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Ratzinger teologo


31 Dic , 2022|
| 2022 | Visioni

La morte di un Papa è sempre un evento che segna un passaggio sociopolitico rilevante: questo ovviamente per l’importanza del ruolo e della carica di chi siede sul soglio che fu di Pietro; a volte perfino uno spartiacque nell’ambito della comunità dei fedeli e nella società tutta.

Questo potrebbe non essere nel caso di Benedetto XVI, Papa Ratzinger, se si pensa che da anni ormai il raffinato teologo tedesco si era (era stato) confinato in una clausura quasi assoluta, lontano dall’incombenza del governo della Chiesa così come dalla sua costante luce mediatica.

Ma per rappresentare una figura così complessa, come è stata indubbiamente quella di Ratzinger, le apparenze possono ingannare.

Lontano senza dubbio negli ultimi anni Ratzinger è stato fisicamente dell’amministrazione e dal governo della chiesa di Cristo, così come lontano è stato dalla sua rappresentazione pubblica quotidiana.

Ma a noi nel ricordarlo in questo momento non interessa tanto il Ratzinger politico della chiesa ma il fine teologo, il quale si interrogava su una questione fondamentale della dottrina e cioè quella inerente il rapporto tra tradizione rivelazione e scrittura.

Tale questione non è da poco e non interessa ovviamente soli i teologi ma investe in pieno la realtà che viviamo , una realtà politica e di fede al tempo stesso; “c’è piena rivelazione” osservava  Ratzinger un un suo scritto giovanile, indicando ovviamente per rivelazione quella testimoniata dalla venuta di Dio nel mondo, “soltanto laddove, oltre alle affermazioni materiali che la testimoniano, è divenuta operante nella forma della fede anche la sua intima realtà. Di conseguenza” – continua Ratzinger – “appartiene, fino a un certo punto, alla rivelazione anche il soggetto ricevente, senza del quale essa non esiste”.

Insomma il senso profondo del ragionamento ratzingeriano è che “non si può mettere in tasca”, parole testuali (sic!), la rivelazione, cioè a dire la verità del Dio che si è fatto uomo, “come si può portare con sé un libro”. Essa, la rivelazione, al contrario, “è una realtà vivente, che esige l’accoglienza di un uomo vivo come  luogo della sua presenza”. Chi media questa ‘accoglienza’ in ogni singolo uomo è ovviamente la chiesa in quanto istituzione, in quanto casa del popolo di Dio che in essa (insieme alle scritture) ritrova quotidianamente il mistero della rivelazione stessa.

Da ciò quindi si può dire, sempre con Ratzinger, che la rivelazione ovvero la presenza/esistenza di Cristo “si nasconde anche sotto l’espressione paolina corpo di Cristo, che indica certamente che la comunità dei credenti – la Chiesa – rappresenta la presente e stabile permanenza ‘l’esserci’ (An-Wesen) di Cristo nel mondo, nella quale egli riunisce gli uomini e mediante la quale li rende partecipi della sua potente presenza”.  

Ed è questo il compito della chiesa oggi come 2000 anni fa, per dirla con Schmitt, cioè quello di rendere visibile l’invisibile.

Probabilmente proprio negli ultimi anni, vivendo lo stato personale di un’invisibilità ricercata (e forse anche subita), Ratzinger, Benedetto XVI, avrà senza dubbio riflettuto molto sui modi attraverso cui la chiesa nel XXI secolo può rendersi ancora visibile e credibile.

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