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L’istituto del referendum, così come congegnato, è ancora attuale?
Proposte di modifica dell’articolo 75 della Costituzione e prospettive di dibattito
La scarsissima affluenza (i dati ufficiali la stimano al 20,9%[1], record negativo nella storia della Repubblica) con cui gli elettori italiani si sono recati alle urne per esprimersi sui cinque quesiti referendari in materia di riforma della giustizia, nel giorno di domenica 12 giugno 2022, non può che spingere a profonde riflessioni sulla natura dell’istituto del referendum, per come previsto dall’articolo 75 della nostra Costituzione.
Tralasciando le evidenti e concrete connessioni con il fenomeno dell’astensionismo, di cui non si indagheranno le ragioni squisitamente politiche e sociali, ciò che in questa sede si ritiene opportuno è analizzare e riflettere sull’istituto del referendum abrogativo, e chiederci, in particolare, se l’articolo 75 della Costituzione, così come formulato dai nostri padri costituenti, possa considerarsi ancora attuale.
Una delle questioni fondamentali che urge affrontare è quella relativa alla presenza del quorum, giacché lo stesso articolo 75 della Costituzione recita, al quarto comma, che “La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi”. In poche parole, l’attuale formulazione dell’articolo prevede che in caso di mancata partecipazione al voto del 50% degli aventi diritto, e nel caso in cui la proposta referendaria non venga approvata dal 50% più uno degli elettori stessi, il referendum si conclude con un nulla di fatto. Questo significa che “far saltare” un referendum è, da un punto di vista meramente aritmetico, piuttosto semplice.
In Italia, l’elettorato attivo è composto da circa cinquanta milioni di elettori[2]. Ai fini della validità del referendum, dunque, devono recarsi alle urne circa 25 milioni di cittadini più uno. Considerata una quota fisiologica ed inevitabile di astensionismo, è evidente che per “boicottare” la consultazione referendaria è sufficiente convincere anche soltanto una parte minoritaria dell’elettorato a non recarsi alle urne. Non è un caso, infatti, che dal 1995 ad oggi nessun referendum abrogativo ha raggiunto il quorum, eccetto quello del 2011, avente ad oggetto i quesiti su nucleare e acqua[3].
Occorre pertanto domandarsi se l’istituto del referendum previsto dall’art. 75 Cost. sia da considerarsi ancora attuale, o se sarebbe opportuno prevedere alcune modifiche mirate a favorire una maggiore partecipazione dei cittadini. Allo stato attuale sono state proposte due soluzioni[4]; entrambe prevederebbero una revisione del quorum in termini considerati più adeguati ai (nuovi) valori di partecipazione democratica[5].
Una delle due proposte consisterebbe nell’ancorare la validità del referendum ad un quorum del 25%, provando ad incentivare, in questo modo, chi è per il no a recarsi alle urne. Tale soluzione potrebbe potenzialmente ovviare all’attuale problema relativo al raggiungimento del quorum, ma non risulta comunque esente da importanti criticità. Anzitutto, bisogna rilevare che il quorum, così concepito, appare un ibrido[6]; esso infatti non è né propriamente strutturale né deliberativo. Come è stato opportunamente evidenziato, il quorum «cambia volto e si trasforma in altro da sé: da soglia quantitativa che radica la validità della deliberazione popolare – com’è oggi nell’art. 75, quarto comma, Cost. – in valore minimo che sorregge la singola opzione[7]». Ma vi è di più. L’argomentazione secondo la quale eliminando, o riducendo sensibilmente il quorum strutturale di validità del referendum, si arginerebbero gli effetti negativi dell’astensione, non sembra di rilievo tale da poter giustificare una soluzione che, di fatto, affida ad una esigua minoranza di cittadini (il 25% più uno, in evidente contrasto con il principio democratico) la possibilità di deliberare su un progetto di legge, al posto del Parlamento, che va ad innovare l’ordinamento giuridico.
E’ opportuno peraltro sottolineare come anche la scelta di astenersi può avere una sua dignità, politica e sociale; infatti, l’iniziativa referendaria promossa da un numero ristretto di cittadini potrebbe non incontrare l’interesse della maggior parte degli elettori, mentre nel caso contrario, qualora l’interesse fosse concreto e sentito dai più, l’affluenza vedrebbe certamente un consistente incremento[8]. Secondo l’opinione di chi scrive, dunque, ridurre sensibilmente il quorum strutturale di validità non appare una soluzione condivisibile in quanto, come è stato del resto efficacemente sottolineato, «il quorum non è un ostacolo al raggiungimento di un esito referendario: è, piuttosto, la misura della sua legittimazione presso il corpo elettorale nel confronto con il potere legislativo[9]». La volontà di ridurre o addirittura eliminare il quorum, invero, trae origine da quello che pare essere il frutto di un equivoco valore conferito all’astensione la quale, ad avviso dei promotori dell’iniziativa referendaria, rappresenterebbe il sintomo di una disaffezione alla politica, se non addirittura di un vero e proprio “laisser faire”, ma che forse dovrebbe essere considerata nella sua complessità[10]. Relativamente al referendum abrogativo, è certamente verosimile che una certa quota di astensionismo possa essere dovuta alla sfiducia o al disinteresse, ma altre quote possono scaturire anche da un giudizio politico; parte dell’elettorato può infatti decidere di non recarsi alle urne perché non condivide la formulazione del quesito, o perché vuole consapevolmente boicottare il sì, oppure perché ritiene che la questione dovrebbe essere sottratta alla decisione referendaria per essere affidata, invece, alla discussione e alla mediazione parlamentare.
In extremis, peraltro, pare del tutto legittima anche la scelta di non reputare utile la consultazione o giudicare la materia non di proprio interesse. L’astensionismo non può, in alcun modo, non essere considerato legittimo in un ordinamento democratico, o che ritenga di definirsi tale.
La seconda soluzione paventata, d’altro canto, consisterebbe nello stabilire il quorum del referendum “alla metà della partecipazione registrata alle precedenti elezioni politiche”[11]. Secondo Antonio Riviezzo, professore associato di Diritto costituzionale nell’Università degli Studi di Siena, l’unica modifica costituzionalmente ammissibile sembrerebbe dunque quella «di calcolare il quorum di partecipazione (del 50% + 1) non sugli aventi diritto al voto, ma sui partecipanti al voto nelle elezioni politiche immediatamente precedenti, posto che così non cambierebbe la ratio del quorum sottesa al ruolo deliberativo del corpo elettorale, ma cambierebbe soltanto la base di calcolo del quorum[12]».
Ciò che è possibile constatare, in realtà, è che anche tale proposta non sarebbe in grado di risolvere la questione della scarsa partecipazione popolare, nonché ad invertire la tendenza al crescente astensionismo.
Effettivamente, ridurre il quorum strutturale nei termini prospettati dalla riforma significherebbe non affrontare realmente il problema della partecipazione politica dei cittadini alla vita dello Stato, in quanto si avrebbe semplicemente come risvolto quello dell’accentuazione del ruolo delle minoranze (quelle organizzate e motivate) che già partecipano, nonostante tutto, alla vita pubblica.
Tirando le somme delle proposte formulate sinora circa la modifica dell’articolo 75 della Costituzione, relativamente al quorum, dunque, si può asserire che i rimedi in discussione non sembrano idonei a recuperare all’interno dei circuiti di decisione collettiva i soggetti che, oggi come oggi, sono disinteressati all’esercizio dei diritti politici e, anzi, rischiano di produrre l’effetto esattamente opposto (oltre a generare le criticità sistematiche segnalate)[13]. Ad avviso di chi scrive, una modifica significativa all’articolo 75 della Costituzione sarebbe da apportare non al quarto, bensì al secondo comma, il quale pone dei limiti circa le materie sulle quali l’elettorato può esprimersi tramite lo strumento referendario.
Il comma 2 del citato articolo, infatti, recita che: “non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”. Giova osservare che i padri costituenti hanno voluto introdurre tali limiti per ragioni di “cautela”[14], in quanto i più ritenevano il referendum “il mezzo meno idoneo per rispondere a tali esigenze”[15]. Relativamente all’amnistia e all’indulto, la scelta dell’esclusione dall’ambito dei possibili quesiti oggetto della consultazione referendaria appare giustificabile in ragione della delicatezza degli istituti in questione, rispetto ai quali una consultazione potrebbe comportare criticità sia termini di opportunità, sia di rispetto dei principi del diritto penale[16].
Anche per le leggi tributarie e di bilancio il limite risulta condivisibile, anche alla luce di diverse pronunce della Corte costituzionale[17] che hanno posto l’accento sul rischio di una possibile instabilità del quadro macro-economico e dell’equilibrio finanziario. Occorre invece chiedersi se siano opportuni, e soprattutto attuali, i limiti (o veti) posti rispetto alle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali. In altri termini, bisogna domandarsi se si debba considerare incontestabile ed inattaccabile la statuizione per cui i cittadini non possano avvalersi della consultazione referendaria per esprimersi su tale ambito, o se invece si possa ipotizzare una proposta di modifica sotto questo aspetto, come peraltro era stata avanzata già in seno all’Assemblea Costituente[18]. Dal momento che la politica estera, ma soprattutto gli Organismi internazionali, incidono in maniera sostanziale non solo sulla vita dei singoli cittadini, ma dell’ordinamento e della società tout court, si potrebbe ripensare di coinvolgere maggiormente la collettività nei processi decisionali riguardo un ambito così centrale. Peraltro, è da sottolineare come mentre rispetto alla questione relativa al quorum siano state avanzate diverse proposte di modifica, più o meno condivisibili, in relazione al secondo comma dell’articolo 75 non sembrano esserci motivi urgenti di discussione e, in ogni caso, le proposte di modifica avanzate fin qui sono apparse sostenute più da intenti propagandistici che non da una seria volontà di rivedere l’istituto[19].
Ad avviso dello scrivente, quella dei limiti previsti dal secondo comma risulta essere una questione, invece, piuttosto rilevante e che andrebbe sottoposta ad un pubblico dibattito[20]. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di rivedere il secondo comma dell’art. 75 della Costituzione, favorendo la promozione di quesiti referendari in materia di “leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali”, eventualmente prevedendo un quorum più alto (potremmo dire “rafforzato”), come succede, ad esempio, in altri Paesi europei[21].
[1]https://www.repubblica.it/politica/2022/06/12/news/affluenza_referendum_2022_quorum_exit_poll-353603982/ ;
[2]https://www.truenumbers.it/elettori-italiani/;
[3]https://www.iltempo.it/opinioni-e-commenti/2022/06/14/news/referendum-storia-repubblica-costituzione-democrazia-cittadini-modifica-quorum-salvezza-32005303/
[4]https://www.iltempo.it/opinioni-e-commenti/2022/06/14/news/referendum-storia-repubblica-costituzione-democrazia-cittadini-modifica-quorum-salvezza-32005303/
[5]Per maggiori approfondimenti si può osservare come la questione del quorum del referendum abrogativo venga affrontata in maniera diversa nei vari Paesi, sia Ue che extra Ue. Come l’Italia, Bulgaria, Croazia e Malta, richiedono un quorum di partecipazione del 50% nei referendum abrogativi. In Lettonia, tranne nel caso di referendum costituzionali, il quorum richiesto è della metà dei votanti che hanno partecipato all’ultima tornata elettorale. In Polonia e Portogallo, se la partecipazione non raggiunge la metà dei votanti, il risultato del referendum è solo consultivo e non vincolante. L’Ungheria prevede un quorum di approvazione del 25 per cento. In Danimarca, una modifica della Costituzione deve essere approvata dal 40% dell’elettorato; nel caso del referendum abrogativo, il testo messo al voto è respinto solo se il 30% dell’elettorato lo respinge. In Germania solo in alcuni land i referendum sono validi se viene raggiunto un quorum di approvazione. Lo stesso accade in alcuni Stati americani: Wyoming e Minnesota hanno un quorum di approvazione; Massachusetts, Mississippi e Nebraska prevedono un quorum di partecipazione.
[6] Gruppo di Pisa, Dibattito aperto sul Diritto e la Giustizia Costituzionale, ISSN 2039-8026, p. 243 ss.;
[7] Carnevale P., A proposito del disegno di legge costituzionale AS n. 1089, in tema di revisione degli artt. 71 e 75 della Costituzione. Prime considerazioni, in Osservatorio AIC, 1-2/2019;
[8] Mangia A., Note sul programma di riforme costituzionali della XVIII legislatura, in Astrid Rassegna.
[9] Mangia A., Apologia del quorum, in la Costituzione.info, 21 giugno, 2019;
[10] Mobilio G., Gruppo di Pisa, Dibattito aperto sul Diritto e la Giustizia Costituzionale, ISSN 2039-8026, p. 243 ss.;
[11]Camera dei deputati-Senato della Repubblica, Servizi studi, Iniziativa legislativa popolare e referendum, p. 15. Proposta del capogruppo di LeU al Senato Loredana De Petris –https://www.triestecafe.it/it/news/segnalazioni-appelli/referendum-proposta-di-modifica-quorum-valido-se-vota-il-50-1-dei-votanti-alle-precedenti-politiche-13-giugno-2022.html;
[12] Belletti M., I rischi di sbilanciamento e di contrapposizione tra democrazia partecipativa e democrazia rappresentativa nel ddl AS n. 1089, p. 12;
[13] Peraltro, è opportuno sottolineare come gli stessi costituenti furono guidati dal timore che una legge potesse essere abrogata da una esigua minoranza di elettori. Per l’analisi dei vari passaggi dell’Assemblea costituente in merito alla decisione sulla previsione o meno di un quorum di partecipazione e sulla misura di quest’ultimo, cfr. G. BRUNELLI, Dinamica referendaria e comitato promotore, in Quad. cost., 2001, 67 ss.;
[14] Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione: “Il concetto della Commissione era che queste eccezioni dovevano valere per tutti i casi di referendum tanto abrogativo, quanto preventivo. Io credo che non vi sia nessuna ragione di togliere queste disposizioni, che sono dettate da una certa cautela […]. Proprio perché siamo favorevoli al referendum, abbiamo voluto circondarlo di cautele, perché possa dare buoni risultati”.
[15] Così Dominedò. “A nome dei colleghi di Gruppo dichiaro che, pur procedendosi a votazione per divisione, noi siamo di avviso di mantenere tutte le eccezioni contemplate dal testo in esame. Ammesso in via di principio l’istituto democratico del referendum, riteniamo infatti che in tutte le ipotesi in parola, e talvolta per motivo politico prima che giuridico, come nel caso della legge di approvazione del bilancio, il referendum si dimostri il mezzo meno idoneo per rispondere alle esigenze qui contemplate”, o Fuschini, per il quale“Demograficamente parlando, noi non siamo una piccola Nazione, ma una grande Nazione, per cui il referendum deve essere fatto con immense cautele, per non turbare l’andamento della vita politica del Paese e i suoi rapporti con gli altri Stati. Esso può essere utile per intervenire in alcuni problemi che possono essere facilmente compresi dal popolo.Se estendessimo le possibilità del referendum su materie troppo delicate e decisive per la vita dello Stato, rischieremmo di produrre gravi inconvenienti”.
[16] Ad esempio Meda “[…] Ora, una legge che stabilisse un’amnistia o l’indulto è evidente che non possa essere revocata quando è andata in vigore, in quanto dopo che i detenuti sono stati posti in libertà non si può verificare il caso che debbano essere nuovamente arrestati”.
[17] La Corte ha ritenuto, sin dalla sentenza n. 16 del 1978, che la interpretazione letterale delle cause di inammissibilità testualmente descritte nell’art. 75 della Costituzione deve essere integrata “da un’interpretazione logico-sistematica, per cui vanno 3 sottratte al referendum le disposizioni produttive di effetti collegati in modo così stretto all’ambito di operatività delle leggi espressamente indicate dall’art. 75, che la preclusione debba ritenersi sottintesa”. A tale principio dovrà farsi ricorso per valutare, nei singoli casi, se le leggi che assumono funzione di provvedimenti collegati alla legge finanziaria, al di là della loro qualificazione formale, di per sé non idonea a determinare effetti preclusivi in relazione alla sottoponibilità a referendum, presentino “effetti collegati in modo così stretto all’ambito di operatività” delle leggi di bilancio, da essere sottratte a referendum, diversamente dalle altre innumerevoli leggi di spesa. Questo stretto collegamento si può ritenere sussista se il legame genetico, strutturale e funzionale con le leggi di bilancio sia tale che le norme sostanziali collegate incidano direttamente sul quadro delle coerenze macroeconomiche e siano essenziali per realizzare l’indispensabile equilibrio finanziario. Si tratta di leggi che non si limitano a porre discipline ordinamentali prive di diretti effetti finanziari ma che, incidendo in modo rilevante nell’ambito di operatività delle leggi di bilancio, non sono suscettibili di valutazioni frazionate ed avulse dal quadro delle compatibilità generali, quali inevitabilmente risulterebbero da una determinazione referendaria che si esprime su di un solo elemento del quadro complessivo» (sent. n. 2/1994).
[18][18] Su tale punto, si segnalava la posizione di Piemonte: “Faccio rilevare che mi pare assurdo che non si dia al popolo il diritto di referendum per giudicare sopra i trattati internazionali, che legano il popolo stesso e la Nazione, qualche volta per lunghi anni. Faccio presente che se ci fosse stato l’istituto del referendum il patto della Triplice alleanza non sarebbe stato concluso e, probabilmente, nemmeno lo stesso patto di acciaio. Richiamo l’attenzione dei colleghi tutti sulla gravità di questa decisione” o anche l’opinione dell’onorevole Nobili Tito Oro, il quale ha sostenuto che “[…] per i trattati internazionali si possa ammettere il referendum”.
[19]Giovanni Tarli Barbieri, OSSERVAZIONI SUL D.D.L. A.S. N. 1089 («DISPOSIZIONI IN MATERIA DI INIZIATIVA LEGISLATIVA POPOLARE E DI REFERENDUM”);
[20] Secondo l’On. Clerici, le proposte tese ad aggravare il procedimento e limitarne l’oggetto costituivano soltanto un modo per disconoscere la volontà popolare, in cfr. Atti Ass. Cost., 16 ottobre 1947, 1182 ss.;
[21] In Lituania, alcune decisioni particolarmente importanti legate alla sovranità possono essere modificate solo da una maggioranza di tre quarti dell’elettorato (75%), mentre altre questioni legate allo Stato e alle revisioni costituzionali richiedono la maggioranza dell’elettorato. In Croazia, invece, è richiesto il sì della maggioranza dell’elettorato nel caso di fusione con altri Stati.
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