Macron ha vinto innanzitutto in tutte le grandi città (Parigi, Marsiglia, Lione, Tolosa, Lille ecc.; tutte città in cui al 1° turno ha vinto Mélenchon). Invece, in tutte le province del Nord e della costa mediterranea ha vinto Le Pen, mentre in tutta la regione di Parigi (che è di gran lunga la più popolata di Francia -oltre 12 milioni di residenti- ha vinto Macron, così come al 1° turno ha vinto Mélenchon).
Cosa potrebbe succedere al terzo turno
Ovviamente adesso tutti puntano al terzo turno. Se Macron non riuscirà a giocare una partita da prestigiatore della politica-politicante rischia moltissimo di trovarsi con un Parlamento con una larga maggioranza di opposizione a lui da sinistra e da destra. Al momento questo gioco di una sorta di magia da parte di Macron appare alquanto improbabile. Il personale politico su cui sinora può contare è alquanto sbiadito e squalificato. Non può più come nel 2017 far man bassa sia nei ranghi della destra e del centro tradizionali, sia in quelli del partito socialista che da allora è stato quasi totalmente eroso proprio dal partito di Macron (LREM -La République en Marche).
Sia la sinistra più gli ecologisti sia Le Pen et Zemmour puntano a ottenere la maggioranza nel futuro Parlamento. La partita si prospetta quindi particolarmente accanita e molto incerta. Se la giocata di Macron e quella della destra Le Pen-Zemmour si sfiancano a vicenda l’unione della sinistra e degli ecologisti potrebbe vincere visto che sono già arrivati all’ipotesi di creare una solida unità di programma.
Già nel 2017 la somma dei voti di Mélenchon e Hamon avrebbe permesso di passare al 2° turno al primo posto, cioè con più voti di Macron! Quindi sulla carta, stando ai numeri una effettiva e solida unione delle sinistre e degli ecologisti potrebbe permettere di tenere testa alle destre e persino di vincere rispetto all’unione delle destre capeggiata da Le Pen e anche rispetto alle liste che creerà il partito di Macron. Come sappiamo tutto su gioca a livello di circoscrizioni elettorali e col maggioritario conta chi è più radicato. Dati i risultati delle ultime elezioni locali si potrebbe ipotizzare che la sinistra e gli ecologisti sono più radicati delle destre e del partito di Macron, tranne nei feudi delle destre che però sono relativamente circoscritti e meno numerosi di quelli della sinistra e degli ecologisti (il partito di Zemmour non esiste a livello locale, esiste solo quello della Le Pen).
Cosa farà Macron?
Come scrive Ellen Salvi per Médiapart, Macron ha subito riconosciuto: “So anche che molti hanno votato per me non per sostenere le mie idee, ma per barrare la vittoria alle idee dell’estrema destra. E li voglio ringraziare dicendo loro che questo voto mi obbliga per gli anni a venire. Sono depositario del loro senso del dovere, del loro attaccamento alla Repubblica e del rispetto delle differenze che si sono espresse queste ultime settimane». E aggiunge Salvi, una promessa che senza sbagliarsi assomiglia molto a quella che lo stesso uomo fece cinque anni fa, prima di dimenticarla appena intronizzato: “Anche stasera voglio dire una parola per i francesi che hanno votato per me senza avere le nostre idee. Vi siete impegnati e so che questo non è un assegno in bianco. Voglio dire una parola per i francesi che hanno votato semplicemente per difendere la Repubblica dall’estremismo. Conosco i nostri disaccordi, li rispetterò, ma sarò fedele a questo impegno preso: proteggerò la Repubblica». E rivolto agli astensionisti ha detto: «Il loro silenzio ha significato un rifiuto di scegliere al quale dobbiamo anche rispondere» così come agli elettori di Marine Le Pen. «So che per molti nostri compatrioti che oggi hanno scelto l’estrema destra, la collera e i disaccordi che li hanno condotti a votare per tale progetto devono anch’essi trovare una risposta, questa sarà mia responsabilità e di quelli attorno a me», e ha promesso di voler «prendere in considerazione tutte le difficoltà delle vite vissute e rispondere con efficacia alle collere che si sono espresse».
Vantando il su progetto che descrive come «umanista», «repubblicano nei suoi valori», «sociale ed ecologico», «fondato sul lavoro e la creazione», «la liberazione delle nostre forze accademiche, culturali e imprenditoriali», ha quindi assicurato che lo sosterrà «essendo depositario anche delle divisioni che si sono espresse e delle differenze». «Vegliando ogni giorno al rispetto di ognuno. E continuando a vegliare ogni giorno per una società più giusta e all’uguaglianza tra donne e uomini», con «ambizione» e «benevolenza».
Questa modestia ostentata da Macron taglia corto con la messa in scena preparata dalle sue équipe, ma anche con alcune dichiarazioni dei suoi sostenitori. Appena noti i risultati, diversi fra loro -fra cui Richard Ferrand, presidente del Parlamento- si sono felicitati di un esito qualificato d’«inedito per la sua ampiezza». «All’eccezione di Chirac contro Le Pen (padre) nel 2002, mai un presidente è stato rieletto con una tale scarto».
Ma Ferrand dimentica di precisare che Macron è stato eletto due volte contro l’estrema destra. Il ministro dell’economia Le Maire ha parlato di «mandato chiaro» e ha aggiunto: «Ormai il presidente ha la legittimità per perseguire la trasformazione del paese».
Rari nei ranghi del partito di Macron (LREM), hanno avuto una parola per i milioni di elettori che sono andati a votare col solo obiettivo di barrare la strada all’estrema destra e che la promessa che Macron aveva fatto nel 2017 è stata tradita (vedi anche Le Monde già citato). Il capo dello Stato aveva aperto la via a tale accecamento l’indomani del primo turno. Infatti aveva detto: «poiché non c’è più fronte repubblicano, non posso fare come se esistesse», per anticipare l’idea di unvoto d’adesione e sperare quindi di perseguire le sue politiche tranquillamente nei cinque prossimi anni. Ma, la sera della sua prima elezione (nel 2017), aveva promesso di voler fare di tutto affinché nessuno abbia «qualche ragione per votare per gli estremi»; però per cinque anni ha largamente contribuito a “installare” un nuovo faccia-a-faccia con Marine Le Pen. Con l’obiettivo di restare dieci anni all’Eliseo. Sta qui la prima sconfitta politica di Macron.
La normalizzazione della destra lepenista
Sin da settembre 2019 il capo dello Stato aveva avvisato le sue truppe: «Voi non avete che un’opposizione sul campo: è il Front national. Occorre confermare questa opposizione, poiché sono i Francesi che l’hanno scelta». Ma -sottolinea Salvi, anziché combattere l’estrema destra correggendo le diseguaglianze sociali che la nutrono, le ingiustizie e gli abusi di potere, Macron e il suo entourage hanno alimentato proprio questi. Un po’ come aveva fatto per un periodo Mitterrand favorendo di fatto Le Pen padre per togliere voti alla destra tradizionale, Macron e i suoi hanno partecipato alla legittimazione di Le Pen e persino di Zemmour nel dibattito pubblico. Hanno quindi presto rinnegato il progressismo autoproclamato, le promesse d’«apertura», di «libertà», di «fraternità» e d’«inclusione», inizialmente inscritte nella Carta dei valori de partito LREM. Non sono state casuali le scelte di ministri palesemente di estrema destra come Darmarin al ministero dell’Interno, Blanquier alla pubblica istruzione, Schiappa, ministra della cittadinanza e ancora altri che hanno scatenato l’attacco virulento contro i gilets gialli, le grandi mobilitazioni popolari contro la riforma delle pensioni e altre misure di politica economica, ma anche vere e proprie crociate razziste e sessiste (vedi le leggi contro il cosiddetto “separatismo” e il “comunitarismo”, contro il presunto “velo islamico”, l’islamo-sinistra, contro la presunta ideologia woke e della cancel culture, nonché la perpetua persecuzione dei giovani delle banlieues e la scellerata legge sulla sicurezza totale. Il ministro Darmanin si è anche permesso di criticare la signora Le Pen di essere “troppo molle” mentre il suo collega Blanquer come la ministra Schiappa hanno proclamato l’urgenza di «uscire dalla tenaglia tra, da un lato, gli identitari d’estrema destra e, dall’altro, gli indigenisti e Europe Écologie-Les Verts», mentre la ministra Frédérique Vidal si preoccupa che «l’islamo-gauchisme gangrena la società».
Marine Le Pen è quindi diventata una competitrice politica ordinaria.
Durante tutta la campagne fra i due turni elettorali e in particolare al confronto tv Macron-Le Pen, con cura il primo attaccato l’avversaria «progetto contro progetto», alfine di raccogliere attorno a lui anziché contre di lei. Ha quindi offerto conforto alla «normalizzazione» avviata da anni dal partito fascista-razzista della signora Le Pen.
Ma c’è qualche ministro di Macron inquieto per i cinque anni a venire come se questa vittoria sia stata di Pirro. “Ci si dirige verso un bordello senza nome». In realtà tanti sanno che Macron ha vinto senza entusiasmo. Sulla base di un bilancio contestato anche da parte dei media moderati come Le Monde e con un programma non piace, in particolare per la riforma delle pensioni. «Penso che affronteremo una tempesta, una tempesta economica, una tempesta sanitaria, una tempesta da tutti i punti di vista, forse una tempesta sociale, forse una tempesta politica, ma penso che i tempi che vengono sono difficili», questo aveva presagito anche l’ex-primo ministro Édouard Philippe in settembre 2020, poco dopo la sua dimissione da tale carica.
Durante cinque anni, tanti si sono inquietati nel vedere il capo dello Stato dividere la società distinguendo i buoni e i cattivi cittadini. Gli “irresponsabili” che intende emmerder e gli altri.
Nel novembre 2018, rispetto verso il declino del movimento dei gilets gialli: Macron aveva detto: “Non sono riuscito a riconciliare il popolo francese con i suoi dirigenti”, e aveva riconosciuto di non aver concesso abbastanza considerazione. Ma di mea culpa Macron ne ha ammessi tanti salvo che poi nulla è cambiato ed è sempre tornato alla sua abituale arroganza. L’unica cosa certa per il momento è che l’attuale capo del governo resta in carica sino al 1° maggio.
Un Paese più che mai frantumato
Il gusto amaro della performance politica di Macron appare evidente a tanti. Macron si ritrova davanti un muro di sfiducia e di radicalizzazioni, il voto contro di lui più quello comunque non per lui totalizza oltre 60 % dei consensi. Se si pensa il terzo turno contando i voti che al 1° hanno avuto Macron+Précresse e Lassalle si hanno 10.884.445, quindi meno di quelli delle destre e di quelli delle sinistre e degli ecologisti. E poiché a livello locale l’unione di questi ultimi potrebbe essere senz’altro la più incisiva rispetto alle destre e alle liste Macron, essa potrebbe vincere raccogliendo il dissenso verso Macron e il padronato che comunque è difeso sempre dalle destre.
Le fratture che attraversano il paese sono innanzitutto economiche e sociali, di classe fra la Francia dei benestanti e quella -largamente maggioritaria dei “meno fortunati”, ma anche generazionali e territoriali oltre che fra quelli oggetto di razzializzazione e sessismo e non.
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