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La rivoluzione della nuova umanità
Lo so, può suonare strano iniziare in questo modo, ma la lettura di “Pace e Rivoluzione” è stata per me terapeutica e benefica. Mai avrei immaginato di scrivere, a trent’anni, la recensione di un libro in cui dialogano Fausto Bertinotti e Marco Guzzi.
Sono cresciuto infatti in una famiglia fortemente di sinistra, in cui la passione politica, trasmessaci soprattutto da mio padre, era un fede viva capace di plasmare tutta l’esistenza. Come dice Bertinotti nel libro, la rivoluzione «è una diversa pratica della vita sociale, investe il modo di vivere e perfino di costruire i momenti che segnano i rapporti interpersonali.
La rivoluzione è connessa con la vita e il destino delle persone, non è mera enunciazione politica»[1]. È questo lo spirito con cui mio padre, per esempio, mi ha chiamato Francesco, come Guccini, e con cui tutti gli anni ci portava alle Feste dell’Unità e in vacanza a Capalbio.
Poi dopo i vent’anni ho iniziato a mettere in discussione questa fede, aprendo anche gli occhi sulla realtà storica dei partiti e della cultura di sinistra, divenuti via via sempre più ancillari del sistema di potere neoliberista.
Nel frattempo mi sono avvicinato alla realtà dei gruppi darsi pace, fondati da Marco Guzzi, in cui ho potuto riscoprire il cristianesimo e la dimensione spirituale sotto una nuova luce, e soprattutto comprendere come i frutti migliori della modernità siano maturati sull’albero della rivelazione cristiana. Come dice Marco Guzzi:
«In definitiva ciò̀ che va capito oggi è che l’impulso messianico è la modernità, poco importa se per noi Gesù non è il vero figlio di Dio ma una personalità̀ storica di livello straordinario; è una corrente che anima tutta la cultura europea e percorre le sue vicende umane fin dai primi moti rivoluzionari del XIV secolo, tutti ispirati al desiderio di instaurare in terra un regno di giustizia e di pace»[2].
Questo punto, sebbene ormai riconosciuto dai maggiori pensatori contemporanei, è tuttavia come obliato nel dibattito pubblico. Come scrive Giorgio Agamben: “Attraverso il Contratto sociale, la tradizione repubblicana ha ereditato senza beneficio d’inventario un paradigma teologico e una macchina governamentale di cui essa è ancora lontana dall’aver preso coscienza”[3].
Allora la domanda decisiva del libro è la seguente:
«È concepibile una politica del XXI secolo che si riallacci alle categorie dell’Ottocento-Novecento, magari anche rivedendole, per proporre una nuova forma di progetto messianico, più consapevole delle sue radici e delle sue fonti energetiche spirituali?
Oppure siamo condannati, come sembra tragicamente annunciare la situazione presente, a non trovare alcuna via per operare questo sfondamento e quindi a negare noi stessi adattandoci alla tecnocrazia digitale?»[4].
È concepibile coniugare la denuncia verso un sistema di potere neo-totalitario, come lo chiama giustamente Bertinotti, che opera mediante una forma di sfruttamento e spoliazione che toccano le dimensioni economiche così come quelle psicologiche degli individui, con l’annuncio di una nuova forma di esistenza e di civiltà?
Come scrive Giulio Di Donato nella postfazione:
«Tutto questo presuppone, però, una resa dei conti matura e consapevole con le zone d’ombra della nostra vita individuale e collettiva: non si possono coltivare legami, annodare relazioni col mondo in direzione orizzontale e verticale senza toccare la profondità oscura dell’essere umano.
Allora, pur senza disconoscere la natura problematica e ambivalente dell’uomo, bisogna cercare di schiudere le condizioni per un “salto qualitativo” delle singole esistenze, verso una vita più vera e autentica, contro le logiche diffuse dello sfruttamento e dell’alienazione»[5].
L’elemento sanante ed e-saltante è perciò nella coniugazione, nella cura di quella frattura fra rivoluzione politica e liberazione spirituale, fra dimensione sociale e interiorità, fra immanenza e trascendenza, che in questo momento decisivo della storia dell’umanità può diventare il carburante per un moto rivoluzionario travolgente.
Altrimenti il pericolo è quello di restare nel feretro o nei vari sepolcri imbiancati di un certo filone cristiano democratico o di un certo socialismo ecologista, che tanto piace anche in ambiente ecclessiale, dove la critica, anche condivisibile, del sistema capitalistico, resta all’interno del medesimo paradigma e anzi trova il plauso dei vari poteri di questo mondo.
In gioco cioè è un passaggio che ci tocca in quanto coscienze incarnate, in cui la comprensione intellettuale e le dichiarazioni di intenti non sono più sufficienti per operare la rivoluzione di cui stiamo parlando. Come dice sempre Guzzi:
«Il cambiamento del mondo nel segno della pace e della giustizia sociale può̀ avvenire soltanto attraverso un processo costante di conversione delle coscienze individuali, nel rovesciamento continuo dell’attitudine separante, rigida, calcolante e predatoria.
La pratica della non-violenza e della disponibilità verso la vita in comune passano per una battaglia difficile contro l’istinto conflittuale e aggressivo che è in noi; una battaglia che non può essere affrontata solo sul terreno della razionalità e della volontà politica, ma richiede una lenta e graduale trasformazione della nostra soggettività egoico-bellica, un combattimento che chiama in causa tanto la dimensione corporea-emozionale quanto quella razionale e relazionale»[6].
Il punto decisivo non riguarda perciò solo la comprensione filosofica di come la modernità affondi le sue radici nell’elemento messianico, e quindi di come integrare, a tavolino per così dire, la critica politica con l’elemento spirituale.
Il punto decisivo è nella realizzazione di come il senso stesso della storia del mondo e quindi il mistero più profondo della soggettività sia da ricercare nello Spirito della Nuova Umanità che sta cercando di venire alla luce.
Questa rivoluzione sta cioè avvenendo in noi e nella trama conflittuale del tempo apocalittico in atto. Da un lato perciò siamo chiamati a deporre una certa pretesa di autonomia e arroganza tardo-moderna, che ha paura di abbandonare il controllo sull’apertura indisponibile della trascendenza come sorgente del tempo; dall’altra è l’intera cristianità che è chiamata ad un profondo processo di conversione e purificazione, anche di una certa tendenza a restare fuori dalla storia, magari mediante un’etica illuminata.
La rivoluzione nella Nuova Umanità è cioè in atto, e in questo dialogo fra Fausto Bertinotti e Marco Guzzi a mio avviso è possibile trovare le chiavi per aprire una porta verso il futuro, guarendo il passato.
[1] [1] F.Bertinotti, M.Guzzi, Pace e Rivoluzione, a cura di Giulio Di Donato. Edizioni Mariù, Roma, 2023, p.111/2.
[2] Ivi, p.60/1.
[3] G.Agamben, Il regno e la gloria. Per una genealogia teologica dell’economia e del governo. Bollati Boringhieri, 2009, Torino, p.299.
[4] F.Bertinotti, M.Guzzi, Pace e Rivoluzione, p.44/5.
[5] Ivi, p.201/202.
[6] Ivi, p.153/4.
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