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Microcosmi


1 Dic , 2022|
| 2022 | Recensioni

Ilaria Palomba, già autrice delle sillogi Mancanza, Deserto e Città metafisiche, torna ora con la raccolta Microcosmi, edita da Ensemble. Quella della poetessa barese è una produzione notevole sia per quantità che per qualità: già vincitrice del ControPremio Carver 2015 e del Premio Nabokov 2015 per il suo romanzo “Homo Homini virus”, ora questa nuova raccolta le è valsa una menzione d’onore al Premio Semeria Casinò di Sanremo. Autrice coltissima, la Palomba: i riferimenti culturali, in questa nuova silloge, spaziano da Alejandra Pizarnik e Schubert, menzionati esplicitamente, ai più impliciti riferimenti classici (si veda, a titolo esemplificativo l’uso erudito ed efficace dell’aggettivo stigio). Innanzitutto, per sgombrare il campo da eventuali equivoci interpretativi, occorre dire che i microcosmi che danno il titolo all’opera non sono da ricercare all’esterno, nel marasma che compone l’universo, ma probabilmente nell’interiorità della poetessa: isolando versi come “io sono abitata da diecimila / demoni di diecimila mondi / di diecimila parti di me e di / te” è possibile, per il lettore, cogliere indizi di una simile chiave interpretativa. È in questa nuova raccolta, tuttavia, più ancora che nelle precedenti, che l’autrice sembra prendere veramente coscienza della potenza evocativa insita nella parola poetica. Ilaria Palomba ne intuisce la portata rivoluzionaria,al punto da far divenire l’ars poetica una motivazione esistenziale, grazie alla capacità che la parola poetica ha di esprimere e rivelare l’indicibile. Lo si comprende bene già leggendo le sue prime poesie, dove Palomba scrive “adesso / non ho nulla da attendere, se non la parola / esatta per dire la tonalità di questa luce che / non ho raccolto e che continua, numinosa e cieca, / a iridare il tuo volto, a scinderlo”. Al centro di questo componimento – e di, riflesso, di tutta la raccolta e della vita stessa di ogni Poeta per antonomasia – si colloca la ricerca spasmodica della parola esatta, precisa, smussata, quella che più si avvicina all’espressione dell’Ineffabile, della luce divina che si svela e rende iridescente il volto dell’Altro.

Non è solo la luce a svelarsi, ma anche l’anima della poetessa, che si consegna generosamente ai suoi lettori attraverso le 3 sezioni di questa raccolta, Gravità, Interludio e Levità, in un percorso di ricerca spirituale dall’alto verso il basso e di ascetico e progressivo alleggerimento del sé – come i titoli delle singole sezioni sembrano suggerire – in cui, gradualmente, la tensione drammatica si stempera senza per questo perdere di intensità emotiva.  Fisica e metafisica si alternano e si compenetrano, determinando una scissione strutturale, ma soprattutto emotiva, all’interno della raccolta. Così, un afflato metafisico si dispiega lungo tutta la prima sezione. Il mondo tangibile, i sensi non sembrano soddisfare la sensibilità poetica dell’autrice, che avverte il bisogno di andare oltre (appunto, oltre la fisica). Novella Cassandra, Ilaria Palomba denuncia la deriva razionalistica e positivistica di un’umanità disumanizzata, con versi decisi e folgoranti, illuminanti, in cui persino i bambini “corrono, urlano ma a scatti meccanici” e in cui “Non esiste uomo che sia ancora persona, burattini, bagatti, adoranti del vuoto”. La poetessa ci restituisce, quindi, il quadro di un’umanità robotizzata, alienata, risucchiata da meccanismi quotidiani in cui risulta imbrigliata, incapace e incurante di sollevare lo sguardo verso il cielo, un’umanità di “ebeti, / prede asteniche di vanoloqui fatui”. E allora, rebus sic stantibus, a che cosa è valso ricercare ossessivamente il progresso, se questo si è tradotto solo in un inaridimento collettivo? “Perché uscire dalla caverna, per vedere la macchina? Cosa credevamo di trovare uscendo?”, si arrovella filosoficamente la Palomba. E si dà una risposta, laconica al punto giusto: “Questa vita senza suono”.

Al caos interiore e universale delle liriche che compongono la prima parte, fa da contraltare, nella seconda parte, il richiamo di concetti e termini propri del mondo della fisica, con le sue leggi e i suoi meccanismi precisi e indiscutibili. In queste liriche – più brevi ed epigrammatiche – la parola si fa più rarefatta, più incisiva e, al tempo stesso più cerebrale e modulata. Più consapevole di sé e del proprio mondo interiore, nelle battute finali dei suoi Microcosmi, l’autrice prende le misure, studia attentamente ogni parola prima di scagliare i suoi strali poetici e centrare il bersaglio. Procedendo nella lettura, si ha quasi la sensazione che la “fantasia” poetica squarci la pagina, materializzandosi epifanicamente davanti agli occhi del lettore e prendendo forma nella realtà fenomenica, diventando mano a mano sempre più “materica” e sempre meno evanescente. Ma è il dolore il tema predominante all’interno della raccolta, il dolore di un’anima fragile e ripiegata su se stessa, in cerca di uno sguardo d’amore e di bene che dia conferma e legittimazione della propria esistenza. La frammentazione emotiva che l’io lirico sperimenta si estrinseca in versi che suggeriscono disgregazione, corruzione, dissoluzione, putrescenza. Tuttavia, è un io lirico che non sembra voler soccombere ai colpi potenzialmente mortali che gli vengono inferti, ma che reagisce cercando di far sentire la propria voce, a dispetto del fatto che “non mi hanno mai scelta, mai premiata, mi hanno bastonato, abbandonata”. Ed è così che la poesia diventa una forma di riscatto, un urlo che squarcia ossimoricamente il silenzio dell’indifferenza, che si estende a dismisura e assume valore universale, evocando e dando voce, con la forza della disperazione, agli spettri di “donne sepolte / nelle ere”.

La follia di un’autrice così giovane e al tempo stesso già così lucida e affermata consiste, per sua stessa ammissione, nel pretendere un mondo all’altezza della sua immaginazione: ed è per questo che, chiunque avverta che a profilarsi all’orizzonte è un mondo nuovo ai limiti del distopico, in cui non sembra esserci spazio per la creatività umana, può scegliere come scialuppa di salvataggio la poesia di Ilaria Palomba. È lì, tra le pieghe del suo universo interiore, che si nasconde il rimedio a una “vita senza suono”.

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