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Come valutare la strategia di Mélenchon in Francia?


21 Giu , 2022|
| 2022 | Visioni

Ho voluto attendere il risultato delle legislative in Francia prima di avanzare un giudizio compiuto sulla strategia adottata da Mélenchon durante queste due (quattro, se si tiene conto dei ballottaggi) tornate elettorali.

Andrò controcorrente rispetto alla gran parte dei commenti, ma, a mio parere, il risultato non può considerarsi soddisfacente. Nonostante qui in Italia, soprattutto a sinistra, l’attenzione si concentri sul fatto, assolutamente positivo, che Macron abbia perso la maggioranza assoluta nel Parlamento francese, il risultato della France Insoumise e la modalità con cui esso è stato raggiunto ci appaiono al di sotto delle aspettative più promettenti. 

Ma andiamo con ordine. Il 10 aprile 2022 si sono tenute le elezioni presidenziali. In quella tornata, Mélenchon ha mancato per un soffio l’accesso al ballottaggio, superato di pochissimo da Marine Le Pen. Dopodiché c’è stata l’immediata e frenetica dichiarazione di voto fatta da Mélenchon, che così aveva affermato: “Non bisogna dare un solo voto a Marine Le Pen”, senza peraltro nominare l’altro avversario, cioè Macron. Un passo indietro spiazzante, da una prospettiva populista, rispetto alla posizione assunta nel 2017 che si attestava sul doppio no sia a Le Pen che a Macron. Quella mossa poteva però avere un senso “tattico” in vista delle legislative delle settimane successive e quindi era lecito rinviare il giudizio, per verificare alla prova degli esiti elettorali, l’opportunità di una tale strategia: ricompattare il blocco a sinistra, indicando la Le Pen come avversario politico principale.

Come è noto, pochi giorni dopo il secondo turno delle presidenziali viene annunciata la nuova alleanza denominata NUPES (New Ecologic and Social People’s Union) formata da: La France Insoumise, Il Partito socialista, il Partito comunista e i Verdi. Nel caso in questa alleanza avesse vinto le elezioni legislative francesi, Jean-Luc Mélenchon sarebbe diventato il nuovo Primo ministro francese. Cosa che non è poi avvenuta.

Quel tipo di alleanza rappresenta l’esito inevitabile del diverso profilo programmatico che La France Insoumise ha assunto negli ultimi anni, come ben delineato in questo articolo da titolo “La Francia di Jean-Luc Mélenchon”, dove leggiamo: “A sfumare fu anche la linea politica relativa alla riforma dei Trattati Europei. La France Insoumise, si ricorderà, abbandonò infatti la linea di uscita dall’Unione Europea (cosiddetto “piano B”), optando per una più pragmatica strategia di disobbedienza caso per caso.” Questo non vuol dire che sia scomparso dal suo discorso qualsiasi riferimento all’interesse nazionale, che, a differenza del nostro Paese, non costituisce un elemento di novità nell’ambito della sinistra francese perché affonda le sue radici nella tradizione del repubblicanesimo socialista.

Durante la fase iniziale della campagna elettorale effettivamente pareva comunque che lo schema utilizzato potesse funzionare e ci fossero dunque buone possibilità per JLM di diventare Primo ministro: Macron, in particolare, era in difficoltà nonostante la recente riconferma alle presidenziali e la Le Pen non era un avversario troppo temibile visti i suoi risultati sempre modesti ottenuti alle legislative (nelle ultime aveva racimolato solo 8 seggi). Sembrava quindi prospettarsi un testa a testa tra JLM e Macron, collegio per collegio. Ma così non è stato.

L’esito finale è però quello riportato dalla seguente tabella:

Come valutare la strategia di Mélenchon in Francia?

Come possiamo vedere, la coalizione guidata da Macron non ha raggiunto la maggioranza assoluta di 289 seggi. A questo punto si apre una fase di grandi incognite per il sistema politico francese: per la prima volta negli ultimi 20 anni le elezioni legislative non garantiscono la presenza di una maggioranza assoluta all’interno dell’Assemblea nazionale. Questo è sicuramente un risultato degno di nota, a cui la NUPES ha dato sicuramente un apporto positivo. Allo stesso tempo non può essere ignorata la crescita impetuosa del partito della Le Pen, il Resemblement National, che passa da 8 a 89 seggi.

Ritornando a Mélenchon e a La France Insoumise, si possono tentare le seguenti valutazioni: la prima, ovvia e tranchant, ci dice che Mélenchon non ha raggiunto il suo obiettivo di diventare Primo ministro; la seconda, se guardiamo alla strategia di medio periodo impostata dalla France Insoumise, ci dice che la scelta di assumere parole d’ordine più sfumate e concilianti rispetto agli argomenti più controversi a sinistra (quali ad es. il rapporto con l’Unione Europea e la questione immigrazione) ti consente di ricompattare anche significativamente “i tuoi” ma non di “vincere la partita”. Se è vero che la coalizione di sinistra è andata consolidando il suo consenso in termini generali, è altrettanto vero che a livello di partito quello che ha ottenuto il maggiore successo è quello di Marine Le Pen.

La domanda poi da farsi è ora la seguente: quanto reggerà la coalizione elettorale a sostegno di Mélenchon (NUPES), una volta che l’obiettivo primario non è stato raggiunto? Socialisti e/o i verdi andranno in soccorso di Macron per fermare la “fascio-populista” Le Pen? Una prima spaccatura avviene proprio oggi: Mélenchon ha proposto che si formasse un gruppo parlamentare unico per la coalizione in modo da essere riconosciuti come prima forza di opposizione e ottenere così la presidenza di alcune commissioni, ma socialisti, verdi e comunisti hanno rifiutato (per il momento) la proposta.

Se qualcuno mi chiede allora se dobbiamo “fare come in Francia”, la mia risposta non può che essere negativa. Non solo perché in Italia la situazione è completamente differente, come spiega bene Giulio di Donato, ma anche alla luce di una strategia di depotenziamento della propria carica populista, quella appunto adottata da Mélenchon in Francia, che ha dato sì buoni risultati, ma ben lontani da quelli sperati. E così la sfida radicale, di popolo, alla tecnocrazia centrista di Macron, che non ha vinto ma neppure perso, subisce nei fatti una nuova battuta d’arresto. Mentre le due grandi forze alla sua destra e alla sua sinistra sono cresciute, sì, ma sono rese alla fine inservibili.

Infine, come è stato fatto giustamente notare: “L’Union Populaire non ha potuto o saputo includere nel suo popolo coloro che sono già segregati, non già all’interno della città, ma fuori di essa. […] La campagna di attrazione delle classi urbane istruite deve essere allora attentamente ponderata, a partire da ciò che può compromettere, come un ulteriore allargamento del voto popolare.

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