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Il “pallone” cinese e la sinofobia americana
Una volta era il “pericolo giallo” giapponese a tenere sulle spine la politica americana. Negli anni ’80 il Giappone, dopo essere stato un paese semi-vassallo degli Stati Uniti e su questo legame aver edificato il suo successo economico, inizia ad essere percepito come un agguerrito concorrente in grado di minacciare l’egemonia statunitense. Negli anni ’90 scoppia la “bolla” giapponese così come quella degli altri paesi del sudest asiatico, trascinati nella tormenta dalle politiche manipolatrici del Washington Consensus. La minaccia giapponese rientrò sullo sfondo e il Giappone si fece carico di un ruolo determinante nella partita strategica di sicurezza nell’area Indo Pacifico; ma ecco che la minaccia si riaffaccia oggi e torna in primo piano con il volto e con i tratti cinesi.
La retorica anticinese è un fenomeno diffuso nel sistema politico americano, progressista o conservatore che sia, e la “sinofobia” una presenza di lunga data nella cultura popolare americana che contribuisce a dare della Cina e dei cinesi un’immagine stereotipata e a diffondere l’idea che siano una minaccia per la società americana.
Il comportamento dei politici e degli strateghi americani e le risposte che questi danno ad ogni fatto concernente la Cina stanno assumendo sempre più i caratteri di una reazione isterica, generati dall’incubo che la Cina voglia rovesciare l’ordine internazionale esistente che fa perno sugli Stati Uniti.
La recente vicenda dei presunti palloni spia cinesi avvistati e poi abbattuti nei cieli americani è solo l’ultimo episodio che rivela il timore delle classi dirigenti americane di perdere il ruolo egemone sul pianeta. Howard French, giornalista di Foreign policy, in un suo recente articolo sostiene che gli Stati Uniti sono entrati in uno stato mentale nei confronti della Cina che ne impedisce la sobrietà di valutazione, come in questo caso in cui le congetture sui presunti tentativi di sorveglianza ad alta quota è stato collegato allo sviluppo del programma nucleare cinese e quindi ad una minaccia a cui contrappore una risposta forte. La vicenda avrebbe richiesto una risposta più misurata (anche alla luce del ben più grave e capillare dispositivo di sorveglianza approntato dagli americani negli anni passati e rivelato al mondo intero da Edward Snowden), mentre l’episodio è stato utilizzato per mettere ancora una volta enfasi sul pericolo cinese. Una realpolitik “prigioniera di arcaiche concezioni”, che impedisce agli Usa di seguire una strategia di appeasement con la Cina in una chiara comprensione di come “la storia ridisegni continuamente le relazioni tra i popoli” e che offrirebbe agli Stati Uniti la possibilità di dare di sé “un’immagine diversamente presente nel mondo” come sostiene A. Bradanini nel suo ultimo libro[1]. Questo modello strategico viene applicato ad ogni settore. In ambito industriale la guerra protezionistica condotta da varie amministrazioni nei confronti di aziende tecnologiche cinesi come Tik-tok e Huawei – accusate di sottrarre dati degli utenti americani in funzione di spionaggio per conto del governo cinese e di costituire un rischio per la sicurezza nazionale- è un altro sintomo di questa inquietudine americana. Benchè le pratiche anticompetitive a scopi di monopolio riguardano soprattutto le big-tech statunitensi come di recente testimoniato dall’azione antitrust intentata dal Dipartimento di Giustizia contro lo strapotere delle aziende della Silicon Valley . E l’emergenza di salute mentale –soprattutto tra i più giovani- prodotta dall’assuefazione alle piattaforme e ai loro social network, riguardi tanto le tecnologie di produzione cinesi quanto quelle nazionali. Il problema è di carattere globale e riguarda la possibilità o meno che la politica svolga il compito di regolamentare l’invasione dei giganti dei big-data nelle vite delle persone.
La guerra in Ucraina offre una nuova occasione che mette ulteriormente a nudo l’isteria americana che in questo caso spinge per dividere in due gli schieramenti e per plasmare un supposto allineamento tra Cina e Russia in opposizione all’alleanza Usa-Europa. Il Dipartimento di Stato americano vuole far passare l’idea che la Cina sia pronta a rifornire di armi la Russia e reclutarla in una guerra nella quale essi stessi sono i più coinvolti , e portare fino in fondo questa logica di contrapposizione tra blocchi. La risposta di Wang Yi, il responsabile esteri del PCC, è stata che sono gli Stati Uniti che finora hanno fornito armi al campo di battaglia e non la Cina. La posizione diplomatica cinese non è mutata dall’inizio dell’invasione russa del 25 febbraio 2022, quando la Cina dichiarò l’intangibilità del principio di sovranità e di integrità territoriale (principio apprezzato da Kiev), ma di comprendere le ragioni russe riguardo alla propria sicurezza interna (così come d’altra parte sostengono studiosi di relazioni internazionali , secondo i quali chiunque stia al Cremlino non può non vedere come un pericolo la Nato a Kiev)[2]. E in base a questa posizione ha rifiutato di aderire alle sanzioni e ha fornito alla Russia un supporto ideologico mosso dalla volontà di promuovere un’applicazione equa del diritto internazionale e di respingere i doppi standard occidentali. Ciononostante il tentativo di arruolare la Cina da parte americana e l’incrollabile sostegno all’Ucraina dell’alleanza occidentale è più tangibile che mai. Posizioni che come dice il filosofo Jurgen Habermas, creano “il rischio di aggirarsi come sonnambuli sull’orlo dell’abisso”.
La posizione cinese fa molta presa nei paesi e nelle aree del mondo in cui la retorica americana e occidentale è vista con sospetto e l’ordine internazionale è percepito come profondamente ineguale. Con il recente documento diplomatico-strategico Global Security Initiative la Cina vuole attribuirsi un ruolo pacificatore e ergersi a garante della stabilità rivolgendosi soprattutto al “Sud globale”, ovvero Africa, Sud-est asiatico, America latina che condividono con il “paese di mezzo” un passato coloniale. Un documento molto ampio dove la Cina invita i paesi ad adattarsi al panorama internazionale in profondo cambiamento con uno spirito di solidarietà e ad affrontare le complesse sfide alla sicurezza con una mentalità vantaggiosa per tutti. L’implicito è chiaro: l’occidente non può arrogarsi il diritto di una sicurezza che non tenga conto della prospettiva degli attori estranei ai canoni della democrazia liberale.
Alla Global Security Initiative la Cina ha fatto seguire una proposta di pace sull’Ucraina che fa da contraltare alle dichiarazioni del Segretario di stato americano su di un’ipotetica fornitura di armi cinesi alla Russia, non suffragata da alcuna prova certa, ma semplicemente atte a “gettare benzina sul fuoco dei conflitti”(Wang Yi).
La distensione tra le due superpotenze appare lontana, e l’appeasement tra Cina e Usa un’opzione per ora non praticabile, sebbene sia forse il vero unico sviluppo in grado di mettere la parola fine al conflitto ucraino.
[1] A.Bradanini, Cina. L’irresistibile ascesa, Sandro Teti Ed., pag. 185
[2] E’ la posizione soprattutto di John Mearsheimer
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