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Se il populismo argentino parla alle nostre democrazie
Recensione al libro di Pasquale Serra Perché studiare il populismo argentino (Rogas, 2022)
Sono ormai anni che Pasquale Serra si dedica in maniera costante, insistente e disciplinata a quel grande enigma che è la politica argentina. Lontano dal voler fare di questo interesse un esotismo, un piacere puramente intellettuale per il diverso, lo stravagante e il distante, al contrario Serra è sempre più immerso nella realtà argentina e si confronta costantemente con una rete di intellettuali di primo piano del paese latinoamericano e dedica a questi studi un rigore e una serietà che sono rare verso qualsiasi oggetto di studio. Questo approccio al problema argentino, e quella che esterioriormente potrebbe sembrare nulla più che una passione specialistica di accademico è in realtà il risultato di una convinzione profonda che fornisce subito una risposta al titolo del libro di cui stiamo discutendo (Perché studiare il populismo argentino): la politica argentina, e specificamente il tema del populismo, parlano alla crisi della democrazia europea. Se infatti come diceva Di Tella – grande studioso argentino del populismo – le società europee si stanno latinoamericanizzando, e se come diceva Laclau – altro importante teorico che non necessita presentazioni – le democrazie latinoamericane hanno molto da insegnare a quelle europee, allora studiare il populismo argentino significa guardarsi allo specchio. Il tema del doppio nel nostro rapporto di europei con le americhe è ricorrente del resto (e l’Argentina, nello specifico, è forse anche la più italiana delle nazioni americane) anche se spesso, soprattutto in relazione con l’America Latina, si stabilisce un rapporto fra un paradigma, un modello, e la sua riproduzione deviata. E con il populismo, un fenomeno tipicamente (anche se non esclusivamente) latinoamericano quello che succedeva era proprio questo: si cercava, e si cerca tutt’ora, di leggerlo attraverso la categoria del fascismo, magari con degli adattamenti al contesto. Allo stesso modo, sia chiaro, un problema della politica latinoamericana è stato proprio il non riuscire a staccarsi dall’idea che l’Europa fosse il modello da perseguire, la civiltà verso cui tendere, uscendo dalla barbarie di un continente selvaggio. Facundo. Civilización y barbarie di Faustino Domingo Sarmiento è una pietra miliare della letteratura argentina del secolo XIX che racconta proprio questo conflitto originario che strutturerà l’autorappresentazione di generazioni di politici di fede socialista, comunista, liberale, radicale ecc… e si basa proprio su questa opposizione.
Il libro di Serra pensa sì un rapporto stretto fra i due continenti, ma in una prospettiva lontana da quella eurocentrica e coloniale, per Serra il populismo argentino non è una variante del fascismo europeo, la democrazia latinoamericana non è arretrata rispetto a quella europea, ma al contrario è più in connessione con degli elementi strutturali del politico e può quindi servire da insegnamento (non da modello da esportare, altrimenti si cadrebbe in un pensiero paradigmatico al contrario). L’approccio di Serra quindi è quello dell’immersione nel contesto politico argentino al fine di comprenderlo profondamente per conoscere meglio il nostro (in un gioco di identità e differenze che richiama il tema del doppio a cui abbiamo accennato). Solo così è possibile pensare di superare quel desencuentro e mettere in un dialogo produttivo queste tradizioni, solo così è possibile infine far emergere le questioni fondamentali della crisi della nostra democrazia.
Il problema fondamentale di questo “noi” – che identifica la democrazia come trasformazione nel senso della giustizia sociale delle società occidentali, e la componente all’interno di queste che vuole guidare questo processo, cioè una ora inesistente soggettività socialista – è la dispersione del popolo. Viviamo in paesi che sono passati da un’eterogeneità culturale localistica che il capitalismo ha teso a distruggere, a società nella quale l’eterogeneità riemerge nella frammentazione delle soggettività e delle identità politiche e sociali nel post-fordismo. In questo senso potremmo dire che il tema della necessità dell’articolazione di diverse istanze sociali in un’unità politica come soggettività agente e trasformatrice è un problema che si è posto sempre: a partire dalla questione contadina in russa e quella meridionale in Italia, fino al tema della fine della fabbrica come luogo di unificazione concreta dei lavoratori e dei nuovi movimenti sociali. Da Lenin a Gramsci e Togliatti, fino al grande tema della frammentazione dei lavoratori nel tardo capitalismo, il problema dell’articolazione delle identità e delle soggettività è un problema che non ha smesso di porsi. Se c’è stata una fase nella quale, seppur con difficoltà il movimento operaio in Europa riusciva in questo lavoro di traduzione ed articolazione, ci troviamo in una fase dove la dispersione è massima. In questo il populismo argentino ci porta il suo primo insegnamento nella misura in cui nasce da un contesto di radicale eterogeneità sociale, in una società in rapida trasformazione (con migrazioni interne ed esterne molto importanti in una fase di crescita urbana), dove la società civile non è organizzata. Il movimento peronista riuscirà attraverso la rappresentazione populista di un leader a creare un’unità politica centralizzata che mise in moto un processo di sindacalizzazione e politicizzazione delle masse senza precedenti. Questo è avvenuto, secondo Serra, perché è stato compreso nesso fra mito, rappresentazione e teologia politica. Il leader populista intuisce che non esiste unità di una soggettività politica garantita dalla classe e usando articolazioni simboliche diverse riesce a produrre questa unità, questa volontà collettiva. Scrive Serra:
“il populismo argentino ha messo al centro il problema dell’unità, problema drammatico e serissimo, perché il caos immenso e visibile che abbiamo tutti sotto gli occhi, rimanda, appunto, a una domanda di ordine e di unità” cerca di rispondere alla domanda “se e come questa società radicalmente eterogenea è capace di essere soggetto di un’azione politica, di agire politicamente, e dunque di trasformarsi in una unità politica.”
Siamo sul terreno di quella che è stata definita la problematica del nazionale e popolare – riprendendo e trasformando il concetto gramsciano – che in argentina è praticamente identificato con il tema del populismo. Ma per Serra il nazionale popolare acquisisce un significato specifico molto connotato, nel contesto del “continente teologico politico” (José Aricó), è “critica radicale dell’immanenza”. Questa definizione molto poco ortodossa del nazionale popolare ci rimanda al problema appena ora affrontato: solo una trascendenza che nella propria opera di rappresentazione del popolo riesce a produrre unità, eccedenza di senso, riesce a riunire un popolo. Senza trascendenza non si dà rappresentazione, unità (della parte e del tutto – che però è sempre una parte che simula di essere il tutto) e volontà collettiva di trasformazione. Il populismo argentino anche in questo – con la lunga storia del peronismo – sarebbe riuscito a produrre un modello alternativo a quelle che poi sono state le derive delle sinistre europee.
Ma questo è stato possibile – sostiene Serra, con una tesi ardita, di grande interesse – perché l’Argentina è stata dominata “da una certa idea di secolarizzazione, che […] sta sempre in un rapporto indissolubile con il mito […] il quale” continua “non si fa mai del tutto secolarizzare e consumare e vincere una volta per tutte.” Questa idea di secolarizzazione mantiene aperto, nel contesto immanente della modernità politica una fonte inesauribile di energia, che potremmo – seguendo il paradigma teologico politico – pensare come un sostituto funzionale della religione. Questo permette di rispondere al problema della rigenerazione. Perché infatti in Argentina, seppur intervallato da feroci dittature, restaurazioni neoliberiste (capitanate da presidenti interni al movimento peronista stesso), a ogni giro della storia il movimento nazionale e popolare riemerge e riesce ad essere di nuovo protagonista della politica nazionale contro l’oligarchizzazione, mentre da noi, in Europa, sembra che con la fine della spinta propulsiva della Rivoluzione Russa e dei partiti ad essa legati, sia finita ogni spinta emancipatrice? Qui Serra riprende, sempre trasformandola, la tesi del “suicidio della rivoluzione” di Augusto Del Noce. I movimenti emancipativi si sono suicidati perché hanno perso l’energia del mito consegnandosi ad un’idea di “secolarizzazione [che] ha dissolto ogni mito, in assenza del quale le formazioni politiche, integralmente modernizzate, laicizzate e pluralizzate, senza più un oltre, né trascendente né immanente, hanno perso ogni sostanza e ogni necessità storica, e alla fine, come era prevedibile, senza più energie per rigenerarsi sono diventate superflue.” Quindi non solo senza trascendenza e mito non si dà rivoluzione, ma senza la forza della teologia politica i progetti di emancipazione non si rigenerano e finiscono nella loro stessa negazione.
Tornando alla questione della democrazia ci accorgiamo come, secondo Serra, il problema fondamentale sia proprio l’esaurirsi di quella energia data da una laica trascendenza che permetteva una costante ridefinizione dei suoi confini, che ne permetteva l’esistenza come un processo dinamico di produzione di forme di unità soggettiva, conflitto e unità politica superiore. Il carburante di questa processualità si è esaurito ma non la sua drammatica necessità e il populismo argentino può riconsegnarci un modello – non da imitare, ma, come recita il titolo, da studiare – per capire i limiti di una società spoliticizzata che ha consegnato alle tecnocrazie le chiavi delle istituzioni.
È quindi un modello teologico politico quello che Serra ci propone? Sì e no, perché il pensiero argentino non si è fermato alla prospettiva teologico-politica dell’unità mitica. È la stessa trascendenza che produce energia e forma, a tenere aperto il Politico evitando l’effetto totalizzante (e totalitario in questo senso, perché frutto di una totalità statica e sclerotizzata) della chiusura dell’unità politica intorno a un leader, a un significante vuoto. Secondo Serra è con la riflessione di Ernesto Laclau che il populismo argentino ha pensato una teoria autenticamente democratica – cioè aperta alla contingenza – del legame politico ed è giunta così a maturazione aprendosi alla problematizzazione del nesso fra mito e unità. Se infatti il populismo si limita a pensare la produzione di unità politica attraverso l’azione rappresentativa del sostituto contemporaneo del sovrano hobbesiano (il leader populista), il teologico-politico diviene una teoria del totalitarismo, della tirannia. Al contrario se con Laclau l’apertura alla trascendenza rimane sempre un’apertura al radicalmente Altro, alla possibilità sempre presente dell’azione di dislocazione della contingenza, allora la teoria del populismo diviene compiutamente una teoria della democrazia. La teoria della democrazia di cui abbiamo bisogno in Europa.
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