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Saremo il partito dei diritti


7 Mar , 2023|
| 2022 | Visioni

Per vero la prima dichiarazione di Elly Schlein all’esito delle primarie era leggermente diversa: il PD sarà il partito dei diritti. Ma non c’è dubbio che lei e il suo gruppo individuino nei diritti non meglio definiti la loro battaglia. E potremmo allargare, interpretando il loro sentire prima che il loro pensiero: i diritti si identificano con la politica, diritti e politica sono la stessa cosa, anzi i diritti sono la democrazia e praticamente la esauriscono (o quasi).

 Così messa, Schlein non introduce alcuna novità, ma ha il merito di portare alla superficie l’esito di un percorso in atto da decenni presso studiosi e intellettuali: dal Nordamerica alla vecchia Europa, a partire dalle lotte contro il razzismo e il patriarcato, con gli sviluppi che conosciamo, femminismo, ambientalismo e così via. Le parole d’ordine, se non sbaglio, del neo-segretario del PD, che probabilmente avrà letto i libri di un Rodotà o di un Ferrajoli. E lei stessa ha scritto un libro uscito da Mondadori giusto un anno fa: un titolo evocativo La nostra parte, un invito alla mobilitazione guardando soprattutto ai giovani, contro razzismo, nazionalismo, fascismo e contro ogni discriminazione, per una società inclusiva. L’ispirazione è sempre l’eco dalle università americane: l’intersezionalismo teorizzato da Kimberlé Crenshaw, docente alla Columbia University, avvocato e attivista, che aveva denunciato la condizione di chi portatore di una pluralità di differenze (razziali, sociali, sessuali e spirituali) subisce una pluralità di discriminazioni che, però, le leggi prendono in considerazione solo separatamente, senza considerare il peso del loro interagire sulla stessa persona.

 L’intersezionalità è parte importante del background di Schlein che, nel libro, indulge nella narrazione della storia della sua famiglia (paterna e materna), nella quale si riscontrano plurime diversità: socio-economiche, religiose, nazionali (e non a caso Schlein ha vissuto e si è formata in paesi e continenti diversi e ha ben tre passaporti).

 Si capisce che Elly Schlein intercetti una parte significativa delle aspirazioni e degli ideali delle ultime generazioni; ne è consapevole e il pluralismo che porta dentro di sé è forse la principale ragione del suo successo. Indubbiamente si è impegnata in questa direzione e ha promosso con grande abilità sé stessa e il suo orizzonte inclusivo. Questa è la contemporaneità o, almeno, è componente importante della contemporaneità; e Schlein è perfettamente contemporanea.

 Ciò nonostante, le sue raffinate coordinate culturali non sembrano sufficienti né a governare il PD (che da sempre ha una dimensione istituzionale), né soprattutto l’Italia (e a questo proposito, sia detto per inciso, nemmeno sembrano idonee le coordinate un po’ caserecce dell’attuale presidente del consiglio). L’impressione è che l’inclusivismo di Schlein, più in generale il suo progetto, risentano un po’ di quell’intellettualismo accademico di matrice americana da cui pur provengono. L’attenzione, anche l’attivismo di Schlein, sono focalizzati sugli individui-persone, per la cui promozione ai vari livelli si dovrà far principalmente politica; meno, parecchio, sulla comunità e sullo Stato (che, per definizione, sono là per limitare ad ampio raggio la dimensione privata e individuale).

 È abbastanza evidente che la cultura e, prima ancora, i messaggi di Schlein dovrebbero non dispiacere a parecchi elettori del Movimento 5 Stelle; e ciò creerà dei problemi di concorrenza, anche perché Giuseppe Conte è portatore di sensibilità piuttosto diverse, per quanto astutamente camuffate a tutela della posizione che oggi occupa.

 Ma la questione interpartitica qui interessa poco. Invece è importante cercare di comprendere la dimensione della proposta di Schlein per costruire un’Italia (ma anche un mondo essendo lei tesa verso l’universalismo) diversa, per renderla più contemporanea, per aprirla alla recezione e al soddisfacimento delle nuove esigenze. È una dimensione essenzialmente privata. Anche quando si affronta il lavoro, l’impressione è che si miri a rendere felice la persona e non ci si preoccupi più di tanto della sua relazione – e dei lavoratori in genere – con la comunità generale e con la ricchezza del Paese, con la sua competitività con gli altri Paesi. Insomma la prospettiva macro, nella visione di Schlein, appare meno considerata (e, aggiungerei, anche sottovalutata). Da questo punto di vista, e prescindendo dal linguaggio adoperato, un po’ immaginifico e di cifra retoricheggiante, la novità è minore rispetto a quel potrebbe sembrare: in fondo che l’individuo del mondo schleineiano sia una persona più felice perché corredata di quei diritti che oggi non ha e la cui assenza lo fa sentire discriminato, sia una persona con un po’ più di soldi in tasca, con una certa libertà di orientarsi senza che il suo orientamento lo marginalizzi, questo individuo sarà un consumatore perfetto a cui guarderanno astutamente produttori e venditori, che a loro volta ri-orienteranno il messaggio pubblicitario per fare ancora più felice la donna o l’uomo liberati da ogni intersezionalità.

 Elly Schlein non sembra nemmeno tanto interessata a una riforma dello Stato: perché abbia governi più stabili, ministri più competenti e indipendenti, un’amministrazione più efficiente, cittadini (non individui, non persone, non consumatori) responsabili e partecipi. Ma è arduo che la visione micro di Schlein possa realizzarsi se non si metta mano all’organizzazione dello Stato che oggi è alla deriva o quasi. Tuttavia è vero che questa visione micro o privatistica, talora intimistica, sembra ispirare strategie, misure, provvedimenti concreti: si pensi a bonus e superbonus dei cui costi ometto di azzardare e mi limito a richiamare il postulato di matrice rousseauiana che non ammette se non leggi accomunanti, aliene dalla concessione di ogni immunità, dispensa, franchigia, appunto, e robustamente, generali.

 Forse Christofer Lasch avrebbe censito Schlein tra gli esponenti delle nuove élites occidentali,  anche se Lasch aveva sott’occhi gli USA (ma Schlein ha partecipato da volontaria alle campagne elettorali di Obama): élites (l’espressione è: «antiche famiglie») non stanziali e terragne, in certo senso senza radici, ma tendenzialmente cosmopolite, un po’ inquiete, pronte esse stesse alla migrazione nella consapevolezza che oggidì è quasi impossibile ottenere successo se non si accetti la mobilità, anche da un capo all’altro del mondo. Su queste èlites Lasch è caustico giudicandole ambiziosissime: dentro di sé non si sentirebbero di nessun paese («non è neanche sicuro che si considerino americani») e nutrirebbero una visione turistica del mondo.

 La cultura o la politica dei diritti quale formante esclusivo o preponderante di ogni proposta lanciata nello spazio pubblico può condurre a trascendenze, a dimensioni, a scenari radicalmente nuovi; e tuttavia animati da una dinamica che potrebbe rivelarsi meno (molto) ricca e feconda di quanto si possa immaginare e sperare. Qui Lasch si era dimostrato profetico (o, probabilmente, è l’Italia che vi arriva in ritardo): un nuovo tipo di individualismo, forse di egoismo, eclissi della visione aristotelica della dimensione e appartenenza pubblica di qualunque cittadino, orizzonti privati di singoli o di gruppi d’interesse, lo Stato come mero dispensatore o assicuratore con cui mercanteggiare per strappare libertà, benefici e provvidenze.

 Credo che la ribalta conquistata da Elly Schlein dipenda molto da questo sentire che lei ha avuto la capacità di veicolare con tempismo e con una notevole efficacia comunicativa. Vedremo se, acquisito il consenso, lo saprà mantenere e allargare nelle competizioni elettorali che verranno; e, se mai andasse a governare, se sarà pronta ad azioni concrete che postulano qualcosa di più di quello che finora si è sentito e che pur ha acceso sentimenti e passioni.

 La sua laurea in giurisprudenza a pieni voti e una certa cultura giuscostituzionale presente nella sua famiglia lasciano supporre che sia attrezzata anche in ordine alle forme dell’organizzazione del potere statuale. Ma le perplessità non mancano e investono anche il modulo della sua elezione. Discorsi comuni, certo. Ma l’ovvio talora viene sottovalutato. Il PD ha il gran merito di avere introdotto le primarie per l’elezione del segretario nazionale: è la via più democratica, va riconosciuto. Ma poi quale ratio vi sia nel consentire a chiunque di andare a votare nei gazebo, è difficile da dire. Un partito è un’associazione e nelle associazioni la regola, ovvia (e congrua), è che votano solo gli associati. Diversamente vi è il rischio di una frattura tra associati e rappresentanza. Schlein (da poco iscritta al partito) lo sa benissimo; e il suo primo obiettivo dovrebbe essere proprio quello di dimostrare che la sua è una rappresentanza reale. Altrimenti il PD pagherà dazio per l’ennesima volta alle prossime elezioni. C’è chi lo crede e ancor di più lo spera.

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