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Ucraina: una tragedia annunciata


10 Ott , 2022|
| 2022 | Visioni

Pochi giorni fa la morte di Michail Sergeevič Gorbačev ha segnato la fine di un’era. Per molto tempo la politica estera della Russia verso l’Occidente è stata determinata dal suo approccio e dalla sua eredità, fino a quando non si è scontrata con un nuovo muro invisibile, ma del tutto reale, costruito dall’Occidente tra sé e la Russia negli ultimi 20-25 anni. Questo nuovo muro ha svelato la debolezza della politica e delle concessioni di Gorbaciov, politica applaudita calorosamente in Occidente, ma che ha condannato la Russia alla dipendenza e alla capitolazione geopolitica. Gorbaciov, infatti, credeva nella ristrutturazione delle relazioni internazionali e nella possibilità di costruire una casa comune europea. Gli sviluppi in Europa, così come l’evoluzione delle relazioni tra Russia e Stati Uniti, hanno mostrato l’ingenuità di questo approccio. Il suo tentativo strategico di avvicinarsi all’Occidente attraverso concessioni unilaterali risale alla fine del 20° secolo, ma è stato respinto nel 21° secolo. La dottrina di Gorbaciov, ammesso che si possa parlare di dottrina, non ha resistito all’impatto con la realtà e alla prova del tempo.

Ciò che è accaduto dalla fine dell’Unione delle Repubbliche Socialista Sovietiche in Ucraina (e negli Stati Baltici) è il risultato di questo approccio errato. Nel dicembre del 1991 la settantennale esperienza sovietica cessava di esistere. Smentendo il referendum democratico del marzo dello stesso anno che aveva visto il 78% della popolazione esprimersi a favore del mantenimento dell’Unione, i tre presidenti delle repubbliche dell’URSS – Russia, Ucraina e Bielorussia – decidevano di “ascoltare” le voci dei consiglieri statunitensi che da tempo erano presenti nel caos della perestrojka gorbacioviana.

Negli anni successivi, caratterizzati da atroci sperimentazioni economiche “democratiche e di mercato” che hanno causato milioni di morti e condizioni di vita misere, si trovano le radici dell’odierna tragedia in Ucraina. In Russia gli americani invadevano ogni ambito statale mentre in Ucraina iniziavano ad “aiutare” i discendenti  – traferiti dopo il 1945 in America e Canada  – di chi era fuggito dall’avanzata dell’Armata Rossa nel 1945 a ritornare in Ucraina portando con sé l’ideologia di chi aveva contribuiti non solo alla tragedia dei campi di sterminio nazisti, ma anche a quella dei massacri del 1943 di oltre 100mila polacchi in Volinia e Galizia: i nazionalisti ucraini temuti persino dalle SS tedesche.

Man mano che le vecchie generazioni sovietiche morivano, quelle nuove venivano educate all’ideologia nazionalista, grazie ai Centri di operazioni informative e psicologiche (denominati CIPSO e che fanno parte delle Forze per le operazioni speciali dell’Ucraina), impiegati in ogni segmento informativo, istituiti e finalizzati per orientare la popolazione al più feroce odio per tutto ciò che fosse russo. Cercando di far dimenticare che l’Ucraina, storicamente, non solo è stata la culla della Russia – la Rus’ di Kiev  – ma anche una terra dove da sempre russi e russofoni compongono più di metà della sua popolazione e abitano gran parte del suo territorio. E dove le famiglie e i popoli si sono sempre mescolati senza soluzione di continuità. Eppure, a partire dal 1991 ai quadri del nuovo esercito ucraino venne fatto sottoscrivere un contratto di servizio in cui era scritto che la Russia “è il nemico”.

A questo punto è bene notare che gli Stati che storicamente formavano l’Impero russo, a differenza della storia europea, non sono mai stati Stati nazionali, nati dall’affermazione delle borghesie nazionali. U-Kraina vuol dire letteralmente “al confine, al margine”. Una terra dove, nei secoli, hanno dominato polacchi, svedesi, lituani, ottomani, tedeschi. Gli attuali confini dello Stato ucraino sono quelli ereditati dall’URSS. Agli inizi degli anni Venti del secolo scorso i bolscevichi volevano costruire uno stato federato all’Unione, mai esistito nelle dimensioni create, attraverso la “donazione” all’allora Repubblica Socialista Sovietica Ucraina di ampi territori da sempre russi (ampliati dopo il 1945 con altri precedentemente polacchi e ungheresi – Galizia in primis). Lo scopo era creare quel “nuovo Stato” proletario che superasse i tradizionali rapporti fra popoli dell’Impero zarista, dove non ci fossero più né classi né nazionalità diverse. Lo Stato dell’Homo sovieticus. Per questi motivi furono così incluse nella Repubblica socialista sovietica Ucraina molte zone storicamente russe (tra cui Donbass, Char’kov e Odessa), ma dove convivono da secoli popolazioni, appartenute storicamente alla “Novorossija”, l’area a nord del Mar Nero conquistata dall’Impero russo alla fine del XVIII secolo.

L’implosione dell’URSS era un’occasione imperdibile per una rivincita storica da parte di chi allora, come oggi, cerca di imporre l’ideologia della superiorità del “modello americano” su tutti i popoli del mondo. Nel 1997, Zbigniew Brzezinski, politico democratico americano la cui famiglia era fuggita negli Stati Uniti dalla Polonia dopo la seconda guerra mondiale, scriveva nel suo saggio “The Grand Chessboard American Primacy and Its Geostrategic Imperatives”: l’Ucraina «è un nuovo e importante spazio dello scacchiere euroasiatico» senza il quale la Russia cessa di essere un impero euroasiatico per limitarsi forzatamente alle sue prospettive asiatiche. Con l’implosione dell’URSS l’Ucraina diventava allora terra di scontro (a volte aspro), ma ancora inquadrato in un ambito politico ed economico. I Presidenti si susseguivano, a volte rappresentanti degli “amici d’oltreoceano”, altre della maggioranza russofona e di chi ancora vedeva nella Russia se non un popolo fratello perlomeno non un nemico: da Leonid Kravčuk, a Leonid Kučma, a Viktor Juščenko, fino a Viktor Janukovič, l’ultimo Presidente eletto prima del 2014. Da quel momento l’Ucraina è stata il teatro di rivoluzioni arancioni, rivolte anche sanguinose fra chiese (in particolare quella Uniata o Cattolica di rito orientale che fu protagonista nei primi anni di attacchi, anche violenti, contro le chiese e i prelati ortodossi della Chiesa Ortodossa Ucraina del Patriarcato di Mosca), cui parallelamente si riaffacciavano sulla scena politica movimenti di ispirazione ultranazionalista che poi si trasformeranno nei partiti neonazisti odierni. 

Ma questo non era ancora abbastanza per chi aveva deciso di sferrare l’ultimo colpo alla Russia e all’Europa. Nel 2014, alla luce del sole, gli Stati Uniti investirono 5 miliardi di dollari per cambiare il corso della storia. Un colpo di stato anticostituzionale (altrove chiamato “primavera”) fece letteralmente scappare, pena l’assassinio, il legittimo Presidente Janukovič, reo di aver sottoscritto un accordo di amicizia e collaborazione economica con la Russia. In piazza Maidan si ritrovarono tutte le forze che aspiravano a spezzare il legame storico fra Ucraina e Russia. In un mare di bandiere di estrema destra che sventolavano accanto a quelle europee, anche degli italiani, rappresentanti ufficiali delle istituzioni europee, più o meno consapevolmente, fomentavano una folla ubriaca di un concetto sino ad allora completamente estraneo alla società ucraina, ma già molto “di moda”: l’europeismo. E mentre le cancellerie occidentali si complimentavano a vicenda per i loro successi, iniziava la tragedia del popolo ucraino.

Il divieto di parlare la lingua russa, la chiusura di giornali, televisioni, siti internet in lingua russa, l’uccisione di decine di giornalisti, la messa fuorilegge di partiti politici e organizzazioni sindacali fecero da contorno alla cosiddetta Operazione antiterrorismo, ossia l’intervento militare ucraino contro i propri cittadini, che nelle regioni del Donbass (allora il territorio più ricco del paese) erano scesi in piazza per denunciare il colpo di stato e la loro volontà di non vivere sotto il nuovo potere nazionalista di Kiev. Di non voler essere oggetto della feroce pulizia etnica chiaramente proclamata dalle frange più estremiste del nuovo regime “democratico ed europeista”. Va ricordata, fra tutte, la strage del Palazzo dei Sindacati di Odessa del 2 maggio 2014 dove vennero massacrati e bruciati vivi un centinaio di antifascisti. La tragedia non ebbe nemmeno un cenno da parte di Cgil Cisl e Uil

Un ultimo, fondamentale tassello è quello relativo alla questione religiosa. Non ancora soddisfatto, l’Occidente è intervenuto anche in campo religioso, sostenendo la nascita di una chiesa autocefala ucraina, non canonica, che rompesse con la storia e le tradizioni che costituivano un elemento importante nei secolari rapporti con Mosca. È infatti dimostrato da molti documenti officiali il ruolo della Chiesa Ortodossa del Patriarcato di Costantinopoli, governata da uomini della CIA.

Nel maggio del 2014 la vittoria del “sì” al referendum democratico nelle regioni di Doneck (79%) e Lugansk segnò la nascita delle autoproclamate Repubbliche. Il referendum nella regione di Char’kov, invece, non ottenne i voti sufficienti per proclamarsi indipendente. Nello stesso periodo anche la Crimea, territorio storicamente russo e regalato da Chruščëv alla Repubblica Socialista Sovietica Ucraina nel 1954, ottenne l’indipendenza e il ricongiungimento alla Russia, deludendo le speranze di Kiev, che dal 1991 aveva cercato di ostacolare le aspirazioni autonomiste della regione. La richiesta di adesione alla Federazione Russa da parte del popolo crimeano fu dettata dalla volontà della quasi totalità della popolazione di rimanere parte del “mondo russo”. La Crimea evitò in tal modo le tragedie del Donbass e il buon fine delle aspirazioni americane di trasformare la penisola in una portaerei e una caserma NATO in mezzo al Mar Nero dove posizionare i missili nucleari contro Mosca.

Una volta iniziata la guerra civile in Donbass, la Germania e la Francia assunsero il ruolo di mediatori tra le parti, grazie al quale fu raggiunto, il 5 settembre 2014, il primo Accordo di Minsk, in cui la Federazione Russa si poneva come garante. Il 19 settembre 2014 fu firmato un Memorandum sull’attuazione delle disposizioni del precedente Protocollo di Minsk, atti sottoscritti dal governo ucraino di Kiev e i rappresentanti delle autoproclamate Repubbliche popolari di Doneck e Lugansk. Nel febbraio del 2015, a causa dell’incapacità degli accordi di garantire un cessate il fuoco duraturo, venne sottoscritto il secondo accordo di Minsk, trasfuso poi nella Risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU n. 2202, adottata all’unanimità. I punti cardine di questo accordo prevedevano il cessate il fuoco da ambo le parti, il ritiro degli armamenti pesanti dalla linea di contatto, uno status speciale per il Donbass attraverso una riforma costituzionale, il ripristino delle relazioni economiche fra Donbass e Kiev (ossia la ripresa dei pagamenti di pensioni, retribuzioni, ed energia elettrica da parte di Kiev ai cittadini del Donbass), il disarmo delle formazioni paramilitari e il ritiro delle forze armate straniere. 

In questi otto anni l’accordo non fu mai ottemperato da Kiev, che al contrario continuò la guerra contro i cittadini delle regioni autoproclamatesi indipendenti. La guerra provocò 1,750mila profughi di cui oltre 1 milione verso la Federazione Russa (dunque la casa del “nemico”), oggi saliti ad oltre 2 milioni e seicentomila; oltre 24mila vittime e 35mila i feriti; 200 bambini uccisi, centinaia feriti, invalidi e mutilati. Più di 4 milioni e mezzo di abitanti hanno subito delle forti ripercussioni a causa del conflitto, con 3 milioni e 400mila che hanno vissuto per otto anni del solo aiuto umanitario russo. Il 60% di costoro sono donne e bambini, il 40% anziani; 200mila persone hanno vissuto nella “zona grigia di contatto”, una delle zone più minate del mondo.

Anche le infrastrutture civili sono state sistematicamente distrutte: 25mila abitazioni civili sono state bombardate o gravemente danneggiate; oltre 100 strutture medico ospedaliere demolite; 600 scuole, asili, istituti d’istruzione e orfanotrofi non sono più agibili. A questo si è aggiunto il colpevole silenzio della stampa occidentale. La stessa stampa che dal 24 febbraio diffonde le notizie false e propagandistiche costruite a tavolino negli uffici d’oltreoceano.

Questo è quindi il tragico scenario ucraino alla fine del 2021, alla vigilia dell’Operazione militare speciale russa. Dopo aver per otto lunghi anni richiamato tutte le parti – sia i firmatari sia i garanti europei – al pieno rispetto degli Accordi di Minsk, la Russia a proposto agli Stati Uniti e alla NATO un accordo giuridicamente vincolante volto a garantire la sicurezza “di tutti” in Europa. Nonostante sia stata la NATO ad espandersi verso i confini russi a partire dal 1991, con totale spregio per le molteplici rassicurazioni fatte alla Russia. La NATO e gli Usa hanno respinto con sufficienza questa proposta.

Nelle settimane precedenti al 24 febbraio l’Ucraina ricevette da Stati Uniti, Gran Bretagna e altri paesi occidentali degli armamenti letali di ultima generazione, mentre rimanevano attivi (nonostante le reiterate richieste russe) gli oltre laboratori americani sulla ricerca di armi biologiche e batteriologiche (oltre 20) aperti in Ucraina a partire dal 2015. Inoltre, a metà febbraio il presidente Zelenskij ha dichiarato all’annuale conferenza di Monaco sulla sicurezza in Europa la capacità e la volontà ucraina di dotarsi di armi nucleari, vietate dagli accordi degli anni Novanta. L’Ucraina ha preparato poi, con l’aiuto occidentale, un piano di attacco militare contro il Donbass per l’8 marzo 2022. Operazione vanificata dall’intervento russo, ma che se fosse scattata avrebbe dato luogo a una strage, un genocidio di centinaia di migliaia di vittime civili nel più assoluto silenzio dell’Occidente, che si sarebbe girato dall’altra parte esattamente come ha fatto dal 2014.

È quindi interessante ricordare le parole pronunciate da Putin a Monaco nel 2007, ben 15 anni fa: “La NATO ha messo le sue forze in prima linea ai nostri confini. La NATO rappresenta una seria provocazione che riduce il livello di fiducia reciproca. E abbiamo il diritto di chiederci: contro chi è destinata questa espansione? E che fine hanno fatto le assicurazioni fatte dai nostri partner occidentali dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia? Oggi assistiamo a un incontenibile uso della forza – la forza militare – nelle relazioni internazionali, forza che sta facendo precipitare il mondo in un abisso di conflitti permanenti. Questo è estremamente pericoloso. Il risultato è che nessuno si sente al sicuro. Voglio sottolineare questo: nessuno si sente al sicuro!”

In questo senso i documenti ritrovati in Ucraina durante l’operazione militare speciale, resi noti dalla Russia nelle ultime settimane e confermati da Victoria Nuland “Fuck UE” (che nel 2014 distribuiva biscottini a Maidan) del Dipartimento di Stato americano, testimoniano le pericolose attività della NATO nell’ambito dello sviluppo di armi biologiche – vietate dalle convenzioni internazionali – fra le quali compaiono degli studi su alcune forme di aviaria di pipistrelli e uccelli migratori.

Infine, anche il quadro macroeconomico merita qualche cenno.

L’economia ucraina è stata e rimane tuttora sostenuta quasi unicamente dal “nemico” russo, attraverso le royalties del gas e l’interscambio fra i due paesi. Lo straordinario impegno americano in termini militari e politici avrebbe dunque come unico scopo la chiusura ermetica del mercato europeo alla Russia. La rottura delle relazioni culturali, umane, economiche fra Europa e Russia, insieme al desiderio di sostituirsi a Mosca come fornitore di gas, è l’obiettivo strategico degli Stati Uniti, che mantengono con la Russia dei rapporti economici sostanzialmente normali mentre l’Europa è quasi la sola al mondo ad applicare rigidamente le sanzioni contro Mosca che distruggono più se stessa che il nemico.

Le gravissime decisioni, che in alcuni casi possono tranquillamente essere definite violazione dei diritti umani, attuate sempre più da molti paesi dell’unione Europa nei confronti di cittadini russi residenti nella Federazione Russa o cittadini russi con doppia cittadinanza residenti in Europa, si avvicinano di molto al clima instaurato negli anni Trenta del secolo scorso dai regimi tedesco ed italiano nei confronti delle persone “diverse”. 

In questo quadro, assai compromesso, le scelte dell’ultimo governo italiano appaiono di assoluta gravità. L’Italia e la Russia sono sempre state legate da un’amicizia storica che ha origine nei secoli scorsi. I rapporti tra Italia e Russia si sono sviluppati in ambito culturale, ma si sono consolidati in quello economico. Le relazioni sono state costanti e positive anche sul piano politico, pur nei diversi contesti geopolitici. Nel corso dei decenni passati le sorti dell’Italia e della Russia si sono sempre più intrecciate in una partnership privilegiata e spesso strategica, come dimostra l’Accordo di Partica di Mare del 2002, con cui l’Italia assunse un ruolo di assoluta preminenza come facilitatore del dialogo tra la NATO e la Russia   Su queste fondamenta i due Paesi hanno nel tempo dimostrato una vicinanza che le drammatiche vicissitudini della storia hanno cementato. Alcuni esempi significativi degli aiuti vicendevoli sono l’assistenza fornita dall’Italia alla Russia durante la tragedia di Beslan, il supporto russo ai sopravvissuti alla catastrofe del terremoto di Messina, il salvataggio dei resti dell’epopea della “Tenda Rossa” della spedizione Nobile, o il sostegno russo a L’Aquila e Venezia in difficoltà. Tra le tante nazioni che hanno aiutato il nostro paese nei giorni più tragici dell’epidemia da Covid-19, la Russia è quella che si è spesa di più, in termini di uomini e mezzi.

Oggi un così ricco e proficuo rapporto è stato minato alle fondamenta con gravissime ripercussioni anche economiche. Ed unicamente ed esclusivamente per responsabilità italiana.

La guerra è il male assoluto. Ma ugualmente male assoluto è rappresentato oggi dall’Unione Europea, che per eseguire ordini d’oltreoceano ha rinunciato a un ruolo di mediatore (positivamente esplicato nel 2008 in occasione della crisi dell’Ossezia del Sud) e condannando alla rovina la propria economia e il suo futuro di soggetto politico autonomo nell’arena internazionale. La Russia, come tutti i paesi del mondo chiede sicurezza per se stessa e per gli altri. Dal 1991 è stata derisa, oltraggiata, vilipesa. Oggi ha la forza di imporre con le armi ciò che per oltre vent’anni ha chiesto con la diplomazia.

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