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Legge-Bavaglio contro i dipendenti pubblici


16 Dic , 2022|
| 2022 | Sassi nello stagno

I codici disciplinari violano il diritto di parola sancito dalla Costituzione

Siamo ormai al reato di opinione, non troviamo altri termini per descrivere la bozza del decreto che è arrivata al Consiglio dei Ministri del 2 dicembre scorso in merito ai comportamenti che il personale della Pubblica Amministrazione dovrà tenere dentro e fuori i luoghi di lavoro. Una vera e propria ingerenza nella vita privata di 3,2 milioni di dipendenti pubblici che dovranno sempre più guardarsi dall’occhio vigile del capitalismo della sorveglianza.

Se fino ad oggi l’obbligo di fedeltà, il rapporto di correttezza e buona fede dominavano la sfera dei doveri nella P.A., il Governo Meloni sta per fare un salto di qualità all’insegna della mera repressione di comportamenti e opinioni che potrebbero essere giudicate lesive verso il datore di lavoro.

Leggendo la bozza del decreto abbiamo colto alcuni aspetti dirimenti delle prossime politiche governative, in prima istanza la soddisfazione dell’utenza che poi corrisponde anche ai dettami del PNRR.

La Pubblica Amministrazione sarà vincolata, al pari di una società privata, al giudizio del cliente perché questa è la cultura di fondo del governo Meloni, una cultura impregnata di luoghi comuni con un occhio puntato ai processi di privatizzazione e alla tutela formale, mai sostanziale, dei diritti di cittadinanza.

Il dipendente pubblico in tempi pandemici ha assunto talvolta posizioni coraggiose come denunciare la carenza, o l’assenza, di dispositivi di protezione individuale o criticando le procedure seguite nel posto di lavoro per evitare i contagi; queste posizioni sono state sovente punite con procedimenti disciplinari, sanzioni e in taluni casi anche con il licenziamento con l’accusa di avere violato gli obblighi di correttezza e buona fede.

Da oggi in poi il dipendente non solo dovrà soddisfare l’utenza (anche a costo della sua stessa salute e sicurezza) ma è tenuto ad astenersi da qualsiasi intervento o commento, perfino nel suo tempo libero e supponiamo perfino nello svolgimento di attività politiche e sindacali, che il datore di lavoro possa giudicare lesivi verso l’immagine e il decoro della Amministrazione o in generale della P.A. Tradotto in altri termini il dipendente dovrà astenersi da qualsiasi giudizio pena l’applicazione di un codice che prevede sanzioni pecuniarie fino al licenziamento. Da qui alla fine del diritto di parola e di critica, alla inagibilità sindacale bella e buona il passo è assai breve.

Cosa intendiamo poi per decoro? La nozione di decoro è ormai diffusa, si parla di decoro urbano per murare le banchine dove un senza fissa dimora possa sedersi o  tombare le fontanelle alle quali lavarsi, decoro urbano diventa sinonimo di espulsione dai centri storici degli ultimi, dei diseredati e dei senza fissa dimora. “Decorose” invece sono le interminabili liste di attesa per accedere ai servizi pubblici, i disservizi costruiti ad arte per favorire i processi di privatizzazioni, le migliaia di case sfitte e murate per impedirne l’occupazione.

E’ vietato nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza, il codice di comportamento nella P.A. sposa le linee guida ormai vigenti nelle aziende private, salvo poi trincerarsi dietro alle responsabilità dirigenziali nel salvaguardare il benessere organizzativo, altro termine fuorviante che difficilmente potrà conciliarsi con l’assenza del potere contrattuale su innumerevoli materie come l’organizzazione dei turni e dei servizi, le politiche orarie, i carichi di lavoro, la mera gestione delle risorse umane, l’esigibilità datoriale di mansioni plurali ascrivibili, solo pochi anni or sono, a livelli superiori.

Per farsi una idea della pericolosità di questa iniziativa, che lede a nostro avviso anche il diritto di critica sancito dalla Costituzione, è sufficiente leggere l’articolo 11 che riportiamo integralmente (evidenziazione nostra):

«Art. 11-bis – (Utilizzo delle tecnologie informatiche)
1. L’amministrazione, attraverso i propri responsabili di struttura, ha facoltà di svolgere gli
accertamenti necessari e adottare ogni misura atta a garantire la sicurezza e la protezione dei sistemi informatici, delle informazioni e dei dati. Le modalità di svolgimento di tali accertamenti sono stabilite mediante linee guida adottate dall’Agenzia per l’Italia Digitale, sentito il Garante per la protezione dei dati personali. In caso di uso di dispositivi elettronici personali, trova applicazione l’articolo 12, comma 3-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.
2. È fatto divieto di utilizzare account istituzionali per fini diversi da quelli connessi all’attività
lavorativa o ad essa riconducibili nel caso in cui l’utilizzo possa compromettere la sicurezza o la
reputazione dell’amministrazione. Non è consentito l’utilizzo di caselle di posta elettronica personali per le comunicazioni istituzionali salvo casi di forza maggiore.
3. Il dipendente è responsabile del contenuto dei messaggi inviati. I dipendenti si uniformano alle modalità di firma dei messaggi di posta elettronica di servizio individuate dall’amministrazione di appartenenza. Ciascun messaggio in uscita deve consentire l’identificazione del dipendente mittente e deve indicare un recapito istituzionale al quale il medesimo è reperibile.
4. Al dipendente è consentito l’utilizzo degli strumenti informatici forniti dall’amministrazione per
poter assolvere alle incombenze personali senza doversi allontanare dalla sede di servizio, purché l’attività sia contenuta in tempi ristretti e senza alcun pregiudizio per i compiti istituzionali. In ogni caso, è fatto divieto di utilizzare strumenti informatici forniti dall’amministrazione per fini diversi da quelli connessi all’attività lavorativa o ad essa riconducibili nel caso in cui l’utilizzo possa
compromettere la sicurezza o la reputazione dell’amministrazione.
5. È vietato l’invio di messaggi di posta elettronica, all’interno o all’esterno dell’amministrazione,
che siano oltraggiosi, discriminatori o che possano essere in qualunque modo fonte di responsabilità dell’amministrazione.
Art. 11-ter – (Utilizzo dei mezzi di informazione e dei social media)
1. Il dipendente utilizza gli account dei social media di cui è titolare in modo che le opinioni ivi
espresse e i contenuti ivi pubblicati, propri o di terzi, non siano in alcun modo attribuibili
all’amministrazione di appartenenza o possano, in alcun modo, lederne il prestigio o l’immagine.
2. In ogni caso il dipendente è tenuto ad astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale.
3. È fatto, altresì, divieto, al dipendente di trattare comunicazioni, afferenti direttamente o
indirettamente al servizio, attraverso conversazioni pubbliche svolte su qualsiasi piattaforma digitale.
4. Se dalle piattaforme social siano ricavabili o espressamente indicate le qualifiche professionali o di appartenenza del dipendente, ciò costituisce elemento valutabile ai fini della gradazione della eventuale sanzione disciplinare in caso di violazione delle disposizioni dei commi 1, 2 e 3.
5. Nei codici di cui all’articolo 1, comma 2, le amministrazioni si possono dotare di una “social media policy” per ciascuna tipologia di piattaforma digitale, al fine di adeguare alle proprie specificità le disposizioni di cui al presente articolo. In particolare, la “social media policy” deve individuare, graduandole in base al livello gerarchico e di responsabilità del dipendente, le condotte che possono danneggiare la reputazione delle amministrazioni. Nell’ambito dei medesimi codici le amministrazioni individuano le modalità di rilevazione delle violazioni delle disposizioni del presente articolo.
6. Fermi restando i casi di divieto previsti dalla legge, i dipendenti non possono divulgare o diffondere per ragioni estranee al loro rapporto di lavoro con l’amministrazione e in difformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 33, e alla legge 7 agosto 1990, n. 241, documenti, anche istruttori, e informazioni di cui essi abbiano la disponibilità.

Di:

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