Il decreto Mille proroghe, Legge 14\2023 in Gazzetta Ufficiale, conferma quanto da noi scritto in altre occasioni a proposito della continuità tra il Governo Meloni e gli esecutivi precedenti.
Si tratta di un insieme di norme insignificanti nelle quali la tendenza principale è quella delle deroghe, o proroghe, di provvedimenti già adottati all’insegna della precarietà lavorativa.
Dopo la decisione a fine 2022 di attaccare frontalmente il RdC ridimensionandolo per l’anno corrente fino alla sua cancellazione a partire dal 1 Gennaio 2024, arrivano decisioni che in sostanza eludono le reali problematiche , non si combatte la precarietà ma la si alimenta, si assumono decisioni parziali senza investire risorse per ammodernare ad esempio la Pubblica Amministrazione, si parla di misure a sostegno delle famiglie secondo la vecchia logica dei bonus per non affrontare la perdita reale di potere di acquisto.
Una Repubblica fondata sulla precarietà , sugli appalti e sugli interinali è quella orchestrata dal Governo delle destre criminalizzando la povertà e i poveri attraverso vergognose campagne di stampa contro presunti nulla facenti che approfitterebbero della generosità statale.
Viene prorogata al 30 giugno 2025 la possibilità si superare la durata di 24 mesi per il contratto di somministrazione , un altro duro colpo inferto al lavoro stabile e al decreto dignità sui tempi determinati già revisionato dagli Esecutivi precedenti eliminando la causale e aumentandone la durata.
Innumerevoli studi dimostrano che sia proprio la precarietà del lavoro un ostacolo alla competitività del sistema produttiva come il disinvestimento nei servizi pubblici.
Se il ministro della difesa Crosetto invoca l’aumento delle spese militari in deroga ai patti di stabilità, in tal senso non ci si muove per assumere personale negli ospedali e nella sanità che invece subisce tagli draconiani che determineranno un reale rischio per la nostra salute.
L’Italia resta uno dei paesi Ue che spende meno, in rapporto al Pil , per i servizi pubblici, abbiamo gli stipendi più bassi che mai si sono ripresi dai 9 anni di blocco della contrattazione, registriamo una forza lavoro anagraficamente anziana e i concorsi banditi prevedono l’immissione in ruolo di numeri inferiori ai pensionamenti avvenuti.
Disinvestire nella P.A. porta solo conseguenze negative sul sistema produttivo nazionale, come hanno compreso da anni alcuni paesi Ue, ma non il nostro.
Le nuove assunzioni guardano alla realizzazione del PNRR e non a garantire la erogazione di servizi reali alla cittadinanza; la P.A. si piega a logiche perdenti come quelle di impiegare la forza lavoro esclusivamente alla realizzazione dei progetti finanziati dalla Ue quando invece sono interminabili le liste di attesa negli ospedali, è carente la ricerca negli enti pubblici se non quella direttamente finanziata dalle multinazionali, alcune delle quali inserite nei progetti militari.
Emblematico è il pasticciaccio creato attorno allo smart working, nella P.A. chi lavora in modalità agile perde soldi e questo lo stabiliscono i contratti nazionali che escludono questa forza lavoro dai buoni pasti e anche da alcuni istituti contrattuali.
La P.A. nel suo complesso si è dimostrata incapace di ripensare alla erogazione dei servizi con modalità lavorative non solo tradizionali (in presenza) e davanti al un welfare deficitario impone a molte lavoratrici la scelta (dipendente dalla potestà dirigenziale tuttavia) dello smart con penalizzazioni salariali. Sullo smart si è consumato un equivoco di fondo: chi pensa sia una conquista dovrebbe prima riflettere sui risparmi per la P.A. derivanti dalla riduzione del personale in presenza (da qui i tagli agli appalti delle pulizie, i risparmi sulle utenze, la riduzione delle spese Inail in caso di incidenti in itinere) e sui tagli salariali imposti a chi ne beneficia; manca una lettura complessiva al di fuori di quello scambio diseguale che mette la forza lavoro in subordine ai voleri aziendali o alle logiche perdenti della riduzione del danno (sto a casa per accudire anziani e figli nei buchi di tempo ma devo accrescere, con meno soldi, la produttività)
La proroga dello smart a fine Giugno per i fragili si scontra con la stessa nozione di fragilità: molti lavoratori, o lavoratrici, con seri problemi di salute sono stati costretti\e a lavorare in presenza per manifesta incapacità dirigenziale di utilizzarli in modalità agile e anche su questo punto non si vuole intervenire concedendo un diritto che in molti casi non sarà esercitabile.
Il decreto mille proroghe è l’ennesima occasione perduta di un Governo che si muove nell’alveo tracciato della ideologica meritocratica che nel caso della P.A. ha prodotto solo danni oltre a dividere la forza lavoro; ci si muove precarizzando il lavoro senza una idea precisa di un moderno welfare inclusivo che avrebbe bisogno non del terzo settore ma di investimenti pubblici.
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