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Russia e Ucraina: il problema del “presentismo”
L’invasione dell’Ucraina ha colpito più di qualcuno. La guerra è tornata in Europa. Ma è davvero così? Non c’erano state altre guerre nel Vecchio Continente? Pensiamo sia un errore dire che la guerra è tornata, non se ne è mai andata. La disintegrazione della Jugoslavia fu un evento epocale, ignorarlo o fare finta che non sia stato così sarebbe un errore crasso. Tanti analisti parlano essenzialmente del 2022, ma questo presentismo non ci lascia comprendere la complessità del conflitto in corso.
Siamo davanti a due concezioni della vita: l’atlantismo, a guida statunitense, e l’eurasismo, a guida moscovita. Gli orrori che vediamo in Ucraina possono solo essere capiti se sappiamo che questa è una battaglia tra Grandi Potenze (qualcuno come Hubert Védrine direbbe che è una battaglia tra una grande potenza e l’iper-potenza).
Dopo il crollo del Muro di Berlino (1989) la cosiddetta Guerra Fredda arrivava alla sua fine; i formalismi furono conclusi nel 1991, ma l’essenza sovietica era già morta. La potenza vincitrice, gli Stati Uniti, produsse due idee che sarebbero state la chiave per comprendere il futuro: quella della fine della storia e quella del momento unipolare. La prima prodotta da Fukuyama, la seconda da Krauthammer. Non discuteremo qui i meriti e i demeriti di ambedue, ma bisogna capire che scopo avevano. E lo scopo era semplice, garantire che il mondo post-‘89 fosse un universum schmittiano e non un pluriversum schmittiano.
La hybris fu scatenata contro i serbi nel 1995 e 1999. Questi due momenti, principalmente il secondo che permise la creazione del Kosovo, non sono mai stati accettati da Mosca. Tuttavia, i russi non avevano forze per reagire, vivevano un caos interno grande in quegli anni, sotto il segno delle ruberie e dell’appropriazione privatistica delle ricchezze nazionali. La stabilizzazione russa cominciò nel nostro secolo, quando Putin diventò il sostituto di El’cin. Nel 2007, nel celebre discorso di Monaco (di Baviera), Putin forse disse chiaramente per la prima volta che la Russia non avrebbe accettato un mondo unipolare, un universum. Non è stato udito.
L’espansione della NATO, istituzione controllata da Washington, verso la frontiera russa ha continuato; solo questo dato è sufficiente per capire la paura, e l’invasione, russa. La NATO avrebbe dovuto essere un’istituzione per distruggere l’Unione Sovietica. Se fosse stato così sarebbe stata disciolta dopo 1989 – questa era la posizione del Pentagono. Tuttavia, lo State Department, nome che gli americani danno al loro Ministero degli Affari Esteri, ha visto gli enormi vantaggi che l’istituzione offriva. Il più importante era questo: mantenere l’Europa romano-germanica, in particolare la Germania, separata dalla Russia. Questo imperativo geopolitico non è nuovo, alla fine dell’Ottocento gli strateghi più capaci lo sapevano già. Pochi anni dopo Halford Mackinder lo spiegherà ancora più chiaramente con il concetto di Heartland.
La potenza talassocratica dominante, ieri Londra oggi Washington, deve fare tutto – tutto – per impedire un’integrazione eurasiatica. Il presentismo non riesce a capirlo. Non può capirlo, perché è chiuso in un presente eterno, fuori dal tempo. Come Dio. Questo è qualcosa di morale, ma non ha niente di politico.
Quando la NATO è arrivata alle porte dello spazio russo, Bielorussia e Ucraina, il Cremlino aveva due opzioni – lasciare quelle terre essere inghiottite dal Leviatano o affilare le corna, come un Beemot che non vuole morire, e difenderle. Ha scelto la seconda. E non pensate, signori, che solo Putin e i suoi fedeli pensino che la Piccola Russia, la Russia Bianca e la Grande Russia siano la stessa nazione trinitaria: tanti, nei tre ordinamenti suddetti, lo pensano.
Alcune note di diritto internazionale. Anzitutto il diritto internazionale ha gli Stati come sue unità. Un uomo o anche un’organizzazione internazionale non sono soggetti di diritto internazionale, almeno non soggetti pieni. Certamente molti giusinternazionalisti non sarebbero d’accordo. Come scrive Beaud – nel suo La Puissance de l’État –essi sono ostili alla sovranità (quindi allo Stato) perché rappresenta un ostacolo alla realizzazione di quelle nozioni universaliste che essi vogliono promuovere. Ma la realtà dimostra la centralità dello Stato, il cui operato rimane comunque più efficace e legittimo se paragonato con quello dei soggetti privati e delle agenzie internazionali – escludiamo qui le Nazioni Unite che rappresentano un sistema-mondo piuttosto che un’organizzazione internazionale.
La lotta tra Russia ed America è come una competizione di due bambini nell’asilo. I russi non possono rispettare il diritto internazionale (l’invasione dell’Ucraina è una sua violazione) perché gli americani non lo fanno. Pensate al Kosovo (1999), all’Iraq (2003) o alla Siria. Quindi il bambino russo dice: se il bambino americano lo fa, anche io lo faccio!
In secondo luogo, il mondo giuridico è dualista è non monista. Ci sono gli ordinamenti di ciascuno Stato e c’è l’ordinamento internazionale dove gli Stati sono i protagonisti. L’invasione dell’Iraq fu illegale, come l’invasione dell’Ucraina, per il diritto internazionale. Ma per i diritti nordamericani e russo, rispettivamente, furono legali. I diritti degli Stati sono una cosa, il diritto internazionale è un’altra; possiamo essere davanti legalità in un ordinamento, davanti illegalità nell’altro. Bisogna rileggere Santi Romano.
In terzo luogo, la Guerra Fredda non c’è più. Tuttavia, la Carta delle Nazioni Unite rimane il documento che regge le relazioni internazionali. Come abbiamo già dimostrato non sono stati i russi i primi a disprezzarla e a ignorarla. In relazioni internazionali si dice spesso che la Russia e la Cina sono potenze revisioniste. In diritto internazionale possiamo dire il contrario: Pechino e Mosca sono conservatrici, vogliono restare nella logica aristocratica del Consiglio di Sicurezza delle Nazione Unite. Vogliono preservare il pluriversum contro quelli che difendono la creazione di un universum.
Finiamo con un pensiero difficile da leggere, che ho imparato dai grandi maestri realisti – Tucidide, Machiavelli e Hobbes. La politica è la lotta per il potere. La guerra, come sosteneva Clausewitz, è la continuazione della politica attraverso altri mezzi. Tanti non capiscono quello che accade perché partono da premesse sbagliate. La più sbagliata di tutte è che la guerra non giovi a nessuno. Purtroppo, sì. Giova a quelli che vendono le armi, a quelli che speculano sui prezzi, a quelli che vogliono indebolire il nemico, a quelli che vogliono vedere le armi altrui in azione. Ve ne sono altri.
I conflitti armati finiscono sempre. Tutti quelli che vogliono salvare vite devono dare spazio alla diplomazia e non escludere dal dialogo i nemici. La civiltà europea ci ha lasciato un sistema imperfetto, come tutto quello che gli uomini fanno, ma ci ha lasciato qualcosina. Perciò la frase di Cicerone silent enim leges inter arma – tacciono infatti le leggi tra le armi – è oggi falsa: il diritto dei conflitti armati ha permesso di salvare vite nei due eserciti, anche permettendo lo scambio di prigionieri. È poco, diranno gli idealisti; è qualcosa, diranno i realisti.
Putin non è Hitler, Putin è Bismarck. Ma se la Russia continua a essere demonizzata, come lo fu la Germania in passato, niente ci garantisce che dei tempi bui non siano prossimi. Per evitarlo bisogna contare sulla grandezza dello spirito e la saggezza di alcuni uomini a Washington, a Mosca e a Pechino. Benvenuti nella Tripolarità.
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