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Giorgia Meloni. L’occasione perduta

Se vi è una certezza nella degenerata politica del nostro Paese, è il diffuso desiderio di cambiamento: desiderio di aria fresca, pulita, nuova. Uno scenario mai visto, con attori non compromessi dai fischi di un pubblico che non li gradisce. Complessivamente un altro ambiente. Prima ancora dei contenuti di ogni possibile proposta alternativa.
Vi è, forse, una spiegazione diversa della valanga di voti presi prima da Renzi, poi dai Cinque Stelle e da Salvini, lo scorso 25 settembre da Giorgia Meloni? Gli Italiani hanno votato così variamente, ogni volta sperando in personaggi e programmi anche molto diversi tra loro. Sono stati puntualmente delusi. Ma lo stesso era accaduto, a suo tempo, anche con Silvio Berlusconi.
Di ciò Meloni è sicuramente conscia: conscia delle aspettative su di lei riposte e del grave rischio corso da lei medesima, perdere altrettanto rapidamente quell’ampio consenso ricevuto per invertire finalmente la rotta, dando la precedenza al come piuttosto che al cosa fare.
Difficile dire adesso se Meloni riuscirà; ma le premesse non sembrano le migliori. Non sto affatto pensando al fantoccio – anzi all’ossessione – del fascismo, messo inutilmente in campo, durante la campagna elettorale, dall’attuale opposizione. Né penso ai contenuti della proposta meloniana (e dei suoi pseudo-alleati). Penso, ancora, a quei non pochi Italiani che, da anni, non attendono altro che si volti pagina: una pagina dove non vogliamo vedere ritratte, da troppo tempo, le stesse facce che non ci piacciono, dove continuiamo a leggere di azioni che, nello spazio pubblico, si segnalano per inefficienza, incompetenza, corruttela, dove percepiamo, leggendo, le menzogne degli attori politici, funzionali a camuffare e a mercanteggiare.
Qualunquismo? Forse o, meglio, anche: questa è la realtà creata per noi dalle elites della politica. L’impressione è che il desiderio degli Italiani e, più di tutto, la necessità oggettiva imporrebbero la presenza, specie nei ruoli istituzionali di vertice, di persone con un corredo etico-culturale adeguato: persone serie, leali, altruiste, uomini e donne che sappiano quel che dovrebbero fare per l’Italia (o, per la Nazione, come ama dire Meloni, un poco irriflessivamente). Desiderio e necessità di cui il Presidente del Consiglio ha dimostrato di rendersi conto, di essere consapevole.
Come negare che si sia ben condotta dopo la vittoria del 25 settembre? Assumendo un atteggiamento né trionfale né baldanzoso, esternando pochissimo, marcando più volte le distanze dai leaders suoi alleati e dalle loro posture e dichiarazioni macchiettistiche, ribadendo anzi tutto a sé stessa di volere un governo di alto profilo, in ultimo giungendo a dire che, mancando certe condizioni, lei il governo avrebbe anche potuto non farlo.
Molti Italiani avranno apprezzato; qualcuno avrà anche sperato che andasse fino in fondo, rinunciando al mandato se poi quelle condizioni non si fossero date: quelle che lei stessa aveva indicato. Perché la prima, e fondamentale, esigenza in una situazione qual è l’attuale, era certamente la presenza di ministri e sottosegretari dotati di quel corredo a cui si è sopra accennato. Ma la lista dei ministri presentata da Giorgia Meloni è composta di persone quali lei aveva dichiarato più volte di voler investire? Un dato storico induce a riflettere: su 24 ministri quasi la metà (11) facevano parte dell’ultimo governo Berlusconi (come ministri o sottosegretari); e si intende, trattandosi di persone già in passato con responsabilità di governo, non immuni da colpe per quel che è il dissesto in cui versiamo. Il tasso di novità è comunque alquanto modesto Poi, si dovrebbe guardare ai vari curricula, leggendoli in filigrana; e, pur salvando qualcuno, per parecchi l’alto profilo sarebbe piuttosto difficile configurarlo.
Penso che il Presidente del Consiglio tutto ciò non solo lo sappia, ma ne sia, dentro di sé, fortemente preoccupata. Per la verità, essendone consapevole, aveva ricercato la disponibilità di tecnici esterni che gliela avevano rifiutata, a torto o a ragione. Ma se i politici non sono corredati il ricorso ai tecnici è quasi obbligatorio: questione da non poco di cui Meloni non è certo responsabile.
Che avrebbe dovuto fare allora Giorgia Meloni? Manifestarsi coerente, come ha fatto quand’era all’opposizione e scegliendo a più riprese di rimanervi. Ovviamente, avendo vinto largamente le elezioni, questa volta la coerenza avrebbe postulato un prezzo molto più alto: non fare il governo, come pur ella aveva minacciato, sapendo che questo non sarebbe potuto essere all’altezza. Aggiungerei: vi è più di un ministro che potremmo definire, con linguaggio corrente, davvero impresentabile. Allora Meloni avrebbe dovuto avere il coraggio, nell’interesse della Nazione, di rovesciare il tavolo e provocare finalmente l’emersione di una crisi di sistema che da anni si è insinuata nelle strutture di governo e amministrative del Paese. Forse non sarebbe successo nulla. Ma forse qualcosa sarebbe successo e si sarebbe aperto uno spiraglio, per una svolta. E, forse, il suo consenso si sarebbe accresciuto.
Uno statista è tale non solo quando ben governa, ma anche quando si batte per un nuovo ordine, specie quando quello precedente si è corrotto. Nutrirsi della lettura de Il Signore degli Anelli (un cult della destra) ha i suoi limiti perché si rimane nell’ambito del fantasy. Ma, forse, era il momento più adatto per balzare fuori dalle pagine di Tolkien e fare come Frodo che, insieme a Sam, riesce a scalare il monte Fato e a gettare l’anello nel fuoco. È mancato il coraggio; e la Nazione ne aveva gran bisogno. Tuttavia, se qua nessuno ce la fa a innescare il cambiamento, è da pensare che l’appuntamento (con la storia) sia solo rimandato. Prima o poi, la forza delle cose finirà con l’imporsi: ancora una volta – è la nostra sorte come ‘Nazione’ – ci faremo guidare dagli eventi. Intanto il vincolo esterno continua a dettarci il passo.
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