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Riforme che diventano controriforme: il caso della pubblica amministrazione
Si parla di riformare la P.A., ma cosa si cela dietro a questi intenti riformatori che in realtà di riformatore hanno ben poco?
Quando si insedia un governo si inizia a parlare di riforme, anche se poi l’operato di tanti ministri non va oltre la mera continuità con i predecessori; solo con il senno di poi e con una analisi oggettiva della realtà possiamo valutare se il cambiamento rispetto al passato sarà stato sostanziale o solo di forma. Di solito i cosiddetti “riformatori” vogliono distinguersi tanto dai rivoluzionari quanto dai conservatori, intendendo proporsi nella veste di innovatori dentro le istituzioni e l’ordinamento politico. I riformatori sono genericamente moderati e mossi dai poteri forti o dalle lobby, non è casuale parlare del potenziamento di sanità e istruzione privata dietro agli interventi degli ultimi 20 anni, in quanto queste realtà si sono decisamente rafforzate a discapito delle strutture pubbliche. Se guardiamo agli ultimi anni, alcuni interventi riformatori non andrebbero tuttavia definiti tali perché la portata dei cambiamenti è stata minima, eppure vantarsi di una opera riformatrice è importante agli occhi della pubblica opinione e dell’elettorato che si attende tangibili cambiamenti. Nel settore della istruzione possiamo attribuire al ministro Gelmini un intento “riformatore”, visti gli effetti di controriforma, avendo investito la scuola di ogni ordine e grado (ad esempio il ritorno al maestro unico alle elementari). Per farsi una idea di quanto sosteniamo si rinvia alla cassetta degli attrezzi dei Cobas scuola di qualche anno fa. Perchè parliamo di “riforme”? Per un semplice motivo, dietro ad ogni conservatorismo si cela una parvenza democratica e riformatrice, nessuno o quasi vuole essere identificato con qualche oscuro burocrate. Prendiamo il caso della pubblica amministrazione: il penultimo ministro Brunetta ha deciso, in accordo con Draghi, di assumere figure professionali specializzate per l’attuazione del PNRR; ha prima avversato lo smart working per poi scendere a compromessi. Quanti progetti previsti dal Piano sono in fase di attuazione? Sarebbe utile saperlo anche per conoscere il fattivo contributo della P.A. Un intento riformatore degno di nota sarebbe stato quello di non sventolare la sua digitalizzazione ma di acquistare strumenti di lavoro moderni ed efficienti con percorsi formativi e di aggiornamento per i quali, in Italia, si spende meno che in ogni altro paese della Ue. Sventolare Riforme senza attuarle veramente…. Il pubblico impiego per nove lunghi anni ha visto il sostanziale blocco delle assunzioni e della contrattazione nazionale e decentrata (e con zero aumenti in busta paga); sono migliaia i posti perduti e il ricambio generazionale sta arrivando oggi con anni di ritardo e la riapertura dei concorsi si scontra con i tetti di spesa imposti dalla Ue. E sempre in questi anni i salari pubblici italiani hanno perso potere di acquisto più dei settori privati, i bassi stipendi e gli obblighi di fedeltà aziendale restano ostacoli reali per rendere attrattivo quello che un tempo era definito il lavoro sicuro. Parte dei posti di lavoro perduti è stata rimpiazzata dagli appalti, una forza lavoro sovente con contratti part time e generalmente sfavorevoli. Ma sovente il lavoro svolto prima da due dipendenti pubblici oggi ricade su una sola unità. Un intento riformatore non dovrebbe rimettere in discussione i tetti di spesa imposti da Bruxelles? Noi pensiamo di sì ma tutti, ministri, partiti e sindacati rappresentativi si muovono nell’alveo delle compatibilità di bilancio costruite per ridurre la spesa di personale. I rinnovi contrattuali hanno cambiato i profili professionali o piuttosto li hanno semplicemente ridefiniti con altro nome? Noi pensiamo che un intento riformatore avrebbe dovuto eliminare la fascia più bassa ad esempio che invece è rimasta al suo posto, E il sistema di reclutamento nella P.A? La apertura è avvenuta rispetto ad alcuni profili per i quali occorre la iscrizione ad un ordine professionale, anche in questo ambito la subordinazione del pubblico rispetto al privato è evidente.
E un intervento riformatore avrebbe dovuto mettere mano alla performance mentre il governo Meloni sta rilanciando le esternazioni sul presunto merito. La sfida per alcuni è quella di bandire concorsi per attrarre profili nuovi nella P.A. quando invece mancano i numeri sufficienti per gestire gli attuali servizi con personale tecnico ed amministrativo. Mancano le maestre e le educatrici per scuole dell’infanzia e asili nido? Se non sarà possibile assumerle con i Piani occupazionali seguiremo la strada della esternalizzazione.
E in assenza di organici diventerà scontato esternalizzare alcuni servizi per cui torneranno ad agitarsi gli spettri delle privatizzazioni che hanno affossato i servizi pubblici. Si parla di mettere a disposizione degli enti nuovi strumenti per rilanciare le politiche delle risorse umane. In realtà le risorse umane dovrebbero avvalersi di una facoltà di assunzione maggiore di quella oggi esistente; qui ritornano in gioco i tetti di spesa e le politiche di austerità che questo Esecutivo non intende affrontare. E i cosiddetti spazi di innovazione? Dovrebbero scaturire da una idea nuova del servizio pubblico, da parte nostra pensiamo che dovremmo ripensare ai tanti settori privatizzati e oggi gestiti dal privato sociale o da appalti costruiti con il massimo risparmio ma anche di questo non si parla. Ma reinternalizzare i servizi non rientra nell’agenda politica governativa e nemmeno nelle richieste dei sindacati rappresentativi.
Al contrario si torna ad invocare la flessibilità del lavoro, la centralità della contrattazione integrativa tra deroghe al contratto nazionale e decisioni discutibili che in sostanza divideranno ulteriormente lavoratori e lavoratrici, ad esempio il Fondo salario accessorio per la contrattazione decentrata/integrativa distribuisce risorse per il pubblico impiego con modalità distorsive, con esso vengono pagate indennità (forme di surplus stipendiale per funzioni e compiti specifici) costruite ad arte per alcuni ma da finanziare con i soldi di tutti. Si dividerà la forza lavoro in base al giudizio della performance relativo all’esborso ulteriore, indebolendone il potere di acquisto e di contrattazione.
Un intervento riformatore dovrebbe invece partire da delle considerazioni preliminari: come potenziare i servizi pubblici rendendoli efficienti e realmente competitivi? Per farlo dovremmo dire con estrema chiarezza che gli interventi non saranno funzionali a qualche ordine professionale o a processi di privatizzazione e di contenimento della spesa.
Se guardiamo poi ai contratti si capisce che i veri intenti sono regressivi e non riformatori, non aumentano ad esempio le materie oggetto di contrattazione, troppi spazi vengono lasciati al datore di lavoro e alla sua autonomia in materia di organizzazione.
Sarà per queste ragioni che oggi in ambito confindustriale si parla di una pubblica amministrazione che sappia rispondere alla collettività e non ai bisogni del personale; sarebbe utile, anzi indispensabile, partire allora dai reali bisogni della cittadinanza che invoca la fine delle liste di attesa in sanità e un accesso generalizzato ai servizi.
L’intento del Governo attuale, e di quello precedente, resta sempre lo stesso, ossia piegare la P.A. al privato e per farlo viene investita direttamente anche la contrattazione sindacale tra aumenti al di sotto del costo della vita, il fatidico codice Ipca, e troppe deroghe al CCNL. Il ruolo dei sindacati diventa tipicamente ragionieristico e di cogestione con gli Enti nella attribuzione, con i soldi di tutti, di alcuni istituti contrattuali destinati ai “meritevoli”.
Se qualcuno pensa che il futuro della Pa sia quello di favorire i meritevoli dovrebbe prima fare i conti con la performance, non limitarne la portata quando si tratterà di parlare di progressioni di carriera. Eliminare il cosiddetto merito sarebbe allora un reale intervento riformatore visti i danni recati da questa infatuazione neoliberista.
Al contrario si torna a parlare di modelli di produzione dei servizi funzionali alle richieste del mercato, di rilancio della tecnologia in Enti nei quali i pc in dotazione sono vecchi di 15 anni e non riescono a supportare i nuovi programmi.
Se vogliamo parlare di riforme facciamolo ma anteponendo obiettivi ragionati, e in controtendenza rispetto al passato, ai diktat confindustriali.
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