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Quale unione monetaria senza il c.d. riciclo delle eccedenze?


21 Ott , 2022|
| 2022 | Visioni

Si prendano due Stati, A e B, entrambi dotati di rispettiva moneta propria e quindi di una banca centrale, dipendente dal Ministero del Tesoro, deputata a regolare il flusso di questa moneta e dunque avente competenza in materia di politica monetaria. A e B, o meglio i loro rispettivi operatori economici (sia pubblici, in tutto o in parte, che privati) e consumatori, commerciano tra loro. Lo stato dei loro reciproci rapporti commerciali è a vantaggio di A, cioè il valore complessivo dei beni e servizi che A esporta in B è maggiore del valore complessivo dei beni e servizi che B esporta in A: così la bilancia commerciale di A è in avanzo, mentre la bilancia commerciale di B è in disavanzo.

Cosa comporta questo stato generale dell’economia? Che la moneta di A si apprezza o rafforza, cioè sale di valore, rispetto alla moneta di B, giacché, essendo i beni e servizi di A maggiormente richiesti dei beni e servizi di B, c’è maggiore richiesta della moneta di A.

Nell’acquisto di beni e servizi di A viene infatti impiegata la moneta di A (e lo stesso, specularmente, vale per B): A incassa nella propria moneta, salvo voglia costituirsi riserve di valuta estera o stia commerciando materie prime per convenzione denominate in altra moneta (v. il petrolio, per larga parte scambiato in dollari, così generando una domanda di dollari in tutto il globo e facendo apprezzare la valuta statunitense).

Bene, l’apprezzamento della moneta di A rispetto a quella di B potrà seguire una spirale crescente fino a quando B sarà in grado acquistare beni e servizi da A; a un certo punto della china, i beni e servizi di A potrebbero rilevarsi troppo onerosi per gli operatori economici e i consumatori di B, che smetteranno di acquistarli da A e potranno rivolgere la loro domanda di beni e servizi presso altri Stati, magari C, la cui moneta è più debole di quella di B o comunque presenta un tasso di cambio (numero di unità di moneta di C che possono essere acquistate con un’unità di moneta di B) che gli operatori economici e i consumatori di B reputano favorevole; B, tramite la sua banca centrale, potrebbe anche decretare il taglio dei tassi d’interesse: questo passo, pur svalutando ulteriormente la sua moneta e dunque precludendo a fortiori ulteriori importazioni da A, farebbe ripartire gli investimenti produttivi in B così che gli operatori economici di B potrebbero produrre tanto beni e servizi destinati a soddisfare la domanda interna a B quanto un surplus da esportare in altri Stati (A compreso), determinando di conseguenza l’apprezzamento della moneta di B (in quanto questa verrebbe richiesta all’estero per acquistare i beni e servizi di B).

Fenomeni di apprezzamento e deprezzamento della moneta non possono per definizione verificarsi tra gli Stati che appartengano a un’unione monetaria, ove è in uso una moneta unica e una banca centrale sovrastatale è competente in materia di politica monetaria, sulla quale non hanno voce in capitolo le singole banche nazionali.

Entro un’unione monetaria lo squilibrio dei rapporti commerciali tra A e B non si tradurrà in un aumento dei costi a carico degli operatori economici di B tale da mettere una diga alle importazioni da A. Tuttavia, il disavanzo commerciale di B renderà vulnerabile la sua situazione patrimoniale, cioè di bilancio: è altamente probabile che B abbia poche entrate pubbliche (se produce troppo poco, è evidente che le entrate da imposte sui redditi diminuiranno), il che rischia di deprimerne il welfare e le capacità di investimento nel settore economico pubblico (per comprendere quanto dovrebbe essere ampio questo settore, diamo un’occhiata alla nostra Carta costituzionale).

Per uscire da questo pantano, B intende tagliare i tassi d’interesse per far ripartire gli investimenti produttivi e dunque rilanciare il prodotto interno (per provvedere tanto alla domanda interna quanto all’export, nonché per aumentare le entrate pubbliche e dunque implementare il welfare e il settore economico pubblico), ma non può, in quanto non dispone di una banca centrale competente in materia di politica monetaria.

Ci sono antidoti per ovviare al malanno di B?

Yanis Varoufakis[1] ha configurato il c.d. riciclo delle eccedenze: entro un’unione monetaria, i Paesi la cui bilancia commerciale sia in avanzo devono contribuire a finanziare (beninteso, senza interessi né obbligo di restituzione) investimenti produttivi nei Paesi la cui bilancia commerciale sia in disavanzo.

A tal fine, i Paesi in avanzo impiegherebbero parte delle loro rispettive entrate fiscali, potenzialmente elevate considerata l’entità dei loro rispettivi prodotti interni; sarà pertanto necessario un coordinamento fiscale tra gli Stati aderenti all’unione monetaria.

Il riciclo delle eccedenze non costituisce altro, a ben vedere, che il prezzo che le economie più avanzate (o meglio, in avanzo) hanno da pagare per la realizzazione dell’unione monetaria: gli Stati in avanzo traggono infatti consustanziale vantaggio dall’unione monetaria giacché per mezzo di essa possono continuare ad esportare beni e servizi verso le economie in disavanzo incrementando i loro rispettivi prodotti interni e senza che le loro rispettive monete si apprezzino al punto da rendere insostenibile la prosecuzione degli scambi commerciali.

Ecco allora che il c.d. riciclo delle eccedenze costituisce la giustificazione del contratto di associazione fra più Stati in unione monetaria e un’unione siffatta che non lo preveda è monca (e iniqua) come un contratto di compravendita in cui l’acquirente sia esonerato dal pagare il prezzo.


[1] Il Minotauro Globale, Asterios, 2012.

Di:

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