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Decifrare la nuova crisi energetica


15 Dic , 2022|
| 2022 | Visioni

Nel 2005, l’economia mondiale stava espandendosi ed il consumo energetico globale pro capite era cresciuto all’incirca del 2,3% annuo nel periodo 2001-2005. La Cina era stata ammessa nell’Organizzazione mondiale del commercio internazionale nel dicembre 2001, aumentando, da quel momento, la domanda nazionale di tutti i tipi di combustibili fossili. Nel periodo si è inoltre manifestata una bolla del mercato immobiliare statunitense, innescata dai bassi tassi di interesse e dall’allentamento degli standard di merito creditizio.

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Figura 1. Consumo mondiale di energia primaria pro capite sulla base dei dati della Statistical Review of World Energy di BP del 2022.

Nel 2005, come nella situazione odierna, il problema era l’inflazione legata ai costi dell’energia che stavano “spingendo” l’inflazione più in generale. L’inflazione dei prezzi dei prodotti alimentari era divenuta, in particolare, problematica. In quell’occasione la Federal Reserve ha scelto di risolvere la questione aumentando il tasso di interesse sui Fed Funds: dall’1,00% al 5,25% tra il 30 giugno 2004 e il 30 giugno 2006 .

Oggi, il mondo sta affrontando un problema molto diverso: è vero che i prezzi dell’energia, in rapida crescita, si ripercuotono nuovamente, come allora, sui prezzi dei prodotti alimentari e sull’inflazione in generale. Tuttavia, la tendenza di fondo nel consumo di energia è assai differente. Il tasso di crescita del consumo pro capite mondiale di energia sembra essere infatti passato – in base ai dati disponibili – dal 2,3% annuo del periodo 2001/2005 a meno 0,4% annuo del 2017/2021 e l’economia globale appare sempre di più sull’orlo della recessione imminente.

Nonostante ciò la Federal Reserve sembra aver deciso, riguardo ai tassi di interesse, di utilizzare oggi un approccio analogo a quello del periodo intorno al 2005: insomma, la stessa linea in circostanze molto diverse. Di seguito una serie di punti per i quali si ritiene che questo approccio non produrrà, sfortunatamente, il risultato desiderato:

Gli aumenti dei tassi di interesse ufficiali dal 2004 al 2006 non hanno coinciso con un successivo calo dei prezzi del petrolio, almeno sino a dopo il luglio 2008.

È più facile verificare l’impatto (o, meglio, la sua mancanza) dell’aumento dei tassi di interesse ufficiali considerando i prezzi mondiali medi mensili del petrolio (non quelli puntuali giornalieri):

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Figura 2. Prezzi spot medi mensili del petrolio Brent. Dati della US Energy Information Administration (l’ultimo mese mostrato è luglio 2022).

La Federal Reserve, nell’episodio precedente, aveva iniziato ad alzare i tassi di interesse obiettivo dal giugno 2004, quando il prezzo medio del petrolio Brent era di soli 38,22 dollari al barile. I tassi di interesse hanno smesso di salire alla fine di giugno 2006, con i prezzi medi del petrolio intorno ai 68,56 dollari al barile. I prezzi del petrolio hanno alla fine raggiunto i 132,72 dollari al barile nel luglio 2008 (in USD a prezzi correnti, non aggiustati per l’inflazione).

Sulla base della figura 2 e della tempistica dell’aumento dei tassi di interesse ufficiali pare lecito concludere che l’aumento dei tassi di interesse non ha funzionato molto bene: non è riuscito a ridurre/contenere il prezzo del petrolio quando si è provato a farlo nel 2004-2006. Il punto è che allora l’economia stava crescendo rapidamente e la rapida crescita economica è probabilmente il fattore che ha portato all’assai elevato prezzo del petrolio raggiunto a metà 2008.

Appare quindi più che legittimo attendersi che il risultato dell’attuale aumento dei tassi di interesse ufficiali della Federal Reserve, in un’economia mondiale a bassa crescita, possa essere assai diverso: il rischio maggiore è che la bolla del debito globale (vedi dati IIF) alla fine detoni, portando a una situazione ben peggiore rispetto alla crisi finanziaria del 2008. Indirettamente, sia i prezzi degli assetti finanziari e reali sia quelli delle materie prime – compresi i prezzi del petrolio – tenderebbero a scendere verso livelli assai bassi.

Gli analisti del settore energetico tendono a non cogliere la naturale interconnessione dell’economia globale. I fattori che gli analisti dell’energy trascurano (in particolare il debito che diventa impossibile da rimborsare, con l’aumento dei tassi di interesse) possono portare a un risultato praticamente opposto alle loro deduzioni: la convinzione tipica degli analisti energetici è che una scarsa offerta di petrolio porterà a prezzi molto alti e a una maggiore produzione di petrolio. Nella situazione attuale, appare invece probabile che il risultato possa avicinarsi alla situazione opposta: i prezzi del petrolio scenderanno a causa dei problemi finanziari causati dai tassi di interesse più elevati, e prezzi del petrolio più bassi – denotando un “business meno conveniente” – porteranno, in futuro, a una produzione di petrolio ancora più bassa.

Lo scopo dell’aumento dei tassi di interesse target da parte della Federal Reserve statunitense era quello di appiattire il tasso di crescita dell’economia mondiale. Il punto è che osservando la Figura 1 precedente, la crescita del consumo di energia pro capite si è ridotta assai a partire dalla Grande Recessione. Dubito che oggi – nel 2022 – si desideri (e sia desiderabile) un tasso di crescita ancora più basso (sarebbe, in realtà, più una “contrazione”) del consumo di energia pro capite per gli anni futuri (*).

Dalla fig.1 è possibile verificare come la crescita del consumo di energia pro capite sia stata molto lenta più lenta a partire dalla Grande Recessione. Ci si può quindi chiedere: Qual è lo scopo dei governi e delle (loro) banche centrali nello spingere verso il basso l’economia mondiale quando essa è oggi già a malapena in grado di far funzionare le linee di approvvigionamento internazionali e, tra l’altro, fornire abbastanza diesel per tutti i camion e le attrezzature agricole in giro per il mondo?

Se ora l’economia mondiale viene frenata (bruscamente), quale sarà il risultato? Alcuni paesi si ritroveranno nell’impossibilità di permettersi forniture adeguate di prodotti energetici fossili nel prossimo futuro? Con conseguenti seri problemi sia nella coltivazione che nel trasporto del cibo, almeno nel caso di questi paesi. Il mondo intero soffrirebbe di una grave crisi di qualche tipo, come una crisi finanziaria? L’economia mondiale è un sistema che si auto-organizza, risulta quindi assai difficile prevedere con precisione come si evolverà la situazione ma non è difficile intuire che non andrà a finire bene.

Nonostante il tasso di crescita del consumo pro capite di energia si sia ridotto sensibilmente dopo il 2008, il prezzo del greggio è comunque rapidamente rimbalzato ad oltre $ 120 al barile (prezzi corretti per l’inflazione) nel periodo 2011-2013.

La Figura 3 mostra che i prezzi del petrolio sono immediatamente rimbalzati dopo la Grande Recessione del 2008-2009. Il Quantitative Easing (QE), avviato dalla Federal Reserve USA alla fine del 2008, ha permesso ai prezzi delle materie prime energy (fossili) di tornare a salire. Ha infatti contribuito a mantenere basso il costo del finanziamento per i governi, consentendo ad essi di perseguire deficit di bilancio maggiori rispetto a quanto sarebbe stato altrimenti possibile. I disavanzi più elevati hanno, direttamente (spesa pubblica) ed indirettamente, fatto crescere la domanda di materie prime di tutti i tipi, incluso il petrolio, spingendo, così, in alto i corsi di mercato.

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Figura 3. Prezzi medi annui del petrolio corretti per l’inflazione sulla base dei dati della Statistical Review of World Energy di BP del 2022. Gli importi indicati sono prezzi spot equivalenti al Brent.

Il grafico precedente include i prezzi medi annui del petrolio Brent fino al 2021 ma non quelli del 2022: il prezzo del petrolio Brent si aggira attualmente intorno ai 90 $ al barile. I prezzi del petrolio, quindi, sono leggermente più alti di quanto non lo siano stati nel recente passato. Tuttavia non sono neppure lontanamente vicini ai livelli raggiunti nel periodo 2011-2013 od alla fine degli anni ’70. La reazione estrema che stiamo osservando appare strana: il problema sembra riguardare molto di più i prezzi del petrolio “di per sé”.

I prezzi elevati nel periodo 2006-2013 hanno consentito di aumentare la produzione “non convenzionale” di petrolio ed hanno anche contribuito ad evitare che la produzione di petrolio “convenzionale” diminuisse a partire dal 2006.

È difficile trovare dati di dettaglio sulla quantità prodotta di petrolio cd. “non convenzionale”. Alcuni paesi sono però conosciuti per la rilevanza della loro produzione di petrolio non convenzionale: gli USA, ad esempio, sono divenuti i leader nell’estrazione di “tight oil” dalle formazioni di scisto. Il Canada produce anch’esso un po’ di “tight oil”, ma estrae anche molto petrolio, assai pesante, dalle sabbie bituminose. Il Venezuela produce un diverso tipo di petrolio molto pesante. Il Brasile produce petrolio greggio estratto sotto lo strato salino dell’oceano. Tutti i tipi di estrazione “non convenzionale” tendono però generalmente ad essere particolarmente costosi.

La figura 4 mostra la produzione mondiale di petrolio per varie combinazioni di paesi. La linea superiore rappresenta la produzione mondiale totale di greggio. La linea grigia inferiore approssima la produzione mondiale totale di petrolio convenzionale. La produzione di petrolio non convenzionale è in aumento soprattutto dal 2010 (l’approssimazione grafica è quindi migliore per gli anni 2010 e successivi rispetto a quelli precedenti).

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Figura 4. Produzione di petrolio greggio sulla base dei dati internazionali della US Energy Information Administration. Le righe più in basso sottraggono l’intero importo della produzione di greggio e condensato per i paesi elencati. Questi paesi hanno notevoli quantità di produzione di petrolio non convenzionale, ma possono anche avere una produzione convenzionale.

Da questo grafico, sembra che la produzione mondiale di petrolio convenzionale si sia stabilizzata dopo il 2005. Diversi osservatori (spesso indicati come “Peak Oilers”) si preoccupavano che la produzione di petrolio convenzionale avrebbe appunto raggiunto un picco, iniziando a diminuire, a partire da poco dopo il 2005.

La cosa che sembra aver impedito alla produzione di greggio di diminuire dopo il 2005 è il forte aumento dei prezzi petroliferi nel periodo 2004-2008. La Figura 3 mostra che i prezzi del petrolio erano piuttosto bassi tra il 1986 e il 2003. Quando hanno iniziato a salire nel 2004 e nel 2005, le compagnie petrolifere si sono rese conto di avere entrate sufficientemente elevate da permettersi l’adozione di tecniche di estrazione più intensive (e costose). Ciò ha consentito di estrarre di più dai giacimenti petroliferi convenzionali esistenti. Sfortunatamente, i rendimenti decrescenti hanno continuato a manifestarsi anche dopo l’adozione di tali tecniche più intensive e sono probabilmente una delle ragioni principali per cui la produzione di petrolio convenzionale ha iniziato a diminuire nel periodo 2019/2021.

Un modo migliore per analizzare la produzione mondiale di greggio è su base pro capite, visto che il fabbisogno mondiale di greggio dipende dalla popolazione mondiale.

Tutti nel mondo hanno bisogno del petrolio greggio: i suoi derivati vengono (tra l’altro) utilizzati sia in agricoltura che nel trasporto di merci di ogni tipo. Poiché la necessità di petrolio greggio aumenta con la crescita della popolazione risulta assai utile analizzare la produzione di petrolio greggio su base pro capite.

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Figura 5. Produzione di greggio pro capite basata sui dati internazionali per paese della US Energy Information Administration.

La figura 5 mostra che, su base pro capite, la produzione di petrolio greggio convenzionale (linea di fondo grigia) ha iniziato a diminuire dopo il 2005. È stato solo con l’aggiunta di petrolio non convenzionale che la produzione di petrolio greggio pro capite è potuta rimanere relativamente stabile tra il 2005 e il 2018 o il 2019.

Il petrolio non convenzionale, analizzato di per sé, sembra essere abbastanza sensibile al prezzo. Se dovunque i politici vogliono tenere bassi i prezzi del petrolio, il mondo non può contare sull’estrazione di gran parte dell’enorme quantità di risorse petrolifere non convenzionali che sembrerebbero essere invece disponibili.

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Figura 6. Produzione di petrolio greggio basata su dati internazionali per la US Energy Information Administration per ciascuno dei paesi mostrati.

Nella Figura 6, la produzione di petrolio greggio diminuisce nel 2016-2017 e anche nel 2020-2021. Sia il calo del 2016 che quello del 2020 sono legati ai prezzi bassi. I continui prezzi bassi nel 2017 e nel 2021 possono riflettere problemi di dimensionamento della produzione dopo un calo nel livello dei prezzi, oppure possono riflettere lo scetticismo sul fatto che i prezzi possano rimanere abbastanza alti da rendere redditizia l’estrazione sui livelli precedenti. Il Canada sembra aver registrato cali nella sua produzione di petrolio riconducibili ad entrambi i fattori citati.

Il Venezuela mostra invece uno schema diverso. Le informazioni dell’Energy Information Administration USA indicano che il paese ha iniziato ad avere grossi problemi una volta che il prezzo mondiale del petrolio ha iniziato a scendere nel 2014. So che gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni contro il Venezuela negli ultimi anni, ma mi sembra che queste sanzioni siano strettamente legati ai problemi del prezzo del petrolio in Venezuela. Se il petrolio molto pesante del Venezuela potesse davvero essere estratto con profitto, e i produttori di questo petrolio potessero essere tassati per fornire servizi al popolo venezuelano, il paese non avrebbe molti dei problemi che ha invece oggi. Il Venezuela ha probabilmente bisogno di un prezzo compreso tra $ 200 e $ 300 al barile per poter disporre di redditività sufficiente per l’estrazione oltre che di entrate fiscali adeguate.

La produzione di petrolio del Brasile sembra essere relativamente più stabile, ma la sua crescita è stata lenta. Ci sono voluti molti anni per portare la sua produzione fino a 2,9 milioni di barili al giorno. C’è anche una produzione di greggio “pre-salt” appena iniziata in Angola ed in altri paesi dell’Africa occidentale. Questo tipo di petrolio richiede un alto livello di competenza tecnica e risorse importate da tutto il mondo: quindi se il commercio mondiale vacilla, è probabile che vacilli anche questo tipo di produzione di petrolio.

Gran parte delle riserve petrolifere mondiali sono riserve petrolifere non convenzionali, di un tipo o dell’altro. Il fatto che l’aumento dei prezzi del petrolio sia un problema di primaria importanza per i cittadini/consumatori significa quindi che è improbabile che queste riserve non convenzionali vengano sfruttate. Di conseguenza è più probabile che, prima,  potremmo avere a che fare con forniture seriamente insufficienti di prodotti necessari al funzionamento delle nostre economie: in particolare, gasolio e carburante per aerei.

La ​​figura 1 precedente indica un calo del consumo di energia pro capite. Questo problema va oltre il petrolio: su base pro capite, anche il consumo di carbone e di energia nucleare stanno diminuendo.

Praticamente nessuno presta attenzione al consumo di carbone, il combustibile che ha permesso l’inizio della Rivoluzione Industriale. È ragionevole aspettarsi che visto che l’economia mondiale ha iniziato a utilizzare per primo il carbone, dovrebbe essere la prima fonte ad esaurirsi. La figura 7 seguente mostra come il consumo mondiale di carbone pro capite abbia raggiunto un picco nel 2011 e da allora abbia iniziato a diminuire:

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Figura 7. Consumo mondiale di carbone pro capite, basato sui dati della Statistical Review of World Energy di BP del 2022.

Molti di noi conoscono, probabilmente, la favola di Esopo “La volpe e l’uva: la storia racconta di una volpe che cerca di mangiare l’uva da una vite ma non riesce a raggiungere i grappoli. Piuttosto che ammettere la sconfitta, la volpe afferma perciò che l’uva è cattiva, non desiderabile (Fonte: Wikipedia). L’espressione ‘uva acerba’ prende origine proprio da questa favola.

Nel caso del carbone, ci viene detto che il carbone è indesiderabile perché è molto inquinante e fa aumentare i livelli di CO2. Questo è certamente vero, tuttavia il carbone è sempre stato, storicamente, un combustibile molto economico, e questo è abbastanza importante per le persone che acquistano carbone. Inoltre è facile da trasportare. Potrebbe essere utilizzato come combustibile invece di abbattere alberi, aiutando così gli ecosistemi locali. Tutti gli aspetti negativi del carbone sono sicuramente importanti e veri, ma è difficile trovare un sostituto economicamente adeguato.

La figura 8 mette in luce come anche l’energia nucleare mondiale prodotta pro capite stia diminuendo: la sua caduta si è stabilizzata a partire dal 2012, perché la Cina e poche altre “nazioni in via di sviluppo” hanno aggiunto capacità nucleare, mentre le nazioni sviluppate. specie in Europa, hanno continuato a dismettere le centrali nucleari esistenti.

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Figura 8. Consumo mondiale di elettricità nucleare pro capite, basato sui dati della Statistical Review of World Energy di BP del 2022. Gli importi si basano sulla quantità di combustibili fossili che questa elettricità dovrebbe teoricamente sostituire.

L’energia nucleare crea una certa confusione nel dibattito pubblico: gli esperti sembrano non essere d’accordo su quanto le centrali nucleari siano pericolose, specie a lungo termine. Una preoccupazione primaria riguarda, in particolare, il corretto smaltimento del combustibile esaurito dopo il suo utilizzo.

Il mondo sembra trovarsi in un momento difficile perché non abbiamo alcuna buona opzione per risolvere il problema del calo del consumo energetico pro capite, senza (ipotesi per assurdo) ridurre notevolmente la popolazione mondiale. Le due scelte che paiono disponibili sembrano entrambe molto più costose di quanto sia economicamente sopportabile.

Ci si presentano, infatti, due alternative apparentemente disponibili:

[A] Incoraggiare una produzione di combustibili fossili più grande attraverso prezzi dei combustibili fossili molto elevati. Con prezzi elevati, diciamo 300 dollari al barile per il petrolio, sarebbe disponibile molto più greggio non convenzionale in diverse parti del mondo. Sarebbe inoltre disponibile anche carbone non convenzionale, come quello che contenuto nei giacimenti in fondo al Mare del Nord. Con prezzi sufficientemente alti, la produzione di gas naturale potrebbe anch’essa aumentare. Gas naturale che potrebbe essere spedito, come gas naturale liquefatto (GNL), in tutto il mondo, anche se a caro prezzo. Inoltre, si potrebbero costruire molti impianti di trattamento, sia per il raffreddamento del gas naturale per consentirne la spedizione in tutto il mondo, sia per la rigassificazione, al suo arrivo a destinazione.

In questo scenario alternativo, i costi di produzione del cibo sarebbero però molto alti. Gran parte della popolazione mondiale dovrebbe lavorare nell’industria alimentare e nella produzione/spedizione di combustibili fossili. Con queste priorità, i cittadini non avrebbero tempo o denaro per la maggior parte delle cose che compriamo oggi. Probabilmente non potrebbero permettersi un veicolo o una bella casa. I governi dovrebbero ridursi di dimensione, con il risultato di popolazioni governate prevalentemente da un dittatore locale. I governi non avrebbero fondi sufficienti per strade o scuole. Le emissioni di CO2 sarebbero molto alte, anche se questo non sarebbe probabilmente il problema più serio.

[B] cercare di elettrificare tutto, compresa l’agricoltura, aumentando notevolmente l’utilizzo di energia eolica e solare. Il vento e il sole sono fonti energetiche intermittenti e la loro intermittenza non si adatta bene ai bisogni umani. uno dei bisogni primari è, in particolare, il riscaldamento invernale. L’energia solare è però disponibile prevalentemente in estate ed, attualmente – con la tecnologia ad oggi disponibile -, né l’energia solare né quella eolica possono essere efficientemente immagazzinate fino all’inverno. Si dovrebbe, peraltro, anche: a) spendere enormi quantità e risorse in linee di trasmissione elettrica e batterie per cercare di aggirare in qualche modo questi problemi; b) provare a trovare sostituti per i molti beni che i combustibili fossili contribuiscono – come componente essenziale – a fornirci oggi, comprese strade asfaltate e prodotti chimici usati in agricoltura ed in medicina.

L’energia idroelettrica è anch’essa una forma rinnovabile di generazione di elettricità. Non ci si può però aspettare che aumenti molto la sua disponibilità perché in gran parte è già stata sfruttata.

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Figura 9. Consumo mondiale di energia idroelettrica pro capite, basato sui dati della Statistical Review of World Energy di BP del 2022.

Inoltre, anche nel caso in cui venisse aumentata notevolmente la produzione di elettricità da eolico o solare, essa verosimilmente sarebbe comunque completamente inadeguata per cercare di far funzionare, da sola, qualsiasi tipo di economia. Come minimo, sarebbe probabilmente ancora necessario il gas naturale, spedito a costi molto elevati sotto forma di GNL, in tutto il mondo. Inoltre, sarebbe necessaria un’enorme quantità di batterie, che si scontra con una assodata scarsità di materiali per costruirle. Sarebbero poi necessarie enormi quantità di acciaio per realizzare nuove macchine elettriche per cercare di sostituire le attuali macchine a petrolio. Probabilmente sarebbe necessaria una transizione di almeno 50 anni, dubito quindi che questo secondo scenario alternativo sia ragionevolmente praticabile.

L’unico caso in cui questo scenario sarebbe praticabile, in tempi accettabili e con una certa affidabilità, è quello dell’adozione su larga scala di celle a combustione che utilizzino l’idrogeno, o meglio l’idrogeno verde. L’idrogeno verde può essere ottenuto utilizzando una grande quantità di energia rinnovabile a costo nullo o assai ridotto – solare, eolica o anche nucleare – per fare funzionare gli elettrolizzatori che lo devono produrre. Il punto è che mancano ancora – a meno di un salto tecnologico importante ed imminente – le infrastrutture di produzione diffuse ed adeguate, tali da raggiungere un volumi di combustibile prodotti economicamente ed in quantità tale da far funzionare un’economia di una certa dimensione.

Conclusione. La figura 1 sembra implicare che l’economia mondiale è destinata ad attraversare tempi difficili.

L’economia mondiale è un sistema che si auto-organizza, quindi non possiamo sapere con precisione quale forma prenderanno i cambiamenti nei prossimi anni. Ci si può aspettare che l’economia si contragga secondo uno schema irregolare, con alcune parti del mondo e alcune classi di cittadini, come i lavoratori contro gli anziani, che performano meglio di altre. I leader politici non ci diranno comunque mai che il mondo soffre di una scarsità strutturale d’energia. Invece ci ammoniranno, sottolineando quanto siano terribili i combustibili fossili, in modo che saremo felici che l’economia stia abbandonando il loro utilizzo. Non ci diranno mai quanto l’eolico intermittente e il solare siano insufficienti – o relativamente “poco utili” rispetto alle attese – per risolvere i problemi energetici di oggi a meno che non si trovi – e si apra operativamente – la strada per una produzione ed un utilizzo efficiente ed economico dell’Idrogeno verde su larga scala. 

Al contrario, ci porteranno a credere che il passaggio a veicoli alimentati da elettricità e batterie sia dietro l’angolo. Ci diranno che il peggior problema del mondo è il cambiamento climatico e che, lavorando insieme, possiamo abbandonare i combustibili fossili. Ancora una volta, l’intera situazione mi ricorda le favole di Esopo. Il sistema dà una “buona versione” di qualunque spaventoso cambiamento stia avvenendo. In questo modo, i leader politici possono convincere i propri cittadini che va tutto bene quando, in realtà, ciò non è vero.

Un quadro fosco direte! Una simile conclusione è però un errore, una mancanza di prospettiva e sintomo di una scarsa attenzione ai particolari: viene da formulare l’accusa “Un incurabile pessimista!” quando in realtà è proprio il contrario. Si tratta invece di un fortissimo ottimismo di fondo. Leggendo con attenzione avrete infatti notato che esiste una soluzione certa al problema: una soluzione difficile ma che, se realizzata in modo economicamente sostenibile (ed è possibile grazie alle rinnovabili), può rivelarsi stabile e definitiva su un orizzonte di breve medio periodo.

Parliamo dell’Idrogeno verde: la soluzione ottimale per “mettere in linea” le energie rinnovabili dribblando il loro principale difetto: l’interrompibilità. Non servirebbero più le batterie avvenieristiche, non serve più uno sforzo sovrumano per svilupparle, basta passare per l’idrogeno: prodotto l’idrogeno, immagazzinata l’energia pronta per essere utilizzata!

Certo poi serve tutta l’infrastruttura di distribuzione ed utilizzo: tutti i beni durevoli con funzioni meccaniche vanno convertiti in modo da essere alimentabili ad idrogeno e bisognerà creare una rete per far arrivare i rifornimenti con una certa facilità. Nel frattempo però la soluzione stabile sarebbe stata raggiunta. Quindi: “Bando al pessimismo!” Vediamo il bicchiere mezzo pieno e non la parte vuota! Soprattutto, concentriamo gli sforzi verso il futuro possibile e verso non quello improbabile dell’estensione dell’alimentazione elettrica “interrompibile”, di cui i veicoli a batterie (gli EV’s) sono l’esempio più eclatante di un successo aleatorio e posticcio.

NOTA

(*): Se la Federal Reserve statunitense aumenta il suo tasso di interesse obiettivo, le banche centrali di altri paesi in tutto il mondo sono costrette a intraprendere un’azione simile se non vogliono che le loro valute scendano rispetto al dollaro USA. I paesi che non aumentano i loro tassi di interesse obiettivo tendono ad essere penalizzati dal mercato: con una valuta in calo, i prezzi locali del petrolio e di altre materie prime tendono a salire perché le materie prime sono quotate in dollari USA. Di conseguenza, i cittadini di questi paesi tendono ad affrontare un problema di inflazione peggiore di quello che avrebbero altrimenti.

Il paese con il maggior aumento del suo tasso di interesse obiettivo può, in teoria, vincere, in quella che è più o meno una competizione per spostare l’inflazione altrove. Questa concorrenza non può però continuare all’infinito perché ogni paese dipende, in una certa misura, dalle importazioni da altri paesi. Se i paesi con economie più deboli (cioè quelli che non possono permettersi di aumentare i tassi di interesse) smettono di produrre beni essenziali per il commercio mondiale, tenderanno a far crollare l’economia mondiale.

L’aumento dei tassi di interesse aumenta inoltre la probabilità di default del debito, ed eventuali default del debito possono costituire un grosso problema, specialmente per le banche e altri istituti finanziari. Con tassi di interesse più elevati, il finanziamento delle pensioni diventa poi meno agevole ed adeguato. Le aziende di ogni tipo si trovano davanti a nuovi investimenti più costosi: è quindi probabile che molte aziende si ridimensionino o addirittura falliscano. Questi impatti indiretti sono un altro modo per mandare a rotoli l’economia mondiale.

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