La Fionda è anche su Telegram.
Clicca qui per entrare e rimanere aggiornato.
Movimento 5 Stelle e dimissioni di Draghi: in Italia manca il coraggio
Il Movimento 5 Stelle ha deciso di non partecipare – in Senato – al voto di fiducia sul d-l Aiuti aprendo in questo modo una crisi politica che Mario Draghi ha deciso di trasformare in una crisi di governo presentando le sue dimissioni al Presidente della Repubblica che prontamente le ha rifiutate obbligando il Parlamento a sbrogliare la situazione a partire da mercoledì della prossima settimana quando Draghi si presenterà alle Camere per una valutazione parlamentare della situazione.
Sebbene il risultato della mossa della compagine pentastellata siano state le momentanee dimissioni del Presidente del Consiglio, il Movimento 5 Stelle avrebbe potuto calcare maggiormente la mano per porre fine definitivamente e senz’appello all’esperienza di Draghi a Palazzo Chigi. Questa poteva essere l’occasione di cercare di redimersi dal fatto di essere entrati e aver sostenuto a spron battuto il Governo Draghi – andando letteralmente contro tutto ciò che avevano promesso -, un Governo che ha dimostrato nel tempo tutta la sua poca inclinazione a rispettare il gioco democratico assomigliando sempre di più a una Monarchia, andando avanti a colpi di fiducia e azzerando il dibattito parlamentare, un Governo che ha letteralmente fatto a pezzi il Paese distruggendo il tessuto produttivo e mettendo le famiglie sul lastrico, non muovendo un dito su salari e inflazione, per non parlare dei rincari energetici e dei beni di prima necessità, ma anzi, iniziando già a progettare un improbabile “lockdown energetico” che – se realizzato in futuro – alimenterà la tensione sociale. E se questo non bastasse, ci sarebbe anche quel piccolo dettaglio che questo Governo ci ha portato all’interno di una guerra che la maggior parte dei cittadini non vuole e ciò lo ha fatto, malgrado l’opposizione a parole, con i voti favorevoli dei parlamentari di Conte.
Alla fine, però, il Movimento non ha rotto in maniera dura come molti si aspettavano, e molti attendevano, ma, anzi, prima ha cercato una mediazione chiedendo che non si ponesse la questione di fiducia, poi in sede di dichiarazione di voto, la Capogruppo al Senato Castellone ci ha tenuto a specificare che il non voto non sarebbe stato contro il Governo, ma unicamente contro il provvedimento in questione: “Noi oggi non partecipiamo al voto a questo provvedimento perché non ne condividiamo né parte del merito né il metodo. Questa nostra posizione si sottrae però alla logica della fiducia al Governo”. Parole particolarmente inedite nella scena politica italiana trattandosi appunto di un “voto di fiducia” e considerando il fatto che i 5 Stelle non hanno votato la fiducia a un Governo che vedeva dei loro Ministri all’interno. La “spaccatura” è stata giustificata, tra l’altro, con l’inserimento di una norma che favorirebbe la costruzione del termovalorizzatore a Roma, senz’altro una provocazione da parte del Governo che ben conosce la posizione dei 5 Stelle a riguardo, ma anche un pretesto poco comprensibile dalla maggior parte dei cittadini che si sarebbero aspettati posizioni più dure su temi più dirimenti per le loro vite in questo preciso momento.
La verità è che non si capisce bene quale sia la strategia di Conte e cosa abbia provato ad ottenere anche alla luce delle annunciate dimissioni di Draghi che è ancora da vedere se si concretizzeranno o meno; da una parte c’è senz’altro Casalino che ha valutato il “sentiment” della base e l’ha trovato decisamente contrario a questo Governo, ma probabilmente non serviva nemmeno così tanto tempo per capirlo. Da un’altra parte sembra esserci stata una volontà di rompere, ma non troppo. Un’altra ipotesi ancora è che si sia scelta questa strada per non andarsene, ma per farsi cacciare dal Governo così da poter incolpare gli altri di non volerli dentro e tentare un improbabile salvataggio della propria faccia, progetto che inevitabilmente naufragherà.
La verità però è una sola, ovvero che gli italiani sono particolarmente stanchi di questi “giochini” di palazzo e che vorrebbero tornare a vedere un po’ di politica, e per politica si intende anche conflitto, per quanto istituzionale possa essere. D’altronde senza conflitto non esiste proprio politica. Eppure il conflitto non c’è in questa fase, si assiste su quasi tutti i fronti al racconto di un Draghi salvatore della patria con una coorte che la narrazione dei principali media vorrebbe indissolubile, pena la messa alla gogna di chi osi provare a rompere il giocattolo. Ma le forze politiche possono veramente restare ostaggio di ciò? La risposta in un paese normale sarebbe no, perché altrimenti perderebbero la loro stessa ragione di essere. Purtroppo, però, questo pare non essere un paese normale, e anche fare un’azione di rottura sacrosanta scatena remore e pentimenti che alla fine portano a fare solo mezzi passetti e a non delineare vere e proprie strategie, che ora, in un momento così difficile, servirebbero come il pane.
Se Conte avesse voluto, avrebbe concretizzato uno strappo ben più netto, senza lasciare aperte porte che probabilmente gli verranno chiuse in faccia lasciandolo a metà strada tra l’essere il pasionario di una blanda opposizione e il responsabile uomo delle istituzioni deluso dal trattamento subìto dalle ben più astute volpi che si annidano nei palazzi. Per darsi un minimo di credibilità in più avrebbe potuto decidere di votare contro alla questione di fiducia, di avversare l’esperienza di Governo e di sedersi legittimamente al banco dell’opposizione, aprendo in questo modo sì, una seria crisi di governo che avrebbe messo in difficoltà Mattarella nel rifiutare le dimissioni di Draghi.
In questo modo, invece, senza un vero scontro parlamentare, le suddette dimissioni sanno un po’ di beffa, o addirittura sembrano un po’ farlocche, infatti il Governo ha incassato la fiducia del Parlamento e sarebbe potuto benissimo andare avanti da un punto di vista istituzionale (anzi è un unicum che un Governo che ottiene la fiducia del Parlamento veda il suo Presidente del Consiglio andare a dimettersi) sia nel caso che lo scontro si fosse acuito e avesse portato i 5 Stelle ad uscire dalla maggioranza, prevedendo quindi un rimpasto di ministri, sia che gli stessi pentastellati fossero poi rientrati nelle righe una volta passata la tempesta del d-l Aiuti. Invece, questo “ci sto/non ci sto” di Conte ha dato il pretesto a Mattarella di non prendere per finita l’esperienza di Governo e a Draghi di sfoderare tutta la sua permalosità, dimostrando ancora una volta il fastidio nei confronti della dialettica democratica e di chi mette in discussione le sue decisioni, cogliendo così l’occasione di mettere definitivamente in scacco l’ormai ex avvocato del popolo.
Non facile capire esattamente cosa succederà mercoledì 20, senz’altro alcune forze spingono per le elezioni (Fratelli d’Italia e parte della Lega) e altre per andare avanti (in particolar modo il PD), con i 5 Stelle che, appunto, non hanno attualmente idea di come posizionarsi.
Continua a vivere l’ipotesi di un Governo Draghi, bisognerebbe vedere poi composto come: difficile (ma non completamente impossibile) che vi ritorni il Movimento 5 Stelle, che in una situazione di questo tipo, sempre per non osare troppo, potrebbe praticare la strada dell’appoggio esterno, rimanendo così “forza responsabile”, ma allo stesso tempo più libera di contestare alcuni provvedimenti non particolarmente graditi senza dover scatenare una crisi di governo a settimana.
Se Draghi dovesse confermare le sue dimissioni scegliendo di liberarsi del fardello di governare un paese durante un autunno che si preannuncia caldissimo e, dopo aver seminato vento, dovesse decidere di lasciar raccogliere la tempesta a qualcun altro, a quel punto Mattarella sarebbe obbligato a prenderne atto, e si aprirebbero due strade: un nuovo governo con un’altra figura terza per arrivare a fine legislatura occupandosi della legge elettorale e dell’ultima finanziaria (lacrime e sangue? Lacrime e sangue.) del quinquennio; oppure le fatidiche elezioni anticipate, che però andrebbero a configurarsi nell’inedito periodo settembrino molto, forse troppo, a ridosso della finanziaria che si deve chiudere per il 31 dicembre.
Qualsiasi sarà la conclusione della vicenda, la giornata del 14 luglio, malgrado le dimissioni di Draghi, sarà ricordata come un’altra brutta pagina di una politica senza un minimo di coraggio, ostaggio della tecnocrazia, di se stessa e, probabilmente, anche della poltrona.
La Fionda è una rivista di battaglia politico-culturale che non ha alle spalle finanziatori di alcun tipo. I pensieri espressi nelle pagine del cartaceo, sul blog online e sui nostri social sono il frutto di un dibattito interno aperto, libero e autonomo. Aprendo il sito de La Fionda non sarai mai tempestato di pubblicità e pop up invasivi, a tutto beneficio dei nostri lettori. Se apprezzi il nostro lavoro e vuoi aiutarci a crescere e migliorare, sia a livello di contenuti che di iniziative, hai la possibilità di cliccare qui di seguito e offrirci un contributo. Un grazie enorme da tutta la redazione!