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I destini della magistratura fra i referendum e la riforma Cartabia


7 Giu , 2022|
| 2022 | Visioni

L’apparente scontro tra potere giudiziario e potere politico, l’ombra lunga della tecnocrazia europea e, sullo sfondo, un modello di giustizia “robotica”.

La voce critica a tutto campo di un magistrato fuori dal coro, il Dott. Giuseppe Bianco, qui intervistato da Francesco Ricciardi.

D:

Dottore, da qualche anno pare che la magistratura sia particolarmente in subbuglio. Sarà per il caso Palamara, sarà per la ripresa dell’attività referendaria e garantista dei radicali, che in questo periodo sono in agenda riforme che riguardano, direttamente o indirettamente, i magistrati, e provenienti sia dal basso, con i referendum del 12 giugno, che dall’alto, con il DDL Cartabia. La Magistratura è addirittura tornata a scioperare; tuttavia, tale sciopero ha avuto un’adesione solo del 48% dei magistrati. Cosa sta succedendo dentro e fuori questo mondo?

R:

Uno sciopero a cui partecipa meno della metà della categoria è la prova evidente della delegittimazione del sistema correntocratico. Nonostante i proclami e gli alti lai, dopo il crack del 2019 non è emersa nessuna progettualità nuova. Lo sciopero era un tentativo di ricompattamento in chiave meramente autoconservativa. Tra qualche mese si svolgeranno le elezioni per il rinnovo del CSM ed il sistema ha bisogno di un nemico esterno per giustificare la propria esistenza. Fortunatamente non possono chiederci di invadere le Malvinas, come in genere si fa in questi casi.

D:

Il suo collega romano, Eugenio Albamonte, segretario di AreaDG, in un’intervista a “Il Dubbio” ha affermato che la riforma Cartabia dividerebbe i magistrati: tra alta magistratura e bassa magistratura, ma anche tra civilisti e penalisti, tra giudici e P.M., tra giovani ed anziani, e così via. E’ esattamente così?

R:

I funzionari di corrente non parlano dell’unica spaccatura reale: da una parte l’oligarchia e quelli che ancora ci credono. E dall’altra quelli che non ci credono più. Bisogna avere delle capacità davvero fuori dal comune per non riuscire mai a fare autocritica e giustificarsi con analisi sociologiste pretenziose secondo cui chi ha scioperato vuol difendere l’indipendenza e gli altri no perché sarebbero dei rassegnati delusi e pure vecchi. Ormai è evidente che a minacciare la nostra indipendenza è anche la pressione degli apparati correntizi.

D:

Crede che le correnti siano in declino ?

R:

Si tratta di organizzazioni nate con funzioni di tutela sindacale e poi diventate col tempo dei circoli ristretti ed asfittici. Alcuni gruppi associativi svolgono addirittura un ruolo apertamente politico e collateralista. E tanto più sono collateralisti, tanto meno si occupano dei temi più genuinamente sindacali.

Le faccio un esempio. Nel 2011 un decreto legge impose agli organi di autogoverno di stabilire i carichi massimi di lavoro per ciascuna funzione. Una misura essenziale per garantire la qualità del lavoro. Nell’anno 2022 siamo ancora in attesa. E’ un fallimento clamoroso dell’autogoverno. Si dirà che l’ANM non c’entra e che la cosa riguarda il CSM. In verità uno dei limiti patologici di questo sistema è proprio il vaso comunicante evidente fra CSM ed ANM. Anzi il passaggio dall’incarico di componente dell’ANM centrale a consigliere CSM è sostanzialmente automatico. Il fatto che a distanza di dieci o undici anni i magistrati comuni aspettino ancora un regolamento di garanzia sui carichi massimi deve essere imputato a niente altro che allo snaturamento del messaggio associativo che ormai è sempre più scollegato rispetto alla realtà vera della vita giudiziaria. C’è solo una ripetizione stereotipata di concetti astratti, pretenziosamente ricalcati sul linguaggio della politica nazionale. Lo sciopero è fallito perché ormai c’è una dissociazione evidente di certe correnti dal mondo reale. Non c’è nulla di fisiologico in questo.

D:

Secondo il presidente delle Camere Penali, invece, questo sciopero è espressione di uno scontro di poteri tra quello politico (Parlamento e Governo) e quello giudiziario, perché il primo sembra voler riprendersi prerogative in materia di politica giudiziaria ed in maniera autonoma dal secondo che quest’ultimo non accetterebbe. Lei avverte questa condizione ed, eventualmente, ne è preoccupato?

R:

Queste letture sono tremendamente sorpassate e finiscono involontariamente per confermare il messaggio correntocratico di uno scontro in corso che invece non c’è affatto. Le chat del 2019 fra Palamara e gli altri sono illuminanti sulla presenza di una realtà consociativa e trasversale che lega ristretti ambienti politici e giudiziari, viribus unitis.

Lo scandalo del 2019 docet. Ma docet anche quello che è successo dopo. La politica ha promesso di fare una grande riforma ma la riforma Cartabia è una piccola cosa, sostanzialmente innocua. Altrettanto innocua la reazione, con uno sciopero fallito e fallimentare. La piccola riforma e la piccola protesta sono paradossalmente l’ennesima conferma di un concubinato nascosto e felice. Insomma, lo scontro è più di facciata che di sostanza e riguarda solo temi periferici.

D:

Con la riforma Cartabia, ma anche con la proposta referendaria, ci si propone altresì di modificare il sistema elettorale nella magistratura con il fine di indebolirne le correnti. Ritiene che queste siano iniziative opportune ed efficaci a tale scopo?

R:

Dagli anni 50 ad oggi il sistema elettorale del CSM è cambiato 5 volte, ogni volta con lo scopo dichiarato di abbattere il correntismo. La verità è che l’efficacia di una qualsiasi riforma elettorale dipende dalla sua travatura interna ma anche dalla fisiologia del corpo ricettore. Nel nostro caso le correnti più strutturate sono comunque capaci di gestire qualunque dispositivo elettorale in modo da garantirsi l’autoconservazione. Non esiste una riforma elettorale salvifica. Se questa oligarchia rimane in piedi, tra qualche anno farà un’altra riforma elettorale e riciclerà la “reclame” precedente.

D:

Ma per questo, allora, si era pensato anche al sorteggio…

R:

Il sorteggio è un dispositivo elettorale come un altro e di per sè non ha un valore millenaristico o palingenetico. Mandare al CSM una serie di giustizieri indipendenti porterebbe le correnti più strutturate ad aprire un calciomercato con cui assorbire il nemico. Ma anche se gli indipendenti resistessero, al rientro in servizio sarebbero chiamati a rapporto dal sistema correntizio. La verità è che il sorteggio è un’arma risolutiva solo se accompagnato da una serie di misure collaterali. E’ il combinato disposto delle varie misure ad essere decisivo, non la singola misura.

D:

E quali potrebbero essere queste misure collaterali?

R:

Il sistema funziona con una spinta ormai inerziale e si è costruito per cristallizzazioni successive. Il risultato – voluto o no – è che oggi molti passaggi di carriera sono subordinati ad organismi in cui la mediazione correntizia se non è continua è comunque frequente. Alla fine molti accumulano un debito correntizio che nei casi più gravi rischia di incidere anche sull’esercizio della giurisdizione. Disarticolare questo sistema significa ridurre al minimo gli spazi di mediazione, disseccare tutte le pozze dove si abbevera il sistema. Ma per far questo ci vuole la perfetta conoscenza del sistema vascolare interno. Curare un tumore endocrino è una questione di microchirurgia complessa.

D:

Lei parla di microchirurgia complessa. Però, ora ci sono i referendum che, per la peculiare caratteristica strutturale dello strumento, non si adattano tanto ad interventi complessi. Tuttavia, la loro intenzione è quella di affrontare ugualmente, in qualche modo, problemi annosi nella magistratura e nella giustizia in generale.

R:

I referendum sono una miscela di buoni propositi e di cattivi pregiudizi. Capisco lo spirito dei proponenti ma non bisogna perdere la pazienza di distinguere: una cosa è il diritto di associazione dei magistrati in quanto lavoratori, un’altra cosa è la correntocrazia, un’altra cosa è la macchina rotta dei processi. La prima cosa va difesa, la seconda va cancellata, la terza cosa va riparata. Sono tre cose distinte ma anche legate a livello costituzionale. Per separare questi gemelli siamesi occorre una grande perizia chirurgica.

D:

Da dove e come si potrebbe cominciare, ad esempio?

R:

Le metastasi sono tante. Un punto cancerogeno di cui non si parla mai è l’impasse istituzionale fra CSM e magistratura amministrativa. Il CSM non si uniforma quasi mai agli annullamenti del Consiglio di Stato. La questione non è di poco conto perché incide direttamente sull’art 103 della Costituzione che riserva alla giustizia amministrativa la tutela nei confronti della PA. Gli atti del CSM possono essere impugnati o no? L’ art 103 della Costituzione vale o no per il CSM? Non sono cose di poco conto. Non tifo né per l’uno né per l’altro ma c’è uno stallo costituzionale clamoroso.

D:

A parte questo nodo di rapporti tra questi due fondamentali organi, ma di cui la gran parte dei “non addetti ai lavori” ne ha ignorato, almeno sin d’ora, l’esistenza, ve ne sarebbe qualcun altro da affrontare urgentemente?

R:

Un altro punto malato è il controllo dell’azione penale. Nel 2018 il Procuratore capo di Torino annunciò pubblicamente le sue priorità in tema di immigrazione e fu molto critico rispetto al governo dell’epoca. L’ iniziativa era legittima ma non tutti i vertici giudiziari erano obbligati a pensarla nello stesso modo. Il problema è che se ogni ufficio territoriale si scrive da sé il suo specifico codice di Hammurabi, poi l’ uniformità del giudizio diventa una cabala giudaica. E soprattutto, quando si aprono spazi di discrezionalità come questo, in un sistema basato spesso sul debito correntizio , il rischio è che il cittadino sospetti sempre una interferenza delle correnti ideologiche di riferimento, soprattutto quando l’azione penale incide su temi divisivi come l’immigrazione. La cosa è gravissima perché l’immigrazione è un tema connesso alla tutela dei confini e quindi all’art 52 della Costituzione.

D:

Ed, allora, le priorità dell’azione penale chi le dovrebbe decidere?

R:

Appunto, chi? il CSM con le sue maggioranze passeggere? il singolo Procuratore capo? la singola corrente egemone di quel singolo distretto di Corte di Appello? Almeno su certi temi delicati, le priorità devono essere decise da organi di garanzia democratica per la semplice ragione che solo così le scelte possono essere controllate in termini trasparenti, magari sanzionate o cambiate. Le priorità non possono restare degli interna corporis, partorite solo nelle stanze di qualche dirigente o di un CSM a maggioranza correntizia variabile. Sono scelte vitali per il nostro popolo. L’azione penale ed il rapporto fra CSM e Consiglio di Stato sono soltanto alcuni dei problemi.

D:

Ma, in tal modo, l’introduzione formale di una tale discrezionalità (seppur di tipo politico) nel poter scegliere quali fattispecie di reato (ovvero tipologia di imputati) perseguire con priorità e quali, invece trascurare, non rischierebbe di creare differenze di trattamento tra categorie di cittadini che la Costituzione Repubblicana ha voluto, invece, scongiurare? La circostanza che, talvolta, questa discrezionalità possa già, attualmente, verificarsi di fatto in maniera implicita e non dichiarata da parte di singoli P.M., può giungere a giustificare il suo ingresso formale e generalizzato nel sistema giuridico?

R:

Proprio perchè la discrezionalità comporta in sé il rischio di una sostanziale impunità di intere categorie, occorre che sia regolamentata in termini trasparenti. Lasciare la regolamentazione ad una semplice categoria significa dare non a quella categoria ma alle dirigenze di quella categoria un enorme potere di interdizione su questioni di altissima valenza politica, un potere tale da vanificare perfino i risultati delle elezioni politiche nazionali. Proprio perché il tema è delicatissimo, occorre discuterne apertamente e trovare delle soluzioni equilibrate. La riforma Cartabia rimanda genericamente ad una legge futura. E’ un piccolo passo ma forse non è sufficiente.

D:

Rimanendo ancora al rapporto diretto tra magistratura e cittadini, uno dei quesiti referendari riguarda l’abolizione di uno dei criteri per l’applicazione della misura cautelare, cioè quello del pericolo di reiterazione del reato della stessa specie per cui si procede. Forse potrà anche non essere la modalità di intervento ideale in tal senso, però è noto che risultano tanti gli errori giudiziari che hanno condotto ad ingiuste detenzioni. Secondo il Mef ed il Ministero della Giustizia, la somma versata per i risarcimenti per tali detenzioni, nel 2021, ammonta a 24,5 milioni, mentre nel 2020 è stata di 36 milioni. Allora, il problema c’è ed il relativo quesito referendario lo fa emergere chiaramente; o no?

R:

Una cosa è usare lo strumento in modo sbagliato. Un’ altra cosa è abolire completamente lo strumento. Anche qui occorre pazienza e misura. Ad ogni modo il fatto che non si parli dei quesiti referendari è la migliore dimostrazione dell’accordo sotterraneo e consociativo che regge il sistema.

D:

Secondo lei quale potrebbe essere la strada per affrontare adeguatamente questi problemi della giustizia che, con frequenza a dir poco periodica, si ripresentano nel dibattito politico?

R:

Gli “enragees” rivoluzionari probabilmente non sono in condizione di gestire una fase ricostruttiva. Per fare una riforma copernicana occorre un governo con una grande legittimazione politica e sociale. Ma non basta: gli articoli 2 e 7 del Trattato sulla Unione riservano alla UE l’ultima parola in tema di riforma sulla giustizia. Per ragioni di semplice collateralismo politico, parte della nostra curia interna trova una sicura sponda in quella parte della società politica più legata ad un certo mondo U.E. Questo legame sotterraneo funziona da moltiplicatore di frenata. C’è tutta una linea di resistenza carsica che impedisce un riequilibrio costituzionale, per il quale occorre un governo pienamente politico e capace di una interlocuzione paritaria con Bruxelles. Queste condizioni al momento non ci sono e ci tocca accontentarci dei filmati di repertorio: una riforma tiepida ed uno sciopero finto. Moltiplicando zero si ottiene sempre zero.

D:

Lei ha richiamato il rapporto con l’Unione Europea. Secondo lei, quanto ed in che modo questo legame con l’U.E. incide nell’affrontare adeguatamente le riforme nel campo della giustizia?

R:

Direi che è un fatto di semplice conservazione politica. La UE per come si è strutturata oggi ha una funzione meramente conservativa rispetto all’assetto di potere storicamente in atto. Tutte le riforme fatte dai governi omogenei vanno bene. Tutte le riforme che siano espressione di un cambio di maggioranza politica vanno male. Non ne farei più una questione di merito. Sono molto disincantato in merito.

D:

Però, si dice che il Governo Draghi abbia molta autorevolezza in Unione Europea…

R:

La riforma della giustizia non può farla la sanculotteria ma nemmeno i signori marchesi. I governi tecnocratici sono capaci solo di una lettura meramente efficientistica dei problemi. Per giunta le costituzioni del dopoguerra rispondevano a grandi istanze sociali e politiche che le dirigenze tecnocratiche, con le loro antenne da lumaca miseramente contabilistiche, non riconoscono più. Questioni come l’equilibrio costituzionale dei poteri o come la terzietà del giudice lasciano completamente indifferenti tecnocrati , contabili e pubblicani vari. Per una riforma copernicana è necessaria una visione politica ed umanistica con un respiro oceanico. Ci vogliono Mortati, Moro, De Francisci e Calamandrei messi insieme.

Nelle nostre aule c’è sempre stato il crocifisso. Nelle aule di giustizia dell’antica Repubblica di Venezia invece c’era scritto: “Ricordatevi del povero fornaretto“. Si alludeva ad un altro errore giudiziario. Per dire che per una grande riforma della giustizia ci vuole anche conoscenza storica e umanità e spiritualità insieme. Non è cosa da tecnocrati. Una comunità di esseri umani non può essere governata dalla Goldman Sachs. E nemmeno dalla intelligenza artificiale.

D:

A proposito di tecnicismo ed intelligenza artificiale! In campo internazionale si è cominciato a teorizzare una giustizia c.d. “predittiva”; ossia, la possibilità di prevedere, appunto, attraverso modelli statistici e matematici, l’esito dei processi. Può essere questa una possibile direzione, nel settore giustizia, che si proverà ad intraprendere un giorno?

R:

La Corte di Appello di Brescia ha già avviato degli studi sulla giustizia predittiva. Sulla carta dovrebbe avere una funzione ausiliaria. Di fatto nel mondo si sta andando ben oltre: nei paesi baltici è stato avviato un progetto di giudice artificiale per le controversie minori; negli USA in alcuni processi si è già fatto ricorso al sistema di intelligenza artificiale per valutare la recidiva. Ho letto di PM robot in fase progettuale in Cina. C’è una idolatria tecnologista che pretende di utilizzare l’intelligenza artificiale in funzione sostitutiva degli esseri umani un po’ in tutti i campi. Una società ingabbiata negli algoritmi è mostruosa. Bisogna interrogarsi sui limiti etici delle applicazioni tecnologiche. Non si può affidare il destino o il patrimonio di una famiglia alle combinazioni numeriche di un calcolatore. Ma il delirio tecnocratico dilagante non riconosce più nessun principio umanistico o spirituale. Nel nostro piccolo, direi che il sistema correntocratico italiano è colpevole perfino di questo. Gli uffici giudiziari riflettono già adesso una specie di mentalità aziendalistica ingravescente. In un ambiente già asfittico di per sé ci manca solo di ricevere quest’altro tipo di becchime ideologico: la fede ottusa nelle meraviglie dell’intelligenza artificiale anche nella giustizia.

D:

Ma in magistratura è stato avviato un dibattito su tale tema?

R:

Sarebbe un segno rivoluzionario avere una ANM impegnata a discutere di questi grandi temi piuttosto che delle lottizzazioni da mettere nel forziere. Ma al di là delle omelie tolemaiche, il sistema offre il meglio di sé stesso solo nella distribuzione del sottopotere.

Gli apparati e le burocrazie hanno schemi mentali semplici. Riescono solo a tradurre in formule pretenziose una eterna partitella Inter-Milan di occupazione di posti. Ed anche quando fanno scissioni ed unioni di correnti, sono solo scismatici e mai eretici. E’ un tempo assolutamente regressivo. Ma sono fiducioso: si è messo in moto un meccanismo di rifiuto che non può più essere recuperato. Bisogna costruire un mondo nuovo. Tutto sta a vedere se troverà una espressione politica anche al di fuori dell’ambiente asfittico della magistratura associata di oggi.

Di:

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