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Per un terzo polo popolare e di cambiamento
Ospitiamo questo appello promosso da autorevoli amici della Fionda e sottoscritto dal nostro direttore responsabile, Alessandro Somma.
È indispensabile creare un terzo polo dedito alla questione sociale, a costruire un’economia senza sfruttamento, alla lotta contro la crescente disuguaglianza. A questo polo deve contribuire soprattutto la convergenza fra M5S e formazioni discendenti dalla storia del movimento dei lavoratori.
Visto il crescente deterioramento sociale, l’attuale bipolarismo va definito come falso. Utilizza la crisi Covid, la guerra, la Ue per compattare intorno a sé l’elettorato, ma con risultati decrescenti: negli ultimi 30 anni nessun vincitore è mai stato confermato, il M5S ha stravinto proprio contro i due poli, si allarga l’astensione. Perciò è grandissimo il potenziale di un terzo polo. Anche perché è l’unico a poter togliere elettorato al non voto o alle destre.
Pur con ovvie differenze, il bipolarismo attuale ha in comune la conservazione degli attuali assetti sociali, le cui ingiustizie sono aggravate da guerra e inflazione. Se la differenza principale resterà quella fra chi promette nuovi diritti civili ius scholae (in sé riforme giuste) e chi promette blocco dell’immigrazione e legge e ordine (per quanto propagandistico, velleitario e a volte inumano), cresce il rischio che abbia più attrattiva il secondo.
Accade in tutta Europa e oltre: il voto di protesta e il richiamo “alla protezione” si affermano quando le classi medie in arretramento e le classi del lavoro precario e dipendente sono lasciate senza prospettive di crescita sociale, e senza azione collettiva. Oppure, se appaiono inevitabili i bassi salari, i tagli al welfare e l’auto-sfruttamento di tanti gestori di micro-aziende e studi professionali, possono risultare attraenti i tagli delle tasse. Soluzioni illusorie (il Covid prova definitivamente che non c’è alternativa al welfare forte finanziato dallo Stato) ma preferibili davanti alle certezze dell’arretramento neoliberale. Anche le illusioni o la mera protesta appaiono una possibilità per chi non ha altre possibilità.
In tutto questo è davvero insidioso il richiamo al voto utile centrista per un’ennesima “diga antifascista”. Questo porta alla consunzione dell’antifascismo se diviene richiamo ripetuto e strumentale per sostenere politiche centriste avversate nelle zone, sociali e geografiche, in difficoltà o marginalizzate. In realtà, l’avanzata del centro-destra fa parte non di un’avanzata fascista, ma di un generale degrado della politica, dovuto a molte cause connesse all’impatto ideologico neoliberale: nell’economia, nelle istituzioni, nei media, nell’istruzione.
La bassissima violenza politica rispetto ai tempi passati, e il fatto che nella società italiana non esistono fenomeni di intolleranza e xenofobia maggiori che nel nord Europa (anzi minori) dicono che non assistiamo ad un’avanzata fascista. Abbiamo da un lato il solito voto a destra di gran parte dei ceti borghesi conservatori, dall’altro periferie geografiche e sociali che non pensano al fascismo, ma a seconda dei casi esprimono protesta con l’astensione, oppure con chi di volta in volta appare più credibile di altri. Ad esempio: Meloni non era nel governo Draghi, mentre precedentemente i prescelti sono stati M5s e per un istante la Lega.
Un terzo polo incentrato sulla questione sociale e la critica a disuguaglianza e sfruttamento, che riattivi una connessione con il popolo non garantito, è insomma prioritario. Anche perché lo spazio da sfruttare per il M5S attuale e i suoi deputati è con tutta evidenza un’agenda sociale pro disagiati e pro classi medie in ansia.
Anche una politica ambientale coerente e permanente può affermarsi solo se impegna forti risorse espansive pubbliche (trasporto pubblico capillare e gratuito, riconversione energetica completa, adattamento climatico totale delle abitazioni). E solo se legata alla questione sociale: perché ogni disagio, anche ambientale, è maggiore nelle classi già disagiate; e perché la grande trasformazione verde diviene egemonica solo se con essa si realizza un futuro di lavoro qualificato, ben pagato, innovativo, senza sfruttamento, per lavoratori e piccole aziende.
L’Europa non può identificarsi con la Nato o con l’interesse degli Usa. La guerra ne è l’esempio maggiore. Va condannata l’invasione russa, ma l’invio di armi all’Ucraina e la fine della neutralità nordica impediscono che Stati europei possano credibilmente operare per la pace, avvicinandone l’avvento e agendo così da protagonisti della costruzione d’un diverso equilibrio mondiale: multipolare, stabilito assieme ai diversi poli geostrategici del mondo, senza egemoni unici e senza ideologie neoliberali trionfanti.
Anche l’evoluzione storica elettorale spinge verso un terzo polo: pur profilandosi una vittoria della destra, non c’è mai stato alcun predominio: dal 1994 nessun vincitore elettorale è stato mai confermato. Non c’è un’evoluzione elettorale stabile, dunque il terzo polo non solo potrà vincere un giorno, ma può, come mostra la composizione sociale del voto a Mélenchon, ricostruire le premesse socio-elettorali di un’alleanza per la riforma profonda dell’economia. Di questo non manca la domanda, manca l’offerta, da costruire. A questo scopo è fondamentale sottolineare ai ceti popolari che la destra cancellerebbe subito il Reddito di Cittadinanza, e che anche il Centro neoliberale lo affosserebbe.
Partecipando a tutto questo, le culture socialiste e comuniste meno sclerotizzate della sinistra cosiddetta “radicale” potranno ricostruire in modo nuovo il proprio rapporto col popolo. Rompendo con l’attuale centrismo liberista-progressista, lottando per una coalizione popolare capace di cambiare i rapporti fra capitale e lavoro, fra “alto e basso”, fra “i molti e i pochi”, fra disagiati (anche i molti piccoli gestori di piccole aziende) e garantiti. Ciò è vitale per civilizzare di nuovo la nostra democrazia, cosa che il “voto utile” centrista non garantisce in nessun paese. Esso anzi produce l’interazione nociva fra mera protesta, tecnocrazia ed elitismo. Solo l’alleanza fra disagio popolare e riforma profonda dell’economia può cambiare tutto questo.
Adesione su Change.org oppure via mail: ADESIONIAPPELLOM5S@GMAIL.COM
Prime adesioni:
Lanfranco Turci – presidente Network per il Socialismo
Paolo Borioni – Università La Sapienza, Roma
Lucio Baccaro, Max Planck Institute for the Study of Societies, Colonia
Maria Luisa Bianco, università Piemonte Orientale
Sergio Cesaratto, università di Siena
Giovanni Dosi, scuola superiore Sant’Anna
Maria G. Meriggi, università di Bergamo
Alessandro Somma, Università La Sapienza, Roma
Guido Liguori, Università della Calabria
Gianpasquale Santomassimo, università di Siena
Marco Lang, Network per il Socialismo
Riccardo Achilli – Economista, IRES Basilicata
Massimiliano Amato – condirettore di Critica Sociale
Enrico Antonioni, Network per il Socialismo
Francesco Balsamo, Network per il Socialismo
Alberto Benzoni – ex Vice sindaco di Roma
Mauro Beschi, Network per il Socialismo
Rosaria Rita Canale, UniParthenope
Paolo Desogus, università Sorbona
Andrea De Pietri, Network per il Socialismo
Lucia Delgrosso, Network per il Socialismo
Giovanni Di Corato, esperto real estate
Pina Fasciani, già Parlamentare
Mario Francese, Network per il Socialismo
Mattia Gambilonghi Dottorando UniGe/ULB
Palma Manuela Grano, Avvocata
Francesca Lacaita – Insegnante
Gerardo Lisco – funzionario trasporto pubblico locale
Pierluigi Marinucci, ricercatore
Alfio Mastropaolo, università di Torino
Paolo Ortelli – Redattore editoriale
Guido Ortona, Università di Torino
Gabriele Pastrello, università di Trieste
Paolo Pini, Università di Ferrara
Giandomenico Potestio, Network per il Socialismo
Giovanni Principe, economista ISAE/MEF
Fabio Quadrana, Network per il Socialismo
Roberto Romano, economista, CGIL Lombardia
Simone Scarpa, Sociologo Università di Umeå
Francesco Sylos Labini – Direttore di ricerca, Centro ricerche Enrico Fermi
Giuseppe Sorgini, Network per il Socialismo
Mario Tiberi, università La Sapienza
Marco Trotta, Vice Presidente e Segretario Svimar
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