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Inflazione, Sostenibilità e Scelte di Policy
Inflazione
Le autorità di policy dei maggiori paesi e gli analisti economici più autorevoli ritengono oggi che l’inflazione in crescita pressoché ovunque nel mondo trovi origine tanto nelle dinamiche della domanda e dell’offerta dell’economia globale, dove si ritiene che troppo danaro insegua troppo pochi beni, quanto in quelle del mercato del lavoro, dove si pensa che i salari dei lavoratori stiano aumentando a un ritmo eccessivo.
Esiste, tuttavia, un’interpretazione alternativa del fenomeno inflattivo – sottaciuta dalle fonti mainstream – secondo cui sono le grandi imprese, quelle con forte potere di mercato, che stanno approfittando della situazione (pandemia, interruzioni nelle catene internazionali di approvvigionamento, guerra in Ucraina, elevata domanda) per alzare incontrollatamente i prezzi dei propri prodotti e macinare profitti più alti di quelli già cospicui conseguiti negli ultimi anni.
Josh Bivens, dell’Economic Policy Institute, sostiene che il potere di queste imprese si manifesta oggi nell’aumentare i prezzi piuttosto che nel comprimere i salari, come esse hanno fatto in passato. Prova ne è che, se così non fosse, si osserverebbe una diminuzione della quota dei profitti sul prodotto nazionale, a vantaggio di quella dei redditi da lavoro dipendente; il che palesemente non sta accadendo, come nota lo stesso Bivens e come conferma un’approfondita analisi di Servaas Storm per l’INET. La quale evidenzia che l’attuale inflazione non consiste in un aumento generalizzato di tutti i prezzi, ma riflette aumenti selettivi nei comparti più colpiti dalle interruzioni delle forniture di input produttivi dalle strozzature nel settore dei trasporti. Per contro, essendo oggi inattivo il meccanismo di propagazione inflazionistica sostenuto dai sindacati dei lavoratori, che alimentò il conflitto distributivo negli anni ’70, non è dal fronte del salario che scaturisce l’attuale inflazione.
Se, dunque, il problema origina dal lato dell’offerta, la gestione della domanda non ne è la cura. Anzi, dopo un lungo periodo di tassi d’interesse straordinariamente bassi che hanno portato ad aumenti record dei debiti pubblici e privati in molti paesi, nonché all’impennata dei prezzi delle attività immobiliari e finanziarie, il ricorso all’aumento dei tassi e il contestuale ritorno all’austerità fiscale rischiano di provocare solo crisi e recessioni, con ulteriore aggravio delle condizioni delle famiglie a basso reddito e delle piccole imprese.
Tuttavia, è proprio sulle politiche macroeconomiche che si sta incardinando l’azione antinflazionistica: con un tasso d’inflazione eccedente i propri target, le banche centrali stanno riducendo le misure d’intervento non convenzionale e aumentano contestualmente i tassi ufficiali, mentre prende corpo l’orientamento all’inasprimento delle politiche fiscali. Tutto ciò per frenare la domanda.
Sostenibilità
È quindi al lato dell’offerta che si deve guardare. Ciò è ancora più vero se, in un orizzonte temporale più lungo, si considerano le conseguenze inflazionistiche del riscaldamento globale (“greenflation”) – derivanti dalle tendenze di lungo periodo dell’aumento dei costi di trasporto e dei prezzi delle materie prime, di una possibile de-globalizzazione e relativa frammentazione delle catene internazionali di approvvigionamento.
Queste tendenze pongono importanti sfide ai policymaker, i quali devono risolvere il compromesso tra l’esigenza di abbattere l’inflazione (che richiede di elevare i tassi d’interesse) e quella di sostenere gli investimenti per la transizione ecologica a economie carbon-neutral (che richiede invece tassi bassi).
Si tratta, invero, di un falso compromesso, o, per dirla meglio, occorre rivedere i termini di questo compromesso, giacché ai fini dell’interesse pubblico prevalente l’obiettivo della transizione ecologica oggi giustifica l’accettazione di un target d’inflazione più elevato, rispetto all’alternativa di abbattere l’inflazione al costo di rallentare la transizione.
Per la verità, quest’ultima alternativa non dovrebbe nemmeno essere ricevibile: un altro decennio di riscaldamento globale porterebbe i sistemi climatici del pianeta a un punto di non ritorno. A quel punto, la stabilità finanziaria ed economica, e non soltanto quella, sarebbero definitivamente compromesse.
Scelte di policy
A fronte di tale rischio la politica macroeconomica dovrà essere asservita al sostegno della transizione ecologica e il controllo dell’inflazione dovrà essere subordinato a quest’obiettivo prioritario. La politica fiscale verde e le politiche industriali verdi dovranno costituire gli assi portanti della transizione, ma entrambe dovranno essere sostenute da una gestione dei tassi sufficientemente accomodante.
Una politica monetaria di sostegno alla transizione ecologica dovrà includere un rafforzamento delle norme in materia di rischio e responsabilità per banche e imprese, tale da eliminare i finanziamenti per le attività in combustibili fossili, agevolare quelli alle attività verdi, e impedire la speculazione sulle materie prime.
Infine, strumenti fiscali dovranno essere adottati per tassare le rendite e gli extra profitti, in tal modo recuperando risorse da redistribuire ai settori più deboli, e dovrà essere esercitato un controllo sui prezzi dei beni che rientrano nei panieri di consumo dei soggetti meno abbienti.
Gli attuali schemi di policy non soltanto sono inadeguati; essi possono persino risultare contrari alle necessità dei nostri tempi. È d’uopo ripensare obiettivi e strumenti di policy alla luce delle priorità strategiche di oggi.
Le opinioni espresse in questo articolo sono personali dell’autore e non implicano le istituzioni con cui egli è affiliato.
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