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Le elezioni e la solitudine


19 Set , 2022|
| 2022 | Visioni

Secondo i responsi della sondocrazia, regime in cui da molti decenni gli italiani sono immersi, le prossime elezioni vedranno la vittoria dei partiti di destra, divisi su molte cose ma uniti su quella fondamentale: prendere il potere. A fronte di ciò, molti autorevoli commentatori, anche vicini se non interni al PD, si sono chiesti perché mai questo partito abbia rinunciato a un’alleanza elettorale con il Movimento 5 Stelle candidandosi così a una sconfitta quasi certa.

Si ha l’impressione che il PD, ripudiando ogni alleanza col partito di Conte, preferisca viaggiare da solo pagando qualche cambiale alle oligarchie europee, di cui è indubbiamente parte integrante, nella speranza che la ritenuta inadeguatezza delle destre induca, dopo poco tempo, tali oligarchie a ripetere l’esperimento già riuscito nel 2011 con l’ausilio dell’allora Presidente della Repubblica. È sperabile che tale impressione non sia fondata perché lo scenario ipotizzabile (spread a 500 punti, blocco del PNRR, ecc.) sarebbe devastante per il Paese.

Al di là però di quanto precede, pare più interessante cercare di cogliere, nella vicenda elettorale, elementi ulteriori di riflessione che la trascendano. Ci si riferisce al rapporto che i cittadini di questa modernità e, segnatamente, quelli italiani, intrattengono sia con la politica che con ogni altra istanza di carattere più generale. Si discute qui, ovviamente, non di coloro che di politica vivono (e in Italia il ceto è alquanto numeroso) o che da essa fanno dipendere le loro fortune (ceti imprenditoriali legati a forniture, appalti e servizi pubblici ecc.), ma, più specificamente, al cittadino in genere. Qual è lo sguardo che questi rivolge alla politica intesa come momento di riflessione e di agire collettivo? Domanda che si traduce, più precisamente, nel chiedersi quale rapporto, in questa modernità, si instaura tra democrazia rappresentativa ed elettore.

Per rispondere a questa domanda sembra necessario chiedersi cosa sia, oggi, la democrazia rappresentativa nei paesi dell’Occidente avanzato, nonché se le derive da più parti stigmatizzate (lontananza del corpo elettorale e conseguente astensionismo, derive leaderistiche, spettacolarizzazione) siano momenti di una crisi passeggera, anche se prolungata, legata a fenomeni di crisi economica, di incertezza sul futuro di ciascuno o non, piuttosto, un dato connaturato alla democrazia rappresentativa, perlomeno nel modo in cui questa viene oggi teorizzata e praticata.

Se nei decenni immediatamente successivi alla fine del secondo conflitto mondiale, e anche a seguito dei suoi orrori, la democrazia si articolava dentro un insieme forte di corpi intermedi (partiti, sindacati ecc.) che indirizzavano le pulsioni e i bisogni dei cittadini dentro binari sicuri, verso approdi di solidarietà e uguaglianza (almeno questo era l’obiettivo dichiarato), oggi il deserto della partecipazione riconsegna la democrazia al singolo cittadino senza ulteriori determinazioni.

Come è evidente, tale desertificazione è il prodotto di precise trasformazioni economiche e culturali indotte, in primis, dal modello ideologico di vita che è venuto affermandosi. Con tutte le semplificazioni e approssimazioni del caso, oggi il mainstream ci propone il modello dell’uomo artefice del suo futuro che fa della competizione, in tutti i campi, il suo mantra. In sintesi: il modello di individuo indotto dalla vittoria dell’ideologia neoliberista, con il corollario dell’abbattimento di ogni idea di intervento dello Stato (e dei poteri pubblici in generale) al fine di correggere le più marcate contraddizioni indotte dalle logiche mercatiste, e con ogni abiura possibile della tensione solidaristica delineata nell’art. 41 della Costituzione. Modello ideologico, appunto, nel senso marxiano del termine, a dispetto della crescente precarietà, delle difficoltà di sopravvivenza e di speranza di futuro per masse sempre più vaste di giovani e di donne in particolare.

In verità, sembra che i germi di tale trasformazione possano essere rinvenuti nello stesso progetto illuministico sin dalla sua nascita. Il suo dispositivo appare oggi compiutamente avverato con l’avvento del soggetto libero da ogni eterodeterminazione, di un soggetto che percorre (o crede di percorrere) il suo tragitto di vita teso alla soddisfazione esclusiva dei propri bisogni e desideri. E ciò, ovviamente, senza perdere di vista il senso della storia, della forza liberatrice dell’Illuminismo verso i rapporti ancora feudali preesistenti, delle enormi energie vitali messe in movimento, insieme alla fiducia nella Dea Ragione al di fuori e contro ogni oscurantismo.

Oggi sembra giunto a compimento, come trama di larga parte dei rapporti umani, il processo – acceleratosi tumultuosamente negli ultimi decenni – di demolizione di ogni relazione sociale non mediata dal mercato. Tale processo consegna l’individuo, sotto il profilo politico, a se stesso e alle sue pulsioni. Venuto meno il legame sociale connesso alle grandi narrazioni novecentesche, la democrazia rappresentativa odierna si avvicina sempre più a quella referendaria, scevra da ogni forma di complessità, poco incline a misurarsi con le contraddizioni dell’esistente. Una democrazia declinata in modo solitario e soggetta agli allettamenti leaderistici, al desiderio di essere guidati da soggetti “competenti”, versione moderna dell’uomo forte al comando.

Ma come tutti sappiamo la democrazia, per essere veramente tale, costringe a un esercizio faticoso e collettivo e presuppone uno sguardo alto, che sappia andare al di là anche delle pur legittime aspettative e rivendicazioni del momento; uno sguardo di cui in Italia si sente profondamente la mancanza, non solo nella politica politicante ma anche e specialmente nelle classi dirigenti nel loro complesso.

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