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A proposito della crisi bancaria in Usa

Abbiamo più volte puntato il dito – in diversi articoli su “La Fionda” – verso l’eccessivo indebitamento a livello globale. Alla luce di livelli di leva sempre più elevati, indotti da salvataggi che risolvono i problemi di liquidità ma accentuano quelli di solvibilità, sentiamo che non lo abbiamo fatto ancora a sufficienza.
Lo svolgimento della recente crisi delle banche regionali USA ed i meccanismi di funzionamento sono, seppur solo il primo passo, istruttivi: le banche suddette hanno recentemente sofferto una fuga di deposti a cui ha corrisposto – pressoché in parallelo, sia come segno che come entità – un aumento della raccolta dei fondi di mercato monetario che, a loro volta, investono circa il 40% del loro attivo nelle inverse repo offerte dalla Federal Reserve ai soggetti finanziari abilitati.
Una veloce analisi rivela come il rendimento offerto dai fondi di mercato monetario sia salito (grazie alla FED ed alla sua lotta all’inflazione, ma non ci dilunghiamo su questo punto) di pari passo rispetto ai tassi ufficiali mentre i tassi sui depositi siano rimasti quasi al palo: insomma, poco variati. La conclusione di primo acchito? I fondi di mercato monetario, aiutati dalla politica monetaria, hanno “sifonato” risorse dal settore bancario perché sono più redditizi!
Un esame più approfondito rivela, però, che ciò non è accaduto per tutte le categorie di fondi monetari: solo i fondi “Governativi” hanno registrato un forte afflusso di raccolta mentre i fondi “Prime” hanno invece registrato un deflusso. I fondi Prime investono nelle banche, detengono il rischio di credito e offrono rendimenti più elevati rispetto ai Govies (dove invece investono, in via esclusiva, i fondi Governativi). Ciò suggerisce che i recenti flussi sono stati guidati – in primis – dalla sicurezza e, solo in seconda battuta, ovviamente dai tassi di rendimento: un rischio più elevato in genere è coerente solo con un rendimento più elevato:

Quindi il problema della crisi bancaria USA è in realtà più complesso – ed in effetti lo verificheremo più oltre – di quello che in prima approssimazione appare: le banche regionali USA sono solo la cartina di tornasole di un problema più ampio che investe l’intera struttura finanziaria USA (come abbiamo detto al principio).
Un primo elemento forte (seppur superficiale) in tal senso, viene da un’osservazione semplice: i mercati statunitensi sono stati scossi da una serie di fallimenti nelle banche regionali nell’ultimo mese e la Federal Reserve statunitense e la FDIC si sono mosse rapidamente per cercare di limitare i danni, proteggere i depositi e impedire che il contagio si diffondesse ad altre banche. A prima vista, sembrano aver fatto un buon lavoro e non abbiamo assistito ad ulteriori corse agli sportelli su altre banche statunitensi. Questo è un bene …. tuttavia “c’è un però”: nonostante tutto ciò, non si può dire che la fiducia degli investitori sia stata ripristinata, a giudicare dal grafico seguente. Il grafico mostra l’ETF S&P Regional Bank (SRE), la sua media mobile a 50 settimane, in verde, e il prezzo del prestatore in difficoltà First Republic (FRC ) in rosso:

L’ETF rimane oltre il -20% al di sotto della media mobile ed è sceso del -28,0% nell’ultimo mese, manifestando pochi segni di voler rimbalzare.
Perché questo? Soprattutto: perché se il lavoro delle autorità è stato fatto così bene? Forse c’è dell’altro, sotto la superficie, oltre le prime apparenze, rimangono importanti criticità.
Che ci siano tutti questi problemi tuttavia non sembrerebbe ….. almeno ascoltando il presidente della Fed di St. Louis James Bullard. Intervenendo, giovedì 6 aprile, in occasione di un evento a Little Rock (Arkansas) egli ha detto ai giornalisti, dopo il suo discorso, che gli sforzi della banca centrale per sostenere le banche stanno funzionando. Ha poi minimizzato i rischi di una stretta creditizia che potrebbe precipitare l’economia statunitense in recessione: “Lo stress finanziario sembra essere diminuito, almeno per ora“, ha affermato sempre ai giornalisti. “E quindi è un buon momento per continuare a combattere l’inflazione e cercare di intraprendere quel percorso disinflazionistico”.
Insomma, secondo Bullard, c’è da stare tranquilli! Peccato che, in primo luogo, sia un banchiere centrale (ancorché federale) e che conosca bene la regola: Il sistema bancario di riserva non è problematico finché tutti rimangono calmi. Un adagio che riassume il paradosso dell’Instabilità che presuppone che tutti gli attori siano razionali e tale razionalità implica di evitare la completa distruzione. In altre parole, tutti i giocatori agiranno razionalmente e nessuno premerà “il grande pulsante rosso”.
Perché ciò non avvenga il primo comandamento, o mantra che dir si voglia, è quello di “tranquillizzare tutto il pubblico, sempre e comunque” e quindi un banchiere centrale negherà – o minimizzerà – fino alla morte l’esistenza di problemi di stabilità (ed è giusto così, per dovere “istituzionale”). Quindi è quel “almeno per ora” che ci deve preoccupare maggiormente.
A metà marzo, il “grande pulsante rosso” è stata una “corsa agli sportelli”, “schiacciato” dalla Silicon Valley Bank, che ha esposto i rischi finanziari della First Republic Bank e di Credit Suisse, tra gli altri. Una modalità per “visualizzare” questa situazione di rischio è la variazione del rendimento del Treasury a 2 anni:

Fonte: Bloomberg
Durante una crisi, il denaro fluisce in attività “prive di rischio” allorquando gli investitori cercano sicurezza. Questa operazione di “avversione al rischio” si riflette nel forte calo dei rendimenti dei titoli del Tesoro. L’entità del calo delle scorse settimane è stata vista solo in precedenza durante la “crisi finanziaria”, l’attacco terroristico del settembre 2001 e il crollo del mercato del 1987.
In secondo luogo, ciò che è più importante è che Bullard finge di non sapere (ma in realtà sa benissimo) che un fattore comune tra le banche regionali statunitensi è la loro elevata esposizione a prestiti per immobili commerciali (o CRE), in particolare nel settore degli uffici, che a sua volta è stato duramente colpito dalla pandemia e dal collegato passaggio al lavoro a distanza. Secondo Bank of America, le banche regionali statunitensi rappresentano il 68% dei prestiti CRE in essere, molto di più rispetto ai loro omologhi bancari a mega capitalizzazione. Bloomberg riporta un livello analogo ma più vicino al 70%:

Secondo G. Sachs nei bilanci delle banche giace oltre la metà dei 5,6 trilioni di dollari di prestiti commerciali in essere e le piccole banche hanno aumentato la loro quota di mutui commerciali rispetto alle grandi banche:

Secondo i partecipanti al mercato, il debito totale degli spazi per ufficio è di circa $ 1 trilione. Il REIT per uffici ha una scadenza del debito di circa $ 5 miliardi quest’anno, mentre è in scadenza un valore di circa $ 45 miliardi di CMBS (Commercial Mortgage Backed Securities).
Dei $ 270 miliardi di prestiti bancari CRE destinati a scadere nel 2023, circa $ 80 miliardi, ovvero circa il 30%, sono garantiti da immobili per uffici. Nel complesso tutto ciò rappresenta un rischio significativo per le banche regionali: la percentuale di uffici sfitti è aumentata vertiginosamente e il valore degli uffici è diminuito a causa della minore domanda e dell’incertezza economica.
L’aumento dei tassi di interesse ha inoltre messo in luce la cattiva gestione del rischio di tasso di interesse da parte di certe banche regionali. Alcune hanno investito molto in obbligazioni a lungo termine, che hanno perso valore quando i tassi di interesse sono aumentati. Altre avevano finanziato i loro prestiti CRE a lungo termine prevalentemente con depositi a breve termine, una strategia che è diventata più costosa quando i tassi sono aumentati. Tutto ciò ha creato quello che è noto come un “disallineamento della durata” (“duration mismatching”), che ha provocato una compressione dei margini di interesse netti, dei coefficienti patrimoniali e, in alcuni casi, problemi di solvibilità accompagnati da difficoltà acute di liquidità.
L’esempio più importante è la Silicon Valley Bank (SVB), “crollata” il 10 marzo dopo aver venduto un portafoglio obbligazionario con una perdita di 1,8 miliardi di dollari. la banca non è riuscita a raccogliere capitali sufficienti per soddisfare i requisiti normativi di vigilanza o trovare un acquirente per l’attività. SVB è, storicamente, uno dei maggiori finanziatori del settore tecnologico e alla fine del 2022 aveva un patrimonio totale di 209 miliardi di dollari. Altre banche regionali che hanno affrontato problemi simili includono Signature Bank, fallita il 12 marzo dopo una corsa agli sportelli, First Republic Bank, che ha beneficiato di un’ancora di salvezza multimiliardaria arrivata da altre banche e sta ora esplorando altre soluzioni strutturali percorribili.
Da ultimo si consideri che i prestiti residenziali sono stati erogati a un tasso fisso per 30 anni quando i tassi a breve erano intorno all’1%. In effetti, le banche non guadagnano praticamente nulla sui loro prestiti residenziali e le insolvenze incombenti affliggeranno i prestiti CRE per gli uffici. Inoltre, le piccole banche, ad oggi, hanno verosimilmente accantonato in misura insufficiente a coprire le perdite su crediti potenziali provenienti da quel fronte: è verosimile che gli accantonamenti supereranno quelli del picco del 2010 quando il deterioramento dei prestiti diventerà più evidente,

Fonte: Macrobond
Di conseguenza, nei prossimi trimestri potremmo assistere a brutte notizie di perdite significative per le banche regionali. Le perdite sui prestiti saranno enormi ogni volta che le insolvenze aumenteranno per i CRE, i prestiti personali, i prestiti auto (i tassi DQ sono qui ai massimi storici) e le carte di credito.
Pertanto, è un gioco da ragazzi concludere che le banche più piccole stanno affrontando molteplici venti contrari, dai deflussi di depositi alla contrazione dei margini di interesse netti (NIM) fino all’aumento molto probabile degli accantonamenti per perdite su prestiti nel prossimo futuro. Nel complesso, quindi, è assai probabile che i piccoli fallimenti bancari siano appena iniziati e che nei prossimi due anni assisteremo a centinaia di fallimenti bancari.
E’ finita qui? Purtroppo, no: in “linea di successione” troviamo le compagnie di assicurazione. Non ho particolare esperienza su come le compagnie assicurative gestiscano i rischi, in particolare il rischio di durata, so però che le compagnie assicurative statunitensi hanno circa 666 miliardi di dollari di esposizioni in CRE. Ora, è probabile che anche qui qualche anello debole della catena si rompa e che alcuni dei players, più piccoli o più fragili, vadano a gambe all’aria. I mercati sembrano preoccupati per un certo nome che sta facendo il giro sui social: è la Lincoln Financial.

Fonte: Bloomberg
Pertanto, come ogni altro ciclo che ha avuto luogo nel passato, anche questo ciclo vedrà significativi fallimenti bancari. Tuttavia, il vero rischio è altrove. Il vero rischio nel sistema finanziario USA è nidificato nel credito privato o, come piace dire a qualcuno, nel “settore finanziario ombra” (poiché questi non rientrano nell’ambito normativo): non sarà un caso che l’allarme sia venuto proprio dal segretario del Tesoro, Yellen!
Il rischio è reso più ampio dal fatto che le banche ombra sono state i maggiori prestatori dell’opaco e oscuro comparto del private equity e del Venture Capital (VC). In effetti, il private equity è stato l’ambito che ha beneficiato maggiormente della ZIRP (Zero Interest Rate Policy) post-GFC. Se consideriamo lo scenario a livello globale, le banche ombra detengono un gigantesco patrimonio di 250 trilioni di dollari:

Fonte: FSB, Bloomberg
La maggior parte di questo patrimonio è probabilmente “inchiodato” in startup illiquide che hanno visto crollare le loro valutazioni dopo l’inasprimento delle Banche Centrali.
Liquidare gli asset quando le valutazioni sono crollate e quando l’appetito per nuovi finanziamenti nella tecnologia in perdita è (e rimane) assai basso significa incorrere in un massiccio “hair cut” (perdita, per i profani). I creditori spesso non trovano neppure acquirenti per le attività in vendita, il che può aggravare i problemi. Poiché il moderno sistema finanziario è fortemente interconnesso, una rottura di una “banca ombra” potrebbe portare a un “credit event” più ampio e diffuso.
Tenuto conto che le società non finanziarie dopo la GFC hanno aumentato a dismisura la loro leva – il debito societario non finanziario (in % del PIL) è salito a oltre il 50% – grazie al regime di bassi tassi di interesse, insieme alla massiccia espansione della liquidità via QE profuso “a braccia aperte” dalle B.C., e che ciò ha portato a gonfiare gli asset nello spazio delle “Zombi Corporation”, non abbiamo solo il diritto di fare affermazioni “tranchant” come quella formulata al principio del pezzo, abbiamo il dovere di farlo!
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