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PNRR: non è tutto oro quello che arriva dall’Europa

La crisi innescata dalla pandemia da Covid-19 ha prodotto conseguenze asimmetriche tra i vari Paesi membri dell’Unione europea.
Nonostante la Bce, con il programma di acquisto PEPP[1], ha garantito coperture ai Paesi membri per oltre 700 miliardi di euro, si è avvertita la necessità di una proposta politica comune a livello europeo.
Per tale ragione, su iniziativa franco-tedesca, nel mese di maggio 2020 la Commissione europea ha proposto lo strumento del “Next Generation Eu” (noto anche come Recovery Fund), il quale verrebbe finanziato con l’emissione di debito comune, finalizzato ad erogare contributi ai Paesi membri.
Stanti le regole di bilancio di cui agli articoli 310-312 del TFUE, le risorse che verrebbero ricavate sui mercati finanziari – mediante appunto l’emissione di debito comune – costituirebbero, ai sensi dell’articolo 21 del regolamento Ue n. 2018/1046, “entrate con destinazione specifica”, richiedendo un innalzamento delle cd. “risorse proprie” derivanti dai contributi basati sul Reddito Nazionale lordo (e quindi, in altri termini, un aumento della tassazione).
Il Next Generation Eu dovrebbe costituire uno strumento temporaneo finalizzato alla ripresa economica, e si andrebbe ad affiancare al bilancio a lungo termine dell’UE. Tuttavia, emerge immediatamente una significativa contraddizione; infatti, pur trattandosi di uno strumento che dovrebbe avere le caratteristiche della “temporaneità”, essendo appunto predisposto per far fronte ad una situazione emergenziale, dovrebbe al tempo stesso contribuire a “creare un’Europa post Covid-19 più verde, digitale, residente e adeguata alle sfide presenti e future”. E’ chiaro che tali finalità stridono, e non poco, con la necessità di porre rimedio ai danni “immediati” prodotti dal coronavirus[2].
Lo strumento del Recovery Fund metterà a disposizione 723,8 miliardi di euro di prestiti e sovvenzioni per sostenere le riforme e gli investimenti effettuati dagli Stati membri, allo scopo di attenuare l’impatto economico e sociale della pandemia.
Le risorse massime destinate all’Italia consistono in 191,5 miliardi, di cui 68,9 in sovvenzioni e 122,5 in prestiti.
Per l’ottenimento di tali contributi sono previste stringenti “condizionalità”; le erogazioni, infatti, sono condizionate a vincoli su deficit e debito pubblico.
Come affermato dalla stessa Corte dei Conti nella Relazione annuale del 2021, “E’ necessario partire dal presupposto che l’intero sistema del NGEU è caratterizzato da un regime di condizionalità (definita anche “aggravata”) riferita quindi non più alla dimostrazione delle spese effettuate, come per i Fondi SIE, ma ai risultati raggiunti, il che comporta una particolare attenzione sia alla fase di progettazione, sia all’effettiva realizzazione degli steps degli interventi ed alla loro tempistica.
Ciò in un contesto nel quale la mancanza di addizionalità determina l’esigenza di un controllo “ravvicinato” che sia configurato con attenzione alla cosiddetta “fase preventiva” con la quale si intende l’individuazione di procedure di controllo che seguano l’evolversi dei progetti”[3].
La Commissione, infatti, nei casi in cui un Paese sottoposto a procedura di deficit eccessivo non adotti misure adeguate a far fronte agli squilibri macroeconomici, o in altre circostanze di mancato aggiustamento per i Paesi che abbiano contratto prestiti, è dotata del potere di proporre una sospensione (totale o parziale) degli impegni o dei pagamenti (ai sensi dell’articolo 10 del regolamento 2021/241).
Senza contare, poi, che anche la disamina e l’approvazione dei PNRR, da parte della Commissione, è fortemente condizionata dalle previsioni di detti Piani circa il rispetto delle Raccomandazioni.
Il Governo italiano ha trasmesso, entro il termine previsto, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)(25 aprile 2021).
Il 13 agosto 2021, la Commissione europea, a seguito della valutazione positiva del PNRR, ha erogato all’Italia 24,9 miliardi a titolo di prefinanziamento, di cui 8,957 miliardi a fondo perduto e 15,937 miliardi di prestiti, pari al 13% dell’importo totale stanziato a favore del Paese (art. 23)[4].
Il Piano prevede 134 investimenti (235 se si conteggiano i sub-investimenti) e 63 riforme, per un totale, come detto, di 191,5 miliardi di euro.
A questi finanziamenti, si aggiungono le risorse dei fondi europei e del Piano Nazionale per gli investimenti Complementari (PNC), per un totale di circa 235 miliardi di euro, che corrispondono al 14% circa del PIL italiano.
Il Piano si compone di 6 missioni e 16 componenti, che si articolano intorno a tre assets strategici condivisi a livello europeo, ossia digitalizzazione (e innovazione), transizione ecologica e inclusione sociale. Vi sono poi ulteriori priorità trasversali: parità di genere, miglioramento delle competenze, della capacità e delle prospettive occupazionali dei giovani, riequilibrio territoriale e sviluppo del Mezzogiorno.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, a differenza del nome ambizioso, sembra presentare criticità tali da renderlo potenzialmente un boomerang per le effettive capacità di crescita del nostro Paese.
Come peraltro evidenziato dall’autorevole economista Cesare Pozzi, “Al di là del termine ambizioso, il PNRR non è un vero “Piano” nel senso di una vera e propria pianificazione, né nel senso di una pianificazione in grado di generare valore, ma è solo il contenitore di una serie di indicazioni[5]. Un “Piano”, infatti, dovrebbe indicare un percorso da seguire, una sequenza, un insieme legale di azioni, legate l’una all’altra per il raggiungimento di un obiettivo. Soprattutto, nessuna indicazione viene fornita su cosa occorre fare per raggiungere la media europea e allineare le diversità”.
Infatti, in base ai PNRR, tutti gli Stati aderenti devono “fare le stesse cose”, e già questo, di per sé, è indice del fatto che risulterebbe impossibile raggiungere le medie dell’UE.
Il PNRR italiano è principalmente un Piano di riforme interne. Infatti, ciascuna linea di investimento dovrà essere accompagnata da una strategia di riforme volte a migliorare il sistema-paese nel suo complesso, nel tentativo di incrementare l’efficienza e la competitività del Paese.
A tal proposito, risulta paradossale come negli anni, a causa delle strette di bilancio (dovute anche, se non soprattutto, ai diktat europei), lo Stato ha dovuto tagliare la spesa pubblica in ogni settore ed ora, grazie ad investimenti sottoposti a rigide condizionalità, si dovrebbe recuperare tale perdita.
Il PNRR, per adempiere alle specifiche condizionalità imposte dall’Unione Europea, indirizza gli investimenti e i sussidi in via preponderante (circa il 57%) nei settori green e digitale[6].
Da un punto di vista degli stimoli dell’economia, il Piano si è prevalentemente occupato di sostenere la domanda interna con incentivi, tra gli altri, all’acquisto di beni strumentali o di consumo hi-tech, il tutto per conseguire la transizione ecologica e digitale, senza preoccuparsi dell’incidenza che interventi come questi potranno avere sull’offerta dettata dalle specializzazioni settoriali del nostro Paese.
Infatti, è altamente probabile che gli effetti moltiplicatori generati da tali scelte, comunque ben al di sotto dell’unità, andranno a beneficio dell’industria estera.
Ciò del resto è affermato a pag. 255 del Piano: “La bilancia commerciale registrerebbe un peggioramento per via dell’ aumento delle importazioni, trainato soprattutto dalla spesa in attrezzature elettroniche ed informatiche, e di una lieve riduzione dell’export”[7].
Non sono un segreto, infatti, le carenze strutturali del nostro sistema produttivo, in particolare nei settori dell’informatica, del digitale e delle energie rinnovabili, ossia nelle aree fortemente coinvolte dal PNRR italiano (se si pensa che dei 191,5 miliardi di euro, ben 102 sono destinati alla transizione digitale e alla transizione ecologica).
Anche nell’ambito delle imprese dei lavori saranno avvantaggiati i gruppi esteri o estero-controllati. Infatti sono pochi i general contractors rimasti sul mercato nazionale ad avere le capacità tecniche e finanziarie per qualificarsi nelle gare che verranno indette per l’esecuzione dei progetti rientranti nel PNRR.
Ad ogni modo, per le nostre imprese nazionali, a causa di nuovi standard green e tecnologici, aumenteranno certamente i costi di produzione.
E’ fondamentale, poi, sottolineare che la manovra di bilancio non può essere svincolata dal PNRR, come si legge dalla stessa premessa al NADEF[8] “La strategia di consolidamento della finanza pubblica si baserà principalmente sulla crescita del PIL stimolata dagli investimenti e dalle riforme previste dal PNRR. Nel medio termine sarà altresì necessario conseguire adeguati avanzi primari. A tal fine, si punterà a moderare la dinamica della spesa pubblica corrente ed a far crescere le entrate fiscali attraverso il contrasto all’evasione”.
Il PNRR sembra implicare una significativa compressione o mancato recupero della spesa in fondamentali settori della vita nazionale, quali la sanità e l’istruzione, per i quali le risorse previste dal PNRR sono decisamente inferiori rispetto ai settori del green e del digitale.
Il Capo della struttura economica di Bankitalia, Fabrizio Balassone, ha stimato il possibile vantaggio finanziario del PNRR per l’Italia in 3/4 miliardi l’anno in un orizzonte di 30 anni[9]. Tuttavia ha anche ricordato che questi prestiti andranno aggiunti al debito, e che sul deficit futuro peseranno i deficit correnti, generati dagli investimenti fatti.
Inoltre, la condizionalità contenuta nel regolamento del NGEU, circa il rispetto dei Country Report 2019 e 2020, e soprattutto il ripristino dal 2023 del Patto di stabilità, e quindi del meccanismo del pareggio di bilancio, porteranno probabilmente al taglio della spesa pubblica e ad aumenti della tassazione, che avranno un moltiplicatore negativo molto più elevato degli interventi programmati con il NGUE. Senza considerare, inoltre, che la spesa prevista dal PNRR è comunque transitoria, poiché volta a realizzare investimenti soggetti a termini “perentori” di realizzazione molto serrati.
Insomma, lo scenario non è dei più rassicuranti.
Quanto agli effetti nel lungo periodo, le considerazioni appena svolte inducono a ritenere che andremo incontro, verosimilmente, ad una mancata crescita economica, che a sua volta si tradurrà in un aumento del già vertiginoso rapporto debito/PIL.
Le regole del Patto di stabilità e crescita, nonché le regole apportate dal six-pack, obbligheranno i Paesi, una volta rientrate in vigore, ad avere avanzi primari di grande entità per poter rientrare nei valori di sostenibilità pre-crisi, con la conseguenza che, se da un lato Next Generation EU potrebbe rappresentare, eventualmente nell’immediato, un volano per investimenti, dall’altro, stanti le regole ad oggi sospese, vi sarà bisogno di drastiche misure di contenimento economico sul piano interno.
Inoltre, la logica per cui sarebbe preferibile indebitarsi con la Commissione Ue piuttosto che con l’emissione di titoli di Stato appare di difficile comprensione.
La Commissione europea, infatti, non dispone di fondi propri, ed è perciò costretta a lanciare un’emissione obbligazionaria sui mercati i cui proventi, al netto di tasse, commissioni e spese di ogni genere, vengono prestati al debitore il quale ha già accettato in anticipo l’operato della Commissione.
Sorgono perplessità, pertanto, sul fatto di dover ricorrere ad una così complessa e atipica struttura finanziaria, quando l’Italia rappresenta il terzo emittente mondiale di titoli di Stato e in caso di difficoltà dovrebbe comunque necessariamente intervenire la Banca Centrale, poiché la Commissione non garantisce nulla.
Il fatto che il ricorso al mercato, nel quadro del NGEU, sia mutualizzato all’interno dell’Unione, non deve far dimenticare che si tratta pur sempre di debito pubblico, sia pur in una accezione “nuova”, ossia collocato in uno spazio comune.
Secondo la Corte dei Conti, pertanto, “va evitato a tutti i costi, in particolare, il rischio di innescare ulteriori spirali di crescita del debito pubblico, dove quello nazionale di necessità debba aumentare per ripagare quello sovranazionale che non abbia dato i risultati sperati; viceversa, l’iniezione di liquidità nel sistema deve servire per innescare processi virtuosi, dove il ricorso al mercato da parte dell’Unione, realizzando il proprio scopo in termini di risultato atteso dell’investimento, apre prospettive di crescita dell’economia interna, andando in ultima analisi (anche) a incidere positivamente sulla complessiva situazione finanziaria dello Stato. Per l’Italia, un rischio di inadeguato assorbimento potrebbe potenzialmente derivare anche da alcune delle modalità di costruzione del Piano di Ripresa e Resilienza, caratterizzato da un processo dall’alto verso il basso, tendenzialmente privo di coinvolgimento sub-nazionale nelle fasi di attuazione e valutazione e con la centralizzazione dei più importanti investimenti pubblici”[10].
Alla luce delle considerazioni svolte, il Next Generation Eu sembra non essere lo strumento adeguato per superare la crisi pandemica e la crisi economica che ne è derivata. L’economia avrebbe bisogno di un periodo di sostegno e rilancio durante il quale le politiche di bilancio restrittive, che verosimilmente si prospettano, sono controproducenti.
Sarebbe auspicabile, inoltre, instaurare un serio dibattito sull’intero sistema dei fondi europei i quali, così come congegnati, non sembrano funzionare, poiché essi non operano nell’ambito di un area valutaria ottimale, e nemmeno nell’ambito di una reale Confederazione di Stati e rischiano di porsi, semmai, come uno strumento di intensificato controllo da parte dell’UE sulla spesa degli Stati membri.
[1]https://www.bancaditalia.it/media/approfondimenti/2016/titoli-pubblici/#:~:text=Il%20Pandemic%20Emergency%20Purchase%20Programme,derivanti%20dalla%20diffusione%20del%20Coronavirus.
[2] Per approfondimenti, “Manuale teorico e pratico al bilancio Ue, finanziamenti comunitari e Pnrr” di Raponi R.;
[3] Relazione annuale Corte dei Conti 2021, Sezione di controllo per gli affari comunitari ed internazionali, p. 172;
[4] https://italiadomani.gov.it/it/news/pnrr–all-italia-la-prima-rata-da-21-miliardi-di-euro.html
[5] https://it.euronews.com/2021/06/23/pnrr-e-davvero-tutto-oro-quel-che-luccica;
[6] Pag. 17 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza;
[7] https://www.governo.it/sites/governo.it/files/PNRR.pdf
[8]https://www.dt.mef.gov.it/export/sites/sitodt/modules/documenti_it/analisi_progammazione/documenti_programmatici/nadef_2021/NADEF_2021.pdf
[9]https://www.ripartelitalia.it/fabrizio-balassone-capo-servizio-struttura-economica-della-banca-ditalia-tra-10-anni-avremo-un-crollo-della-forza-lavoro-e-piu-debito-ecco-perche-e-vitale-per-litalia-spendere-ben/
[10] Relazione annuale Corte dei Conti 2021, Sezione di controllo per gli affari comunitari ed internazionali, p. 173 ss.
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