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Il Governo italiano nazionalizza Lukoil ma “la musica non cambia”


7 Dic , 2022|
| 2022 | Visioni

Come noto, mediante l’adozione di un decreto-legge, nella giornata di ieri, il Governo italiano ha deciso di rilevare ‘temporaneamente’ la raffineria russa Lukoil operante a Priolo, in Sicilia, per evitare delle ripercussioni economiche, produttive e sociali ingenti.

A questo proposito, gli effetti imminenti dell’embargo (a partire dal 6 dicembre) sul petrolio russo avrebbero comportato il serio rischio di esodo di diecimila lavoratori, l’arresto improvviso dell’attività posta in essere dalla raffineria e la mancata fornitura degli approvvigionamenti necessari. Il decreto-legge adottato dall’esecutivo guidato dalla Meloni ha fatto espresso richiamo ai “poteri speciali” riconosciuti dalla legge sul golden power allo Stato, in particolare al fine di tutelare l’interesse nazionale nei settori produttivi strategici con una procedura di amministrazione temporanea. Il che costituisce, senza ombra di dubbio, una misura fondamentale volta a salvaguardare il superiore interesse della Nazione e dei suoi cittadini.

Tuttavia, se da un lato la decisione politica è da accogliere con sicuro favore per gli inconvenienti scongiurati, d’altro lato esso presenta elementi privi di segnali di discontinuità dell’attuale Governo con i suoi predecessori, nonostante le apparenti e declamate divergenze di vedute. Divergenze che non emergono, a quanto pare, in materia di strategia economica, che ricalca esattamente le tesi e i desiderata dell’ortodossia neoliberale.

Infatti, secondo questi ultimi, lo Stato interviene per limitarsi a predisporre le regole necessarie ad assicurare il corretto funzionamento del mercato concorrenziale e, in casi di extrema ratio, a intervenire con propri capitali per salvare il mercato stesso e socializzare così le perdite, mediante un ambiguo meccanismo di solidarietà. È questo lo scenario nel quale pare si innesti la decisione del Governo italiano. In merito, come si evince dallo stesso provvedimento, la nazionalizzazione è di durata ‘temporanea’ (nella fattispecie di dodici mesi prorogabile una sola volta), ovvero per il tempo occorrente a individuare un nuovo acquirente privato disposto ad aggiudicarsi la raffineria alla prima occasione utile. Dunque, niente di diverso rispetto al passato, si pensi ai noti e precedenti interventi di salvataggio compiuti, ex Ilva e Alitalia su tutti. Frequenti iniezioni di capitali pubblici, anche ingenti, ma mai veri e propri provvedimenti di nazionalizzazione e un pieno ed effettivo controllo esercitato dallo Stato in attività ritenute rilevanti e strategiche per l’interesse pubblico. Sul punto, è pacifica la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea in materia di divieto di aiuti di Stato, nonostante alcune e recenti deroghe approvate. Anche queste, concepite sempre in via eccezionale e temporanea ed esperite solo a causa della pandemia e della crisi energetica.

In linea con quanto esposto, è possibile sostenere che il provvedimento del Governo sia volto a salvaguardare l’interesse nazionale in via provvisoria e perché suddetto interesse corrisponde, probabilmente, all’interesse del mercato. Un classico esempio di come si continui a trasformare e a identificare le leggi del mercato con le leggi dello Stato (l’espressione è di A. Somma). Ne consegue che il Governo Meloni non sia ancora disponibile a rivedere – né tantomeno a mettere in discussione – i paradigmi neoliberali, a oggi, imperanti. Anzi, sovente lo stesso partito di maggioranza relativa, in passato, si è erto a strenuo difensore di quei paradigmi, come nel caso della linea dura tenuta a difesa del pareggio (rectius: equilibrio) di bilancio.

In altri termini, il Governo ha espressamente precisato che l’intervento economico è sì volto alla salvaguardia dell’interesse nazionale, ma è pur sempre di natura provvisoria. Infatti, il programma prospettato è che lo Stato esca dalla compagine azionaria e gestionale dell’impresa non appena giungerà un’offerta considerata congrua e soddisfacente. Per questa ragione, non è difficile immaginare che l’intera attività – e di riflesso l’interesse nazionale de quo – passerà nuovamente sotto il controllo privato.

Sintomo di come la “musica” sia tutt’altro che cambiata.    

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