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I BTP c.d. autarchici: la questione di classe che nascondono


8 Feb , 2023|
| 2023 | Visioni

Il governo Meloni, in persona del ministro dell’economia Giorgetti, ha in serbo un’emissione di BTP c.d. autarchici, i quali dovrebbero costituire un’evoluzione dei BTP Futura[1].

Questi ultimi rappresentano titoli di debito pubblico rivolti esclusivamente al retail: cioè ai piccoli investitori, in altre parole ai consumatori del mercato finanziario. Le cedole (cioè gli interessi periodicamente maturati) sono pagate semestralmente e crescono nel tempo, uniformandosi a una serie di tassi di interesse predeterminati nel regolamento di emissione: il fine dichiarato è rendere questi titoli “meno sensibil[i] ad eventuali futuri rialzi dei tassi di mercato”[2].

Rispetto al BTP Futura, i prospettati BTP autarchici presentano due varianti: in primo luogo, dovrebbero essere acquistabili solo da cittadini italiani o da residenti in Italia; in secondo luogo, i redditi che ne derivano, cioè gli interessi versati dallo Stato italiano ai detentori (qualificabili come redditi da capitale), sarebbero esentasse[3]. Per di più, questi BTP godrebbero di ulteriori sgravi fiscali: chi li terrà in portafoglio per almeno cinque anni non sarà tenuto, in caso di cessione, a versare alcuna imposta sul capital gain (differenza positiva tra il prezzo della cessione e il prezzo dell’iniziale sottoscrizione o acquisto).

L’emissione di questi nuovi strumenti finanziari risponderebbe alla dichiarata esigenza di convogliare il debito pubblico nelle mani dei privati, al fine, tra l’altro, di proteggere l’Italia da impennate dello spread.

Sembra tutto congeniale agli interessi della nostra comunità nazionale. La Meloni ha persino scomodato il paragone con il modello giapponese; ella dimentica tuttavia che il Giappone, a differenza dell’Italia, è dotato di una Banca centrale che può sottoscrivere titoli di debito pubblico illimitatamente, senza esigere la restituzione del capitale né gli interessi e glissa sul fatto che è propria la Banca centrale giapponese a detenere la più larga parte del debito pubblico, mentre la quota di questo in mano alle famiglie giapponesi si aggira attorno all’1%[4].

Può dunque il popolo esultare per il proclama governativo? Molto probabilmente no.

Come ricorda Matteo Bortolon su questa Rivista[5], il debito pubblico sottoscritto dai cittadini, consistendo di titoli comprati da privati che prestano soldi allo Stato, è il debito dello Stato verso una parte della nazione: correlativamente, il credito dei detentori dei titoli è una componente della ricchezza del settore privato, precisamente di quei cittadini che hanno potuto permettersi di prestare soldi allo Stato.

Ecco che sottesa all’emissione dei BTP autarchici (e alla rendita da essi garantita) v’è una questione di classe, tanto più urgente in un Paese come il nostro, in cui i membri della classe lavoratrice, in particolare quelli entrati nel mercato del lavoro negli anni dieci di questo secolo, hanno sui propri conti bancari pochi risparmi, che, obtorto collo, potrebbero essere costretti a investire in fondi di previdenza integrativa.

Ecco allora che promettere l’emissione di titoli di debito pubblico particolarmente premiali equivale a permettere a chi è già un rentier di accrescere le proprie rendite, escludendo dalla redistribuzione di denaro pubblico (non costituiscono forse denaro pubblico gli interessi che lo Stato paga sui propri titoli?) i ceti medio-bassi.

Per di più, si tenga a mente che nella storia d’Italia per pagare gli interessi sul debito (e dunque le rendite di quella parte della cittadinanza che potrà permettersi l’acquisto dei BTP autarchici) si è spesso ricorso a inasprimenti della pressione fiscale[6].

Si ricordino, infine, gli sgravi fiscali che si ipotizzano connessi a questi BTP: pare di avvertire un’eco di trickle–down economics.  

Insomma, l’appello al popolo per riportare il debito pubblico nelle mani nostre e sottrarlo alle grinfie dello straniero ricorda la chiamata alle armi nell’antica Roma, ove i cittadini appartenenti alle prime centurie potevano permettersi una panoplia completa o persino di montare a cavallo e così difendere con maggiore peso (e conseguente onore) la Patria.

In assenza di una Banca centrale di Stato, chi potrebbe acquistare i titoli del debito pubblico italiano e incassarne i rendimenti? Le società pubbliche, che a tal fine potrebbero impiegare le loro riserve in bilancio; esse potrebbero vincolarsi a impiegare i rendimenti per investimenti produttivi o concorsi per assunzioni, così creando occupazione a vantaggio di tutta la comunità.

È infine scriteriato volere sottrarre il debito pubblico italiano alle mani degli investitori stranieri? Tutt’altro; è però patriottismo contraffatto (e fazioso) perseguire questa strategia al costo di accentuare le fratture sociali.


[1] V. https://www.finanza.com/notiziario/italia/il-btp-autarchico-la-lega-rilancia-la-proposta e https://www.money.it/btp-autarchico-spread-debito-piano-meloni-giappone

[2] V. https://www.dt.mef.gov.it/it/debito_pubblico/emissioni_titoli_di_stato_interni/comunicazioni_btp_futura/btp_futura_faq/#faq_0010.html

[3] V. https://dealflower.it/meloni-guarda-al-giappone-btp-autarchici-per-riappropriarsi-del-debito-pubblico/

[4] V. https://www.risparmiamocelo.it/perche-il-debito-pubblico-del-giappone-e-diverso-da-quello-dellitalia-e-della-grecia/

[5] V. Matteo Bortolon: https://www.lafionda.org/2022/09/12/debito-pubblico-vecchie-menzogne-e-disinformazione-dalla-bonino-a-repubblica/

[6] Su questo punto si veda sempre l’articolo di Matteo Bortolon segnalato nella precedente nota.

Di:

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