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Meloni. O dell’eterno ritorno dell’uguale


10 Ott , 2022|
| 2022 | Visioni

Nel nuovo governo Meloni “la presenza dei tecnici non sarà preponderante”, così Ignazio la Russa, tra i maggiorenti di Fratelli d’Italia, ha ritenuto nei giorni scorsi di sciogliere i dubbi crescenti della sua base, finendo in realtà per alimentarne di maggiori. Abbassato il sipario delle elezioni, sin dalle prime schermaglie per la formazione del nuovo governo, pare profilarsi un quadro di sostanziale continuità col precedente. Là dove il Paese col voto e, soprattutto, col non voto ha reclamato discontinuità politica. Da alcuni colloqui riservati, riportati dalle cronache giornalistiche, pare vi siano addirittura più ministri in predicato di restare, fra l’altro in dicasteri chiave. In perfetto stile gattopardesco, dove tutto deve apparentemente cambiare, perché nulla realmente cambi nel profondo.

Ma quello che inquieta di più è il rischio concretissimo di replicare, nell’ambito della nuova compagine di governo, una doppia struttura: coi posti chiave (economia, esteri, difesa) affidati a presunti tecnici che in realtà rispondono direttamente a poteri sovranazionali esterni ed i restanti dicasteri, pur numerosi ma di minor peso, buoni per la ricreazione dei partiti e dei loro rivoli interni. E qui si misurerebbe tutto lo scarto tra la grande energia politica contenuta nella pur scomposta espressione di voto degli italiani e la solita paludata risposta funzionale alle esigenze dei mercati, che ai piani alti si sta con solerzia apparecchiando.

L’esito elettorale non è stato un incidente di percorso. L’establishment, che anelava un simile sbocco, si è molto prodigato tramite il suo “clero regolare” di completamento per propiziarlo. Si è cercato in tutti i modi di annichilire la “questione sociale” (RdC in primis), bastonando sistematicamente chi quotidianamente vi alludeva, i 5s di Conte. Le altre forze più radicali del dissenso, invece, si è provveduto a strozzarle nella culla, estromettendole dal dibattito. Sul versante geopolitico l’altro soggetto da “attenzionare” doveva essere Matteo Salvini, per i suoi trascorsi pericolosi in terra di Russia: ma non è servito. Sarebbe stato come sparare sulla Croce Rossa, tale era ormai la parabola discendente del capo della Lega. Nel mentre si imbastivano queste trame, da parte del complesso mediatico-comunicativo, è intervenuto il voto che ha premiato proprio quelle formazioni che sembravano da sempre, come la Meloni, o a seguito di tardiva folgorazione, nel caso di Conte, le più lontane dall’establishment economico e finanziario. Di certo alternative, da sponde opposte, ai sostenitori della fantomatica “agenda Draghi”, sbandierata come un feticcio.

Quello stesso elettorato, però, non aveva fatto i conti con un dato di contesto strutturale che sta riaffiorando in tutta la sua drammaticità nel dopo voto. Ovvero, che la società italiana negli ultimi quarant’ anni si è geneticamente modificata, diventando da politica, quale era, integralmente dello spettacolo. Così quando si è votato il partito della Meloni, fra l’altro confidando in quello che appariva il più tradizionale di tutti, perché sin dal simbolo il più radicato nel suo passato, non si è considerato che oggi i politici sono una razza in via di estinzione. Al loro posto è venuta innanzi una schiatta di blogger, influencer e “selfisti compulsivi”. Questi nella suddivisione globalista del lavoro hanno il solo compito della raccolta del voto, che poi altri nelle alte sfere gestiranno nel superiore interesse dell’economia di mercato, che sempre di più sta diventando “economia di guerra”. Una sorta, dunque, di raccolta del consenso per procura. Allo scopo di perpetuare quelle politiche che vanno in direzione opposta alle necessità e ai bisogni dei ceti popolari. In una sorta di welfarismo rovesciato, per cui si socializzano le perdite e si privatizzano i profitti. Nonostante lo scenario di guerra che si approssima. All’orizzonte già si stagliano i contorni dell’ennesimo governo interamente tecnico presieduto dal Cottarelli di turno, per un altro giro di giostra.

Per scongiurare questa deriva occorrerebbe rilanciare un progetto schiettamente alternativo, che avesse il coraggio di rompere con i riti e le liturgie di un sistema che ormai non sta più in piedi, per le sue contraddizioni interne, e di cui l’Italia è l’emblema negativo, coi suoi più di dodici milioni di poveri (tra assoluti e relativi). Conte avrà la capacità di coagulare intorno a sé le forze pur caotiche del cambiamento, conferendo ad esse una direzione di marcia e una forte coscienza politica? Non lo sappiamo. Quello che è certo, come dimostrano i risultati del voto e l’astensione record, che non manca il propellente per avviarlo quel processo…

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