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In morte di Michail Gorbačëv


12 Set , 2022|
| 2022 | Visioni

Non un riformatore socialdemocratico né un idealista: cosa fu e cosa lascia l’ultimo leader globale dell’Unione Sovietica

Dopo le macerie. Il 30 agosto è morto Mikhail Gorbaciov, ultimo segretario generale del PCUS. Sui sei anni in cui guidò l’URSS la Storia ha già sentenziato: non fu vera gloria. L’ambizioso progetto di riforme avviato sotto la sua segreteria si concluse con la dissoluzione del blocco orientale, il collasso del socialismo reale europeo, la disgregazione dell’Unione. Ma quella sconfitta epocale ci appartiene, da comunisti e da europei: gli interrogativi a cui Gorbaciov provò a rispondere sono in larga parte gli stessi che bloccano oggi in Occidente lo sviluppo di una nuova “teoria materialista della rivoluzione popolare“, per citare Melenchon, una delle poche eccezioni a questa frenata storica.

Un leader globale. Mikhail Gorbaciov fu l’ultimo leader globale dell’Unione Sovietica, capace di pensare il suo paese come elemento centrale di trasformazione degli equilibri planetari che aveva ereditato. La sua sconfitta fu, al pari delle sue ambizioni di riforma, globale: viviamo oggi in un mondo meno giusto, meno libero, in cui sembra più semplice “immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo“. Lo spazio politico sovietico plurinazionale, ereditato dall’impero zarista e rivoluzionato in epoca sovietica, cessa di esistere lasciandoci in eredità una manciata di staterelli ultranazionalisti e una dolorosa scia di violenze etniche; Le riforme economiche, anziché favorire lo sviluppo del settore privato a fianco dell’industria statale, portano al disfacimento dell’economia sovietica e all’accumulazione parassitaria dall’epoca degli oligarchi; la “casa comune europea“ diventa gradualmente un’avanzata NATO verso est, alle porte della nuova Russia retrocessa potenza regionale. Del futuro immaginato da Gorbaciov per il suo Paese e per l’Europa non rimane nulla, se non un cumulo di domande che da tre decenni ignoriamo.

Stato e dissoluzione. La tradizione marxista precedente a Lenin aveva prodotto pochissimo come “teoria dello Stato“. Si può anzi affermare che prima di “Stato e rivoluzione“ e soprattutto dell’esperienza concreta della Rivoluzione d’Ottobre non esistesse una teoria marxista organica dello Stato. Quando dopo mezzo secolo il sistema a economia pianificata e partito unico aveva chiaramente esaurito la sua spinta propulsiva, l’elaborazione di una nuova forma di socialismo si presentava come sfida concreta e teorica per una nuova generazione i comunisti di qua e di là del muro: citando Deng Xiaoping, “non sappiamo più cosa sia il socialismo, o come ottenerlo, eppure resta il nostro obiettivo”. La Cina di Deng aveva aperto al mercato e viveva anni di impetuosa e contraddittoria crescita, senza rinunciare al ruolo guida del Partito (come dimostrato duramente di fronte alle proteste di piazza Tienanmen); i comunisti europei tentavano di legittimarsi come “altro“ rispetto al socialismo reale, senza troncare le proprie radici. L’Unione Sovietica di Breznev sembrava in quegli anni non più una forza propulsiva nel rinnovamento del comunismo mondiale, ma un elemento sostanzialmente conservativo e conservatore: le truppe del patto di Varsavia avevano messo fine all’esperimento della primavera di Praga, pur saldamente guidato dal partito comunista locale e non estraneo alle basi istituzionali degli Stati socialisti; sfruttando la congiuntura favorevole dovuta alla crisi petrolifera del ‘73 la leadership sovietica aveva rimandato colpevolmente rinnovamento dell’industria pesante; la stessa leadership si era impantanata in una guerra costosa, logorante e  impopolare in Afghanistan. L’URSS che Gorbaciov eredita da Breznev, dopo i brevi interregni di Andropov e Cernenko, è un paese che ha fatalmente mancato l’incontro con la rivoluzione economica globale degli anni ‘70 e ‘80.

Un rivoluzionario di sistema. A quella che appare come una crisi sistemica, Gorbaciov dà una risposta ambiziosa da uomo formato nel sistema (è il primo segretario generale del PCUS nato dopo le Rivoluzione d’Ottobre) e organico al sistema. Perché al di là della vulgata che lo vorrebbe come socialdemocratico casualmente alla guida del primo partito leninista della storia, questo e Gorbaciov: un raffinato ed ottimista silovik, che crede fortemente nella capacità di adattamento del sistema. Cita Lenin più dei predecessori e più approfonditamente, come riferimento nella trasformazione rivoluzionaria e democratica del paese. Nel testo “Perestrojka”, rivolto al pubblico estero, scrive: “Nel mio rapporto del 22 aprile 1983 […] mi richiamai appunto alle sue [di Lenin, ndr] affermazioni sulla necessità di tener conto delle esigenze delle leggi economiche obiettive, sulla pianificazione e analisi dei costi, sull’uso intelligente del rapporto beni-moneta e sugli incentivi materiali e morali”. Le riforme però erodono la base del sistema sovietico e leninista: uno shock che il socialismo sovietico non regge per fattori strutturali e congiunturali. Il fallimento di Gorbaciov fu il fallimento del sistema sovietico, dell’economia pianificata come paradigma del socialismo, mai organicamente sostituito.

A trent’anni di distanza, alla morte del suo ultimo leader, la storia dell’URSS ci interroga ancora: cos’è oggi il socialismo?

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