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Lettera generazionale. Dichiarazione di inimicizia con il nostro tempo


6 Feb , 2023|
| 2023 | Voci

Ho 21 anni.

Partiamo dalla constatazione che la nostra generazione è cresciuta con un’immagine del mondo essenzialmente astorica e depoliticizzata. O meglio, ci siamo sentiti blandamente inseriti in un confortevole e controllato progresso, del quale ci sentivamo nati in uno stadio già maturo, e svoltosi sia sul piano tecnologico che sul piano dei diritti e della dignità umani, dei quali, dopo millenni di barbarie, si era finalmente riusciti a garantire, nella massima parte delle realtà sociali, il rispetto. Tuttavia, non ci sono sfuggiti, fin da piccoli, i segni della sconfinata povertà materiale della larga parte del mondo nascosta ai nostri occhi, e della povertà spirituale della parte a noi nota. Il disagio provato lo abbiamo vissuto nel privato, ricondotto alle nostre condizioni individuali. Già ci era inviso il conformismo, e sentivamo in noi una profonda opposizione alla realtà scolastica in cui abbiamo trascorso gran parte degli anni migliori, ma la nostra protesta si traduceva in forme di autoisolamento e autodistruzione. Il deserto della provincia sembrava costruito appositamente per coltivare quegli impulsi. 

Se da una parte la nostra coscienza storica era assorbita da un senso di distanza infinita da tutte le fasi precedenti della storia, che ci confinava in un presente eterno dal quale non avremmo potuto aspettarci che miglioramenti e irrilevanti incidenti di percorso, a livello geografico questa immagine ci consegnava all’isola progredita del benessere ormai non più minacciabile dal suo esterno, il quale (anzi!) non aspettava altro che poter essere anch’egli finalmente inglobato nel paradiso realizzato dell’Occidente. Credo sia difficilissimo, quasi impossibile, per quasi chiunque in ogni paese occidentale, contrastare nella propria inconscia visione del mondo questa idea. Eppure, stanno di fronte a noi ogni giorno smentite di ogni tipo. È forse in questo punto da ricercare la dissonanza cognitiva del nostro tempo: viviamo in un mondo che ci siamo condannati a non comprendere.

Ad ogni modo, col tempo abbiamo imparato a combattere la depoliticizzazione completa scoprendo la profonda ingerenza del politico negli aspetti più personali e generazionali delle nostre vite. Non solo per quanto riguarda le nostre prospettive sul futuro, ma anche per la costituzione delle nostre individualità, della nostra socialità, per i luoghi in cui essa si consuma, per i modi che abbiamo di concepire noi stessi e il nostro rapporto con gli altri. La dissonanza cognitiva comincia a risolversi: grandissima scoperta, che ci ha permesso di conciliare la crisi permanente in cui siamo entrati subito dopo i primissimi anni di vita con la critica alla coscienza impiantataci sin dalle scuole elementari. Gli incidenti di percorso erano diventati crisi strutturali, e l’eterno presente del progresso si rovesciava nella strutturale incapacità di pensare alternative ai modelli esistenti. I disagi individuali si rivelavano interiorizzazioni delle forme di oppressione inerenti alla società.

Non è forse questa la verità? Non è forse la verità quel discorso che accoglie e rende conto dei significati pre-razionali con cui esperiamo noi stessi e il mondo, chiarificandone le relazioni reciproche, mantenendosi coerente nell’articolare la loro relazione con l’esterno? E non è forse vero che la verità assume la sua forma ideologico-politica nel momento in cui, oltre ad accogliere in un orizzonte di senso la nostra esperienza pre-razionale, è spinta da quella stessa esperienza in una direzione piuttosto che un’altra, verso e contro qualcosa piuttosto che altro? Ed infine, non sono forse inscindibili questi due volti? O quantomeno, non è forse impossibile tracciare un confine netto tra l’esperienza della verità che spiega, scioglie e concilia, e il suo altro volto, imbevuto di passioni la cui soddisfazione è fatta dipendere dal discorso, che si cristallizza in qualcosa di oggettivo che ci sovrasta – ma che allo stesso tempo potrebbe sciogliersi in capacità politico-mobilitante?

Come ragni nella propria ragnatela ci aggiriamo quindi per le vie dei discorsi che ci hanno reso pensabile una maggiore afferrabilità del mondo, ormai consolidati nei fili principali, eppure incompleti e soggetti ad allargamenti e variazioni in ognuno di noi diverse. Sembra che due cose siano costitutive di questo stato: derealizzazione e impotenza. È costitutivo, infatti, che non si possa vivere con questa coscienza, o meglio che essa non possa essere usata per vivere nella quasi totalità dei modi socialmente resi attualmente disponibili. La sensibilità e il pensiero dei nostri amici che non hanno fatto lo stesso percorso e dei parenti che hanno costruito una vita introiettando un modello ai nostri occhi infernale paiono a volte così distanti che solchi di sconfinata incomunicabilità ci sembrano posti tra noi e loro. Se questo vale per le persone a noi vicine, vale a maggior ragione per tutto il mainstream culturale da cui ci sentiamo irrimediabilmente tagliati fuori. Camminare per le vie del centro di qualsiasi città europea è camminare in terra straniera, sentendosi in cuor proprio nemici nascosti e invisibili, ancora irrilevanti; in una parte di sé, determinati a diventarlo.

È questa inimicizia che invito a rendere profonda: a un’occhiata più attenta, derealizzazione e impotenza appartengono più alla nostra condizione generazionale, che ad una certa adozione ideologica. L’aperta inimicizia deve essere quindi la nostra risposta. Non risentita, vendicativa, ma concreta, tesa ad identificare il nemico e le sue mosse, le sue forme, tesa alla riappropriazione di sé, alla riconquista della sovranità sul proprio corpo e sulla propria psicologia. Siamo, attualmente, in forte retroguardia su entrambi i fronti. Tesa quindi alla scissione tra le istanze che ci sono proprie e le colonie, alla lettura della realtà tramite il conflitto, la cui rimozione è derealizzazione, e il cui esito è, al momento, la nostra impotenza. Una guerra impossibile, che va combattuta anche nelle sue forme silenziose e interiori, oltre che organizzate ed esteriori. Una inimicizia per il proprio tempo.

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