Si intitola Aliene sembianze l’ultima fatica letteraria di Roberto Michelangelo Giordi, artista raffinato che, con la sua musica e la sua scrittura, continua ad incantare il pubblico dei principali teatri italiani ed europei. Al pari degli infiniti mondi teorizzati dal nolano, il filosofo Giordano Bruno più volte menzionato nel corso dei racconti, all’interno della raccolta convivono tutti i mondi e gli universi cari all’autore, che si presenta ancora più decisamente come un artista completo ed estremamente versatile: i suoi interessi, infatti, spaziano dalla letteratura al teatro, dalla musica al tema sociale.
I quattordici racconti sono introdotti ciascuno da una traccia musicale il cui testo è fissato nero su bianco nella raccolta e la cui melodia è contenuta in un disco elegante, anche dal punto di vista estetico. Non è chiaro se la melodia abbia ispirato, nella fantasia dell’autore, le figure umane (e postumane) delineate nei racconti o viceversa e forse non è poi cosi importante stabilirlo: ciò che conta è che ad essere messo in evidenza è il legame indissolubile tra parola e musica. Già nel primo racconto, dal titolo emblematico Spazio e Tempo, il lettore viene proiettato in atmosfere distopiche di huxleyana/orwelliana memoria, in cui a emergere è un “mondo nuovo” alienante e depersonalizzante. Il mondo a tinte fosche tratteggiato dall’autore non si configura come mero esercizio letterario, ma, al contrario, si può scorgere in tale disegno una componente profetica: con lo sguardo lungimirante e visionario, quasi vaticinatore, che è proprio degli artisti, Giordi lascia intravedere ai lettori frames del futuro che attende l’umanità. Del resto, da sempre uno dei compiti degli artisti è anche quello di levare la propria voce per protestare e denunciare lo smarrimento collettivo: qui, l’autore sceglie di farlo in modo originale, lanciando un messaggio nella bottiglia, edulcorandolo attraverso la forma narrativa, senza però risultare per questo meno incisivo.
Le aliene sembianze che danno il titolo alla raccolta sono figure mitiche, leggendarie e quasi messianiche, forse oniriche che, sempre nella fantasia dell’autore, sono in grado di risvegliare l’umanità dal torpore esistenziale, di distoglierla dal nichilismo imperante affermando l’importanza di quei valori che, per Giordi, rendono tale l’umano: la bellezza, il sentimento e, soprattutto, l’arte in tutte le sue forme. Questa visione dell’arte come qualcosa di profondamente catartico e salvifico è enunciata, a chiare lettere, nel quinto racconto dove Giordi dice, servendosi della voce di uno dei suoi personaggi, “L’arte trascende la natura ordinaria delle cose, crea fenditure di luce nelle trame dello spazio e del tempo. È da lì che attingiamo energia per carburare la nostra miserevole esistenza. È la porta di accesso a dimensioni parallele, il punto d’incontro dell’umano col divino[…]. Una delle figure meglio riuscite tra quelle presentate nei racconti porta il nome di Lara, l’eroina che cerca di sfuggire al grigiore che attanaglia l’esistenza dell’umanità nel tempo dell’Oltreuomo, riscoprendo la bellezza dei colori (l’azzurro del cielo) e il contatto con la natura, recuperando finalmente la libertà. Onnipresente, nel corso dei racconti, è il tema della nostalgia verso una sorta di paradiso perduto, il rimpianto per una civiltà antica ormai inghiottita dallo scorrere del tempo, scandita da rituali affascinanti e da una spiritualità ormai sconosciuta all’umanità: è il sogno di una nuova Atlantide che, tra le altre cose, dà il titolo ad uno dei racconti.
Ma probabilmente la vera punta di diamante dell’opera, il racconto in cui il talento letterario dell’autore si rivela a pieno è Chant à la Lune, dove si toccano livelli altissimi di pathos e di intensità lirica. Qui vengono evocati gli spiriti di due dei poeti prediletti dall’autore, Giacomo Leopardi e Federico Garcìa Lorca, accomunati dal topos della Luna, richiamata più volte da entrambi nella rispettiva poesia. I due, che riprendono sembianze grazie a un canto poetico proveniente dalla Terra (quasi a voler dimostrare che è sempre l’arte a dar forma alle cose del mondo), dialogano e filosofeggiano in un immaginario interspazio, affrontando i temi del dolore, della morte, di Dio, della Natura… Ma è soprattutto il tema della Poesia, ancora una volta, ad essere messo in primo piano: la poesia, scaturita dall’incontro tra immaginazione e linguaggio, viene presentata come una prerogativa prettamente umana, come ciò che allontana l’uomo dalla pura bestialità e come mezzo attraverso cui egli esprime la propria aspirazione all’infinito, mitigando e sublimando il dolore dell’esistenza insito nella finitudine della materia.
Dunque, l’opera di Giordi si presta in definitiva a molteplici chiavi di lettura, fornendo così ai lettori numerosi spunti di riflessione. Non solo: la linearità e l’espressività dello scrittore partenopeo hanno il merito di arrivare facilmente ad un pubblico trasversale e variegato; un pubblico che, nella sua diversità, può comunque rispecchiarsi in qualcuno dei personaggi dei racconti e trovare una parte di sé, evadendo per un istante da un’attualità avvertita come sempre più alienante.
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