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Texas, cronaca di una strage annunciata
Da dove partire per discutere dell’ennesima “strage di innocenti”? Forse conviene prendere le mosse dall’intervento colmo di retorica di Biden: “Perché vogliamo vivere con questa carneficina? Perché continuiamo a consentire che questo accade? Per l’amor del cielo dov’è la nostra spina dorsale?” Paiono domande pronunciate da un comune cittadino indignato non certo da chi a quelle domande avrebbe dovuto dare seguito, emblematico dell’inversione tra azione ed emozione che la politica ha operato da tempo. Consegnate le chiavi delle decisioni al “pilota automatico” dell’economico coi suoi vettori sempre più disumanizzanti dell’utile, alla politica non resta che adeguarsi come può a quei poteri economici, dando così il buon esempio ai suoi governati da cui pretende la medesima condotta resiliente. Il suo compito, in sintesi, si esaurisce nel monopolio non già della forza, come pure sarebbe iscritto nel DNA della politica, ma delle emozioni del momento da rappresentare al meglio.
Si è anche detto che il sistema politico americano sarebbe ostaggio di un manipolo di “suprematisti bianchi” bene organizzati, oltreché armati, che ricatterebbero direttamente il Senato, fungendo inoltre da ago della bilancia in occasione delle elezioni presidenziali. Si omette di evidenziare che ormai larga parte di quello stesso consesso è consustanziale agli interessi delle principali multinazionali, a partire ovviamente da quelle delle armi. Si è da tempo convertito, con l’espressione di Marx, ad “un comitato d’affari” e non esprime più una democrazia al servizio del demos ma una oligarchia finanziaria, dove a comandare è solo il denaro. Non si spiegherebbe altrimenti come, nel bel mezzo di una tragedia di queste dimensioni, il dibattito pubblico possa virare sorprendentemente sul tema di militarizzare le scuole e armare ulteriormente i docenti. Il problema – l’acquisto e l’uso indiscriminato di armi – che si propone cinicamente come soluzione. Al prezzo di teorizzare l’utilizzo delle armi sulla frontiera estrema delle aule scolastiche.
A ben pensarci è la stessa logica che alimenta il dibattito mainstream sulla guerra in Ucraina e che sta prevalendo nei modi di affrontarla. Per stare al nostro Paese, non sia mai che ci si attenga al “ripudio della guerra”, come proclama solennemente la nostra Costituzione all’Art.11, piuttosto combattere la guerra con più guerra e più armi, secondo la più tipica delle figure di “cattivo infinito” denunciata per tempo da Hegel quale esito esiziale di una certa modernità. Quella stessa che Canetti in Massa e potere caratterizzerà con l’espressione “furore dell’accrescimento”.
Che poi negli USA sia consentita la vendita al dettaglio delle armi e la rigida proibizione di bevande alcoliche, birre comprese, non è indice di una particolare propensione alla schizofrenia di quel Paese, piuttosto la conferma sul piano empirico che “obblighi e divieti” prima ancora che sul piano normativo devono essere introiettati come senso comune e psiche collettiva. Per provare a mettere a terra il ragionamento, il famoso secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America, che garantisce il diritto di possedere armi, non è la causa ma l’effetto di una mentalità molto radicata, per motivi storici, presso quel popolo. Più nello specifico, è solo la punta giuridica di un iceberg ben più complesso che contiene un sostrato culturale con una particolarissima concezione di “libertà negativa”, di difesa strenua del proprio territorio, casa e famiglia rispetto agli incombenti imperi coloniali, britannico e spagnolo, di fine Settecento.
Certo, non è facile intervenire sulle mentalità secolari, ma una strage di bambini per mano di un giovanissimo può aprire una faglia, indurre una frattura che apra finalmente ad un ripensamento più complessivo sui modi della convivenza, che non può ridursi al diritto di ammazzarsi reciprocamente. E’ quel “travaglio del negativo” che nella sua tragicità può preparare il terreno ad una sintesi superiore di una comunità tutta che agisce finalmente secondo i dettami di una ragione che preserva la vita e non la espone, secondo un malinteso principio di sicurezza.
Per non peccare di ottimismo, attendiamoci comunque per i prossimi giorni, onde evitare di parlare dell’essenziale, un florilegio delle più fantasiose e bizzarre diagnosi psicopatologiche a carico del giovane autore della strage. il sistema è così in crisi e condizionato dai potentati economici che non trova di meglio, in questa fase, per autoassolversi se non esasperare il principio dell’individuazione della colpa.
Se non acquisiamo piena consapevolezza che qui in Occidente abitiamo non già una democrazia ma una compiuta oligarchia e che l’economia intorno a cui ruota è nella sostanza, per dirla con Aristotele, una crematistica, le reali strutture che governano il mondo, non quelle ipocritamente evocate da qualche istituzione internazionale, si incaricheranno di condurci ad una crisi senza vie di fuga che prepara a sua volta una fine senza consapevolezza della fine. Prima che il capitalismo nella sua ultima estenuata forma neoliberista divori se stesso, progettando la fine del mondo piuttosto che il proprio superamento, è il caso di attrezzarsi collettivamente per tempo e propiziare quel superamento.
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