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La guerra capitalista


3 Gen , 2023|
| 2023 | Recensioni

Sballottati come siamo in tempi di crisi, pandemia e guerra il nuovo libro di Brancaccio, Giammetti e Lucarelli è un testo oggi più che mai necessario. Con la scorrevolezza narrativa cui gli autori ci hanno abituato nel tempo e la solidità di dati e citazioni propria degli intellettuali militanti che sembrano ormai scomparsi, gli autori ci danno una lettura quanto mai interessante su quanto sta accadendo in questi anni.

La miseria del dibattito politico sulla guerra in Ucraina dove la campagna ideologica vorrebbe l’etnonazionalismo o la pazzia individuale come cause del conflitto ci ha fatto dimenticare che sono le motivazioni materiali le principali a soffiare sul fuoco. Così è la storia. Per lo meno secondo una solida lettura materialista cui gli autori si rifanno.

Gli autori sviluppano un ragionamento molto metodico riprendendo la stigmatizzata letteratura marxista ma anche tutti i principali filoni mainstream che abbiano lanciato una qualche riflessione sulle ultime crisi con una meticolosa rassegna di autori quali Acemoglu, De Grauwe, Piketty, passando per i grandi classici come Keynes, Weber e Schumpeter fino agli studi sulla complessità in economia.

Il testo si suddivide in tre parti: un approfondimento del pensiero marxiano focalizzato in particolare sulla legge di tendenza alla centralizzazione del capitale, una attualizzazione del ragionamento attraverso i riscontri empirici fatti con gli strumenti più evoluti dell’economia e un dibattito conclusivo sui temi della guerra e della geopolitica che aiuta a capire quanto sia attuale e concreto il ragionamento sviluppato nel resto del saggio.

Da studiosi rigorosi gli autori dedicano un’ampia parte del testo, oltre che a ripercorrere la letteratura marxista in materia, a dimostrare come l’evidenza scientifica supporti una “legge” di tendenza verso la centralizzazione del capitale. A coloro cui possa sembrare tema marginale o di poco conto gli autori ricordano gli effetti che questa ha sulla democrazia e come elemento deflagrante della guerra.

Questo libro finisce con l’avere il pregio di fornire strumenti e spunti per interpretare quindi non solo l’attuale scontro in Ucraina bensì anche tutti quelli che si verificheranno nei prossimi anni a causa dell’innalzamento del conflitto che capitali così concentrati definiranno.

Fenomeni come il decoupling tra economia americana e cinese, il processo di friendshoring, l’incremento dei dazi doganali oltre che l’introduzione di sanzioni finanziarie e commerciali tra Paesi appartenenti a diversi blocchi non sono che la manifestazione di questa contrapposizione crescente. Gasdotti che esplodono misteriosamente e libere scelte di acquisto del gas via nave da remoti angoli del pianeta (a prezzi maggiori) sicuramente vengono spiegati meglio dalle tesi degli autori che non dai commenti dei principali giornali italiani.

Il libro offre molti spunti di riflessione originali e lontani dal dibattito corrente.
Quello che è il principale pregio dell’analisi proposta sta proprio nel fatto che gli autori ci obbligano a adottare una prospettiva sistemica, la sola possibile per chi vuole porre un approccio critico al presente e immaginare una alternativa.

Se si dovesse indicare un limite del testo, sembra paradossale, è proprio la solidità con cui è scritto. In un tempo in cui l’attenzione media scivola verso quella dei pesci rossi e dove il principale flusso informativo delle giovani generazioni sono i video su tik tok, lo scopo di un testo accademico ma anche militante dovrebbe essere quello di essere anche semplice e per il largo pubblico.
In fondo libelli mediocri sul piano intellettuale, per non parlare dei dati o della bibliografia, come  “Il Liberismo è di sinistra” o altri della vulgata liberale degli ultimi 20 anni avevano ben compreso questo. Servono idee forti, modellizzabili fino allo slogan, dove riscontri fattuali e letteratura alle spalle divengono un benefit ingombrante, ma comunicate in maniera tanto semplice da creare imbarazzo. Qui, al netto di una prosa assolutamente piacevole, il timore è di finire per parlare a una nicchia. E questo, purtroppo, può essere un grosso limite in un periodo in cui testi così sarebbero necessari come il pane per la democrazia e il riscatto di un popolo.

Citando infine gli autori, “È stato ironicamente osservato che oggi è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo. Forse è ora di contemplare anche l’eventualità che la fine del mondo possa scaturire proprio dalla sopravvivenza del capitalismo. In questo senso, si può dire che la guerra capitalista è continuazione delle lotte di classe con mezzi nuovi e più infernali. E richiede, per esser concretamente scongiurata, movimenti più rivoluzionari”.

Di:

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