La Fionda è anche su Telegram.
Clicca qui per entrare e rimanere aggiornato.
Le plusvalenze sono dannose anche quando sono legali
Una premessa necessaria: l’argomento di questo articolo non è la vicenda giudiziaria che coinvolge la Juventus. Il nostro tema è invece quello delle plusvalenze in sé, e del perché oggi rappresentano, anche quando sono perfettamente legali e non fittizie (e cioè nella maggior parte dei casi), poco più che un trucchetto finanziario per coprire una bolla che sta portando il sistema-calcio al collasso.
Tecnicamente, funziona così:
1. una società acquista un giocatore a 10, con un contratto di 5 anni;
2. il valore 10 non viene iscritto completamente a bilancio nell’anno dell’acquisto, ma “spalmato” nei 5 anni;
3. in ogni anno, il valore finanziario del giocatore subirà dunque un ammortamento del 20% (1/5 del valore del cartellino). Dunque, nel secondo anno varrà 8, nel terzo 6 etc.;
4. se la società deciderà di vendere il calciatore nel terzo anno, realizzerà una plusvalenza nel caso in cui riuscirà a farselo comprare per più di 6 (il valore del cartellino in quel momento, considerato l’ammortamento).
Ecco la ragione per la quale, ad esempio, assistiamo a trattative estenuanti su panchinari che poco spostano sul piano sportivo, con contrattazioni infinite su cifre in più o in meno che altrettanto poco dovrebbero spostare (dovrebbero…) sul piano economico.
Tutto questo, lo ribadiamo, è assolutamente legale. Legale, tuttavia, non significa sano. Proseguendo con l’esempio precedente, infatti, tutti comprendiamo che un calciatore acquistato a 10 e rivenduto a 7 dopo tre anni potrà anche portare a una plusvalenza sul piano finanziario, ma sul piano economico la situazione è diversa. Ovvero: se quel calciatore non avrà contribuito ad aumentare gli introiti della società di 3 (10 meno 7), ci sarà stata una perdita. Ciò sarà avvenuto se con le prestazioni sul campo egli non avrà concorso a migliorare i risultati della squadra e la sua visibilità (quindi, a generare guadagni sul piano dei premi sportivi, degli sponsor, dei diritti televisivi, degli incassi allo stadio, del merchandising). A complicare le cose (per le società) c’è un dettaglio non da poco: il costo di un calciatore non si limita al suo cartellino, ma si aggiungono voci di spesa non proprio indifferenti, come l’ingaggio o le commissioni agli agenti. Ovviamente è impossibile calcolare con precisione l’apporto economico di ogni giocatore alla sua società, ma (per fortuna) parliamo di calcio, e sarà facile sostituire ai freddi numeri una valutazione che ogni tifoso e appassionato potrà fare sull’apporto sportivo.
Più facile, invece, è spostare il quesito a un livello più generale: le società di calcio sono in grado di sostenere i propri costi economici? Ovvero: le spese sostenute per acquisto di cartellini, stipendi, commissioni varie sono almeno “coperte” dagli introiti? A un’occhiata ai bilanci anche meno che sommaria, la risposta è netta: no. Dunque, meccanismi come gli ammortamenti o le plusvalenze (che naturalmente non sono una prerogativa del calcio, ma riguardano ogni attività d’impresa, dalla più piccola alla più grande) si sono trasformati in poco più che escamotage finanziari per coprire le falle di un sistema che a livello economico è alla canna del gas. Tutto questo, al netto di usi e abusi sportivamente illegali praticati oggi come in passato.
La Fionda è una rivista di battaglia politico-culturale che non ha alle spalle finanziatori di alcun tipo. I pensieri espressi nelle pagine del cartaceo, sul blog online e sui nostri social sono il frutto di un dibattito interno aperto, libero e autonomo. Aprendo il sito de La Fionda non sarai mai tempestato di pubblicità e pop up invasivi, a tutto beneficio dei nostri lettori. Se apprezzi il nostro lavoro e vuoi aiutarci a crescere e migliorare, sia a livello di contenuti che di iniziative, hai la possibilità di cliccare qui di seguito e offrirci un contributo. Un grazie enorme da tutta la redazione!