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I prezzi del petrolio stanno per invertire la rotta
Il greggio è sceso sotto gli 80 dollari sull’onda dei timori (ormai segnali) di recessione, ma quanto durerà? L’amministratore delegato di Aramco Nasser: il mercato petrolifero non è in equilibrio e l’offerta si sta restringendo perché viene fatto poco in termini di nuove forniture potenziali – leggi “ci sono pochi investimenti” per via della incombente transizione green – per compensare il naturale esaurimento dei giacimenti.
“Questa assomiglia alla strada verso l’inferno per l’America”, ha detto una decina di giorni fa Jamie Dimon, CEO di JP Morgan, riferendosi a un suggerimento secondo cui tutte le grandi banche dovrebbero disinvestire nell’industria petrolifera e del gas.
La stessa settimana, l’amministratore delegato di Aramco ha avvertito che anni di “investimenti insufficienti” nella nuova produzione di petrolio, disincentivati dall’incombere della transizione green a tappe forzate, stanno iniziando a dare i loro frutti, il mercato presenta oggi un deficit di fornitura.
Nonostante queste affermazioni che suggerirebbero l’incipit di un trend vigoroso e crescente per i prezzi del petrolio, le quotazioni del greggio sono scese per gran parte del periodo. Il greggio non è però stato trascinato verso il basso dai fondamentali. I prezzi del petrolio sono in calo perché molti trader e investitori si stanno preparando per una recessione.
La cattiva notizia – mi dispiace per i lettori sensibili al tema – è che anche in una recessione, i prezzi del petrolio possono salire, e questo è esattamente ciò che pensano alcune di quelle banche che hanno presenziato con JP Morgan all’audizione del Congresso della scorsa settimana.
In realtà, JP Morgan ha una view rialzista sul mercato del greggio. La scorsa settimana, gli analisti della grande banca statunitense hanno scritto (in una nota) che si attendono un rimbalzo del greggio Brent sino a $ 101 nel quarto trimestre ed hanno citato la carenza di offerta come uno dei driver della loro previsione.
Goldman Sachs è ancora più rialzista. Tre settimane fa, gli analisti della banca hanno affermato che il Brent potrebbe raggiungere i 125 dollari l’anno prossimo. Questo nonostante l’ipotesi di un “price cap” al prezzo del petrolio venga propagandata dal G-7 come strumento ottimale, sia per mantenere il mercato in equilibrio pur in assenza del petrolio russo, sia per abbassare le tensioni sul prezzo di mercato. E non mollano: sono rimasti rialzisti senza dubbio né timore.
Morgan Stanley è un po’ più cauta nel formulare le sue stime sui prezzi, vedendo il greggio Brent a $ 95 al barile nell’ultimo trimestre dell’anno. Vale la pena notare che si tratta di una revisione al ribasso delle stime precedenti, formulate dalla banca per il quarto trimestre e diffuse due settimane fa, spinta dai crescenti timori di recessione.
UBS ha anche rivisto al ribasso le sue aspettative sui prezzi all’inizio di questo mese, citando ancora una volta i problemi di recessione e il continuo flusso di petrolio russo verso gli importatori asiatici. Una revisione al ribasso che, tuttavia, ha portato il Brent solo a $ 110: non su livelli inferiori e più prossimi ai corsi attuali. Con gli analisti che hanno specificato che potrebbe anche salire sino a $ 125 entro la fine del terzo trimestre 2023.
Le ragioni addotte dalla banca svizzera per l’atteso rimbalzo sono tanto interessanti quanto preoccupanti. Secondo UBS, i prezzi del petrolio non rimbalzerebbero a causa di un’economia globale in ripresa. Si riprenderebbero a causa della maggiore domanda di prodotti petroliferi per la generazione di elettricità ed a causa dei mercati di fronte ad un restringimento dell’offerta complessiva nel momento in cui gli Stati Uniti termineranno il loro programma di vendita del petrolio liberato dalle SPR grazie a Biden.
Durante il trimestre in corso, i prezzi del petrolio sono crollati del 20%, ha osservato Bloomberg in un rapporto sulle previsioni bancarie sul suo prezzo. Il motivo, ancora una volta, non ha nulla a che vedere con le dinamiche della domanda e dell’offerta. Ha avuto molto a che fare con le politiche delle banche centrali ed, in particolare, con la mossa aggressiva della Fed decisa a frenare l’inflazione con una rapida successione di rialzi dei tassi. Rialzi che hanno spinto il dollaro molto più in alto, rendendo così più costose le materie prime quotate in valuta locale.
Sul fronte dei fondamentali, il G-7 sta spingendo avanti l’ipotesi di “price cap” al greggio, anche se la Russia ha affermato che, semplicemente, non venderà petrolio a qualsivoglia paese che imponga un limite di prezzo. L’UE, da parte sua, sta attualmente discutendo l’ennesimo pacchetto di sanzioni contro Mosca, dopo la notizia dei referendum in quattro regioni dell’Ucraina orientale, aventi ad oggetto l’ingresso nella Federazione Russa.
Nel frattempo, l’OPEC+ continua a rimanere ben al di sotto dei suoi obiettivi di produzione, e ciò probabilmente proseguirà nell’immediato futuro. Inoltre, alcuni analisti si aspettano che il cartello decida nuovi tagli alla produzione, comprimendo ulteriormente l’offerta globale.
Negli Stati Uniti, le scorte nella riserva petrolifera strategica sono le più basse degli ultimi decenni, e questo ha destato in alcuni osservatori più di una preoccupazione. Altri, come Robert Rapier, hanno sottolineato che l’SPR non è così vitale per l’offerta del Paese come lo era invece alcuni decenni fa, quando gli Stati Uniti erano fortemente dipendenti dalle importazioni di petrolio.
Quanto appena illustrato trova corrispondenza e conferma gli avvertimenti lanciati da Nasser di Aramco circa dieci giorni fa. Il mercato petrolifero non è in equilibrio e l’offerta si sta restringendo perché ci sono pochi investimenti in nuova offerta per compensare l’esaurimento naturale. Un’evoluzione che è stata resa più acuta dalla concomitanza di altri fattori, come l’instabilità politica e le sanzioni statunitensi a grandi produttori.
Al contempo, con l’inasprimento delle sanzioni contro la Russia da parte dell’UE, è probabile che i prezzi del gas rimangano anch’essi elevati, il che si tradurrà in quello che UBS ha indicato tra i principali fattori dell’aumento dei prezzi del petrolio: una maggiore domanda di combustibili da utilizzare nella generazione di elettricità, in sostituzione del gas naturale, (proporzionalmente) ancora più costoso.
“La conseguenza dei ribassi globali delle scorte è che una volta che la domanda aumenterà, immediatamente ciò si rifletterà in un aumento dei corsi”, ha detto a Bloomberg Martijn Rats, stratega globale del petrolio di Morgan Stanley. “Per ora la domanda ha fatto un passo indietro, ma il quadro dell’offerta non è cambiato molto; il tetto massimo dal lato dell’offerta non è affatto così lontano. Non appena la domanda aumenterà, avremo di nuovo le stesse vecchie note pressioni sui prezzi di mercato”.
Ci sono dettagli numerici più precisi a supporto dei timori di livelli dei prezzi del greggio ben più elevati degli attuali nei prossimi trimestri: il calo della produzione dell’OPEC il mese scorso ha raggiunto 3,58 milioni di barili al giorno, un calo pari a circa il 3,5% della domanda globale, e gli Stati Uniti hanno continuato a vendere petrolio della loro riserva strategica.
Queste notizie apparentemente non correlate hanno qualcosa di molto importante in comune. Entrambi suggeriscono chiaramente che la carenza di offerta a livello globale è imminente. Inseriamo la notizia che le esportazioni di petrolio della Russia potrebbero diminuire di circa 2,4 milioni di barili al giorno dopo l’entrata in vigore dell’embargo dell’UE a dicembre, ed una carenza di petrolio diventa – più o meno – inevitabile.
La domanda di petrolio è peraltro rimasta resiliente di fronte a una moltitudine di sfide e neppure i prezzi superiori a $100 al barile sono riusciti a frenarla in modo significativo all’inizio di quest’anno. Ora i prezzi sono un po’ mitigati, ma mancano ancora circa due mesi all’embargo. Una volta che questo entra in gioco (ma a quanto pare vi sono segnali che la Russia potrebbe anticipare i tempi), i prezzi sono destinati a salire perché l’offerta alternativa è limitata. Gli Stati Uniti, ad un certo punto, dovranno inoltre iniziare a riempire le loro SPR, perché si stanno esaurendo.
Il Wall Street Journal ha lanciato l’allarme sul problema la scorsa settimana. L’autore Jinjoo Lee ha citato l’Energy Information Administration (EIA) affermando che il livello di inventario dell’SPR era diminuito di altri 7 milioni di barili nella settimana fino al 16 settembre, il che significa che il totale era di 427 milioni di barili. E questo corrisponde al livello SPR più basso dal 1984. “È peraltro anche la prima volta che c’è meno petrolio nell’SPR che nello stoccaggio commerciale”, ha osservato Lee.
In poche parole, l’insufficiente offerta di greggio e la sua anelasticità sono il principale motivo per cui i prezzi del petrolio probabilmente torneranno presto a salire. La crescita dell’offerta è in stallo mentre la domanda sta per aumentare. E a seconda della forza con cui si riprenderà, potremmo vedere prezzi del petrolio molto più alti l’anno prossimo.
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