Chi è stato giovane negli anni ‘70/80 del c.d. “secolo breve”, ha avuto un sicuro imprinting: quello di una certa idea della politica come strumento di rimedio alle diseguaglianze generate dal sistema economico e sociale e, nei più consapevoli (o velleitari, se si preferisce), come viatico per la costruzione di un nuovo Shangri-La, di una nuova società dove fossero superate le più comuni debolezze umane (in primis, la prevaricazione del denaro).
Le cose sono andate in un altro modo, noto ed ancora attuale, per cui non pare necessario soffermarsi su ciò.
Se non per domandarsi se e quando scoppieranno le innegabili contraddizioni che vediamo addensarsi ogni giorno sulla società umana e, in particolare, su strati sempre più ampi di essa, quelli dei poveri, degli emarginati, dei precari, dei c.d. working poors; viene da chiedersi, quindi, se verranno poste nuovamente, sul tappeto della politica, quelle domande che tanto ci avevano agitato nella seconda metà del secolo scorso.
Contraddizioni e domande che, rispetto a quel tempo, sembrano oggi aggravate da nuove emergenze: l’ambiente, in primis, la guerra, la fine di un modello lavorativo di tipo “fordista” o, meglio, di un’idea di lavoro, come centro dell’esistenza, messa in crisi dagli inauditi progressi della tecnica e dell’intelligenza artificiale.
Ed è anche evidente che, col declino del lavoro, inteso come luogo di incontro, come fattore esperienziale, si delinea anche un nuovo di tipo di soggettività che cerca in altri luoghi, in altri modi, l’occasione di confrontarsi, la possibilità di sfuggire alla solitudine. Solitudine solo apparentemente mitigata dalla possibilità di connessione continua di tipo informatico.
Allora, in questi tempi italiani, connotati da una campagna elettorale che sembra volere sfuggire ad ogni domanda di senso, ad ogni progettualità, ad ogni confronto che non sia la demonizzazione dell’avversario, sorge spontanea una domanda: come mai queste domande cruciali non emergono in interlocuzioni non eludibili da parte del ceto politico? Come mai esse rimangono prive di soggettività politica?
I partiti, privi di ogni specifica connotazione ideologica o valoriale che non sia vincere la competizione e prendere il potere, si spostano al “centro” ritenendo che lì si ammassi il grosso degli elettori, che lì si annidi il cuore degli interessi rilevanti, siano quelli grandi di banchieri, industriali e affini, e sia quelli, più modesti, di impiegati, professionisti, operai, insegnanti, con qualche piccolo risparmio da difendere oltre alla famosa “prima casa” eletta a valore fondativo di tutta la società.
La domanda allora è: ma al di fuori di tali soggetti, c’è ancora qualcuno o rientrano tutti in quella galassia ?
Questo darebbe conto del fatto che, a dispetto del posizionamento ipercentrista del PD, a sinistra non un filo di erba nuova sembra nascere in quella prateria lasciata scoperta.
D’altra parte, però, le percentuali sempre maggiori di astensionismo elettorale, sembrerebbero evidenziare una sostanziale indifferenza o passività forse anche di larghi strati rientranti in quel generone centrista di prima si è detto.
Forse, però, tutte queste riflessioni scontano un errore di prospettiva basato sul fatto che si rifanno ad un concetto di cittadino, ad un profilo di soggettività, non solo politica, basato sempre su quegli idealtipi del ‘900.
Forse qui è intervenuto un mutamento profondo su come l’individuo moderno, anche in Italia, percepisce se stesso e su come si relaziona con gli altri. Sono probabilmente cambiate anche le pulsioni più intime insieme allo sguardo sulla vita (ed anche sulla sua fine). Si pensi al fenomeno della denatalità, apparentemente inarrestabile e che, deve supporsi, abbia origine non solo nelle difficoltà economiche dei giovani, nella scadente offerta di supporti sociali (asili nido, in primis), nella precarietà lavorativa delle donne. Cose tutte vere, indubbiamente, ma che probabilmente occultano qualcosa di diverso, qualcosa che attiene all’affievolimento se non alla soppressione dell’istinto riproduttivo. Qualcosa di molto meno rassicurante di difficoltà superabili con un più adeguato welfare.
Altre domande sembrano urgere, altre ragioni si presentano come impellenti, difficilmente compatibili con l’impegno e la responsabilità connessi alla creazione ed alla cura di nuove vite.
Se questa mutazione antropologica esiste, se è finito un modo di pensare un ciclo esistenziale basato su tradizioni perpetrate quasi automaticamente come succede in ogni usanza e costume (lavoro, matrimonio, figli, pensione), è evidente allora che qui non si è in presenza di una difficoltà (quella della politica, intesa in senso “alto”), ma di un qualcosa di profondamente diverso, di “rivoluzionario” rispetto al quale manca ancora ogni teoria, ogni straccio di analisi che non sia quella di accorsati editorialisti alla Galimberti.
A tale ultimo proposito (e cioè a Galimberti e al suo mentore, il filosofo Severino), costoro sono i moderni nichilisti sostenitori del fatto che la tecnica avrebbe ormai colonizzato il mondo imponendo le sue regole non ammettendo altra scelta che non sia il perfezionarsi della tecnica stessa. E l’Unione Europea sarebbe (e in effetti, è) un dispositivo tecnico che con le sue regole non ammetterebbe alcuna forma di reale dialettica politica intesa come scelta di orizzonti di senso diverso: esempio di ciò, i suoi valori fondanti come la concorrenza/competizione, il patto di stabilità, il non volere imporre alle multinazionali farmaceutiche dei limiti alle privative brevettuali sui vaccini durante il Covid, ecc.
Nulla di ciò però è inevitabile come dimostra anche la vicenda della sospensione (temporanea) del patto di stabilità.
Tutto si potrebbe cambiare. Ma nessuno lo farà.
E, tornando alle prossime elezioni politiche italiane, la (più che probabile) vittoria delle destre non cambierà di molto il sistema. La BCE, aumentando il costo del denaro dell’0,50% ha recentemente anche affermato che il sostegno alle emissione di titoli di stato nazionali (e, particolare a quelli italiani) avverrà alle specifiche condizioni di rispetto dei parametri europei su debito pubblico, deficit e PNR. Solo in presenza di ciò sarà possibile proteggere il debito sovrano italiano dallo spread e dalla speculazione.
Giorgia Meloni e soci sono avvisati. Che filino dritti e buoni se non vogliono fare la fine riservata, nel 2011, all’immarcescibile Berlusconi.
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