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Sovranità alimentare o sudditanza?


24 Ott , 2022|
| 2022 | Visioni

Le denominazioni dei ministeri del nuovo governo Meloni hanno acceso le polemiche; le meno azzeccate e più ridicole sono quelle riguardanti il dicastero guidato da Francesco Lollobrigida, Agricoltura e Sovranità Alimentare. Il concetto di sovranità alimentare è stato bollato come un rigurgito nazionalista o fascistoide, quasi che si trattasse di escludere dalla tavola i prodotti stranieri per orgoglio patrio. È stato risposto che tale denominazione esiste anche in Francia – sotto il presidente Macron, l’idolo di Letta e colui che è stato incensato da liberali, europeisti e sinistra (purtroppo a volte non di establishment) per aver “salvato” la Francia dalla estremista Marine Le Pen.

Vale la pena di seguire i risvolti di tale miserevole polemica unicamente per rincorrere i profili reali del concetto e le sue possibili (dis)applicazioni da parte del nuovo Esecutivo.

A scapito della ignoranza diffusa di chi un po’ meccanicamente connette la sovranità ad un visione identitaria e di destra, il concetto di sovranità alimentare non deriva dai governi o da saperi accademici, ma dai movimenti di contadini; compare infatti nel Manifesto del 1996 redatto a Roma dai rappresentanti delle loro maggiori organizzazioni popolari in senso nettamente antiliberista e anticapitalista.

I documenti più importanti che hanno approfondito e diffuso il concetto sono, dopo la Dichiarazione di Via Campesina del novembre 1996, la Dichiarazione di Atitlàn della Consulta  globale dei popoli indigeni sul diritto al cibo (aprile 2002) e la Dichiarazione di Nyéléni del Forum sulla  sovranità alimentare (Mali, febbraio 2007).

Nell’ambito dell’ONU agenzie come la FAO promuovono il diritto al cibo incentrandosi sulla “sicurezza alimentare”. Con ciò si intende la salubrità dei prodotti l’accesso al cibo in quantità e qualità adeguata per la salute delle persone. La sovranità alimentare va oltre: oltre alla integrità igenico-sanitaria del cibo, in una quantità sufficiente da sconfiggere la denutrizione, e l’accesso ad esso, prevede delle modalità produttive che siano liberamente scelte, socialmente inclusive, ambientalmente sostenibili, e culturalmente adeguate. In altre parole il focus si sposta includendo oltre ai consumatori, i contadini, che dovrebbero essere liberi di scegliere i prodotti ed i metodi della coltivazione. Leggiamo un passo saliente della  Dichiarazione di Nyéléni:

La sovranità alimentare è il diritto delle persone a un cibo appropriato dal punto di vista culturale e della salute prodotto attraverso metodi ecologicamente sani e sostenibili, nonché il loro diritto a definire i loro propri sistemi agricoli e alimentari. Difende gli interessi e l’inserimento delle generazioni future. Offre una strategia per resistere e smantellare l’attuale commercio aziendale e il regime alimentare, e una direzione per i sistemi di alimentazione, agricoltura, allevamento e pesca stabiliti dai produttori locali. La sovranità alimentare concede priorità alle economie locali e nazionali, incoraggiando il lancio sul mercato di un’agricoltura guidata da famiglie di contadini e agricoltori, della pesca artigianale e degli allevamenti al pascolo nonché la produzione, distribuzione e consumo di cibo basati sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica. La sovranità alimentare promuove il commercio trasparente che garantisca un giusto reddito a tutte le persone e il diritto dei consumatori di controllare il loro cibo e la loro nutrizione. Assicura che i diritti d usare e sfruttare le nostre terre, acque, semenze, bestiame e biodiversità siano nelle mani di chi di noi produce il cibo. La sovranità alimentare implica nuove relazioni sociali libere dall’oppressione e dall’ineguaglianza tra uomini e donne, popoli, gruppi razziali, classi sociali e generazioni.

Si tratta quindi di rivendicazioni di movimenti di base opposti all’agrobusiness, definendo una griglia di valori opposti fra due logiche profonde riguardo l’agricoltura e il cibo; una tecnologica, improntata al mercato globale e dai giganti commerciali che di fatto lo dominano, e l’altra, più attenta ai piccoli coltivatori, alle reti di distribuzione locali, le cui caratteristiche possono essere schematizzate come segue:

Sovranità alimentare o sudditanza?

Alcuni commentatori hanno cercato di rifugiarsi in un vecchio trucco: sono cose, si dice, che hanno un senso nei paesi poveri, ma non in quelli più industrializzati. L’obiezione è superficiale, e dovrebbero parlare con realtà quala la Associazione Semi Rurali per capire quanto ci sia bisogno anche in Europa di tenere a bada un modello agricolo incentrato sul profitto a scapito della salute che peraltro determina una concentrazione crescente della terra in poche mani, e che è inserito nelle filiere globali del biotech.

Ma allora tutto bene? Dobbiamo gioire per la nuova denominazione del dicastero interessato? La risposta è: dipende. Sicuramente sarebbe più adeguata la reazione di farsi scippare una denominazione prestigiosa che uno sterile sfottò che pare un pessimo inizio per una opposizione efficace e autorevole. Ma andando sul concreto alcuni segnali già ci sono: negativi.

Uno dei capitoli delle lotte è stata quella contro gli OGM, punta di diamante del paradigma biotech decisamente sospetto alla cittadinanza.

In una delle comunicazioni diplomatiche divulgate da Wikileaks spunta il nome di Gianni Alemanno. Nel 2003 l’ambasciatore Usa riferiva nella sua corrispondenza di aver fatto pressioni contro l’atteggiamento avverso del Governo verso gli OGM. Alemanno era all’epoca ministro dell’agricoltura e si apprestava a mettere mano ad una normativa fortemente restrittiva in merito. Che alla fine venne varata. L’allora ministro spiegava all’ambasciatore Usa (fortemente recettivo dei desiderata del biotech Usa) che la pressione del settore, delle più forti associazioni di categoria era troppo forte; negava di essere personalmente preoccupato di danni sul piano della salute per gli OGM, ma avvertiva che presso il grande pubblico essi venivano visti come contrari alla qualità del cibo, adducendo anche le manifestazioni pubbliche in materia contro Monsanto – a dispetto di coloro secondo i quali le mobilitazioni di piazza e le correnti di opinione non incidono sulle scelte dei governi. La corrispondenza diplomatica ragionava su come cooptare altri membri del governo Berlusconi e lo stesso premier come alleati pro-OGM, stigmatizzando il successo di Alemanno nello stabilire alleanze trasversali con governatori di regioni e la sua influenza nel suo partito (Alleanza Nazionale).

Ma nel 2022 si è verificato il tentativo di reintrodurre una legislazione più favorevole agli OGM con la scusa della guerra in Ucraina; la interruzione di esportazioni alimentari comporterebbe la necessità di aprire le porte a nuove forme biotech, nonostante le ricadute dirette sull’Europa occidentale (al contrario che per diversi paesi africani e asiatici) e sull’Italia siano scarse. Il problema è che fra i firmatari di tali mozioni (risalenti a marzo-aprile scorso: mozione 100629 del 19 aprile 2022 alla Camera) si rinvengono tanto la neopremier Giorgia Meloni che il neoministro Francesco Lollobrigida.

La mozione è stata votata favorevolmente da tutti i partiti presenti, con 380 voti a favore e solo 13 contro.

Cosa ne dobbiamo concludere? Ovviamente dovranno essere gli atti concreti a far maturare un giudizio sull’operato del nuovo ministro. Per ora vediamo che la nuova maggioranza propone un nome altisonante ma il suo partito guida aveva proposto (o meglio, riformulato) una mozione in senso nettamente contrario ad esso, avallata da una versione di ampia maggioranza a trazione meloniana anziché draghiana; dall’altra parte l’opposizione se ne esce con polemiche di carattere espressivo-terminologico, denotanti una buona dose di ignoranza, dopo essersi allineata nella union sacrée ancora saldamente nell’orbita di Draghi, sul punto concreto. Speriamo che non debbano farci rimpiangere Alemanno.

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